“O' Nirone” è uno sguardo appassionato sul repertorio musicale italiano e, in particolare, napoletano. È composto da dieci brani “perfetti”, cioè ben suonati, cristallini e cristallizzanti, nei quali è riflessa l’immagine di una produzione musicale di un altro tempo, proposta con un po' di nostalgia, ma inserita in un progetto di “lettura” coerente e interessante. Nonostante la scelta dei brani sia stata evidentemente orientata dal gusto per un repertorio molto famoso e diffuso, anzi presente nell’immaginario collettivo internazionale come un riferimento al carattere musicale italiano, il risultato è molto piacevole. Innanzitutto perché Massimo Pezzella - che guida il gruppo Acquapazza e ha orientato la strutturazione di questo progetto - ha scelto una forma musicale sintetica, scevra di molti degli “attributi” che di solito appesantiscono la riproposta di brani come “Maruzzella” o “Tammurriata nera”. La formula adottata in “‘O Nirone” è riconducibile a un trio di corde, nel quale la chitarra ha una preminenza in tutti brani, sorretta da contrabbasso e percussioni, e integrata, sul piano armonico, da alcuni fiati (flauto traverso e sax soprano). Il risultato è molto piacevole, perché le versioni proposte da Acquapazza, sebbene ricalchino la traccia degli originali, si configurano attraverso un forte grado di originalità. Questo è un aspetto che mi ha molto colpito sin dal primo ascolto. Da un lato perché, come ho detto, l’album è composto di brani conosciutissimi e quando li si trova dentro la scaletta di un album di riproposta si ha spesso la sensazione di un revival al limite del folclorismo, nostalgico e straniante. Invece Pezzella è bravo a evitare che brani come “Chella lla”, “Mambo italiano” o “‘O Sarracino” rimangano uguali a sé stessi e, sopratutto, rimangano sospesi nell’aurea che li avvolge, schiacciando un tentativo di riconfigurarne un profilo nuovo: non sperimentale ma senz’altro contemporaneo. Dall’altro lato, dell’album colpisce l’intenzione, non celata, di proporre questo tipo di repertorio a un pubblico internazionale, configurandolo in modo semplice, ma evidenziandone alcuni degli elementi più leggeri, più giocosi, più ilari. Come è evidente, questa formula porta con sé alcuni rischi strutturali, primo fra tutti quello di una rappresentazione statica, plastificata in un’immagine ricostruita non solo delle espressioni in esame, ma addirittura dei contesti sociali e culturali in cui queste sono state prodotte. In “‘O Nirone” questo disequilibrio è stato evitato con la formula della sintesi a cui ho accennato in precedenza. Una sintesi che, oltre il piano musicale, interessa gli aspetti più strutturali del progetto di produzione dell’album e di selezione dei brani. E che fa efficacemente da contrappunto - amplificando un gioco di rimbalzi tra la musica suonata e quella a cui rimandano i titoli dei brani dell’album - al rischio irriducibile di un’immagine retorica del “napoletanismo” bello e maledetto. D’altronde Pezzetta e i suoi non nascondono nulla fin dall’inizio e, anzi, sembra possano assicurarci proprio sulla consapevolezza dei rischi che si corrono a mettere insieme un programma come questo. Da un lato con gli accorgimenti musicali di cui ho accennato. Dall’altro lato con l’intelligente ironia che infila tutti i brani. Che li trasla prima su un piano meno “storico” e più reale, concreto. E li propone poi attraverso la loro interessante malleabilità: una caratteristica certamente strutturale e imprescindibile, ma poco analizzata, che “‘O Nirone” eleva a elemento preminente del suo progetto di riproposta. Le versioni di “Chella lla” e “Tammurriata nera” sono probabilmente le più rappresentative di questo processo, ma in considerazione degli elementi di cui si è detto ogni brano si configura come interessante e “originale”.
Daniele Cestellini
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