Renato Morelli è un’eccellenza dell’etnomusicologia nazionale: lo sa bene chi conosce le sue poderose produzioni letterarie e cinematografiche. Intellettuale poliedrico, ricercatore atipico, musicista, regista e saggista, negli anni Ottanta (a memoria di chi scrive), fu l’unico capace di far interagire all’interno di programmi radiofonici e televisivi i due padri dell’etnomusicologia italiana, Roberto Leydi (1928-2003), Diego Carpitella (1924-1990) e l’allievo prediletto, Pietro Sassu (1939-2001). Come abbiamo avuto modo di evidenziare in altri scritti (si veda Pietro Sassu, Voce Colta Della Cultura Popolare), il binomio Sassu-Morelli ha rappresentato una vetta della ricerca etnomusicale italiana anche per quanto riguarda la produzione discografica e quella documentaristico-visiva. Si conobbero a Trento negli anni Settanta. Sassu era stato nominato da Leydi per coordinare un Gruppo di studio, strutturato per valorizzare organicamente il patrimonio musicale regionale. Da allora, sono state numerose le loro collaborazioni soprattutto riguardo alle ricerche riferite all’intero arco alpino, a specifiche comunità del Trentino o ai gruppi polivocali della Sardegna. Di passaggio da Milano, abbiamo potuto dialogare con Renato Morelli circa la genesi della sua ultima opera di antropologia visiva dedicata alla memoria di Pietro Sassu: “Voci del Sacro - Due generazioni di canto “a cuncordu” alla settimana santa di Cuglieri”. “L’amicizia che mi legava a Pietro era profonda. Con lui abbiamo condotto numerose campagne di rilevamento, scritto saggi e libri in comune. Abbiamo condiviso idee e portato avanti progetti interdisciplinari e multimediali. Nel decennale della sua prematura scomparsa, ho sentito l’esigenza di ricordarlo alla mia maniera, cinematograficamente …”. Morelli ha scelto di dar valore a due ambiti di ricerca che li avevano accomunati sin dagli anni Settanta. Un primo lavoro, concernente la comunità di Premana, è già stato completato.

Chi è avvezzo all’etnomusicologia, conosce il puntiglio con il quale Morelli è solito dirigere i propri studi nelle comunità. Con scrupolo non si accontenta di quanto acquisito dalle ricerche altrui e desidera sempre verificare in prima persona, approfondendo secondo necessità o ascoltando dalla viva voce gli informatori più autorevoli. Sul campo Morelli si fonde con la comunità, dialoga, canta, suona, registra, festeggia, si consulta con gli intellettuali locali, scartabella presso biblioteche e archivi. Al termine delle ricerche, dove lui si reca, esce sempre qualcosa di significativo e di nuovo. A Premana, liberandosi dei vincoli ideologici che avevano frenato (e forse in parte portato a sottovalutare) gli esiti delle campagne di rilevamento negli anni Settanta, Morelli è riuscito a rivalorizzare il corpus delle musiche religiose locali, coinvolgendo la comunità a favore di un’esecuzione in linea con la tradizione. Di questo aspetto della ricerca è scritto nel capitolo titolato “Dai tre re ai vespri. Criticità delle pregresse ricerche sui canti sacri e liturgici popolari”. Nel 2011, a seguito della ricerca sul canto liturgico popolare ambrosiano condotta insieme ad Angelo Rusconi, è stato possibile documentare e ricostruire integralmente i vespri di tradizione orale a Premana. Un obiettivo ambito, soprattutto considerando che i vespri cantati in latino erano stati abbandonati dopo il Concilio Vaticano II e non venivano più eseguiti da quasi mezzo secolo. “ A Premana - ha commentato il regista trentino - ho ricevuto l’ennesima conferma… non è mai utile considerare conclusa una ricerca, soprattutto su realtà complesse vitali … e non è proficuo fermarsi nel percorso di esplorazione delle vie sottostimate o eluse in passato… Per me è sempre importante cercare di andare ad approfondire ciò che del passato è rimasto in ombra, studiando in modo specifico le singole comunità ove necessario in relazione alla ricostruzione storica dei processi che si sono dipanati tra oralità e scrittura, riconoscendo dignità anche a voci interne alla comunità quando funzionali agli esiti finali della ricerca stessa”. Ogni produzione cinematografica di antropologia visiva deve essere adeguatamente contestualizzata, per comprendere una ridda di questioni tecniche, dietro alle quali emergono sempre eventi contingenti, cause finanziarie, motivi affettivi, ambienti sociali, risvolti umani con le persone del luogo e con la troupe di ripresa. In sintesi, un complesso di fattori non sempre prevedibili che non sono mai neutri rispetto all’esito artistico finale. Per entrare in argomento sul documentario dedicato a Pietro Sassu e alla comunità di Cuglieri, Renato Morelli è partito da lontano, evidenziando rilievi storici e psicologi che non reputiamo secondari.

Consigliato dalla moglie Alessandra Litta Modignani, artista e apprezzata ricercatrice di eventi popolari, dopo alcuni anni di sospensione, Morelli decise di riprendere l’attività cinematografica, per documentare i risultati di un’indagine accademica dedicata al mondo del Circo e ai suoi illustri rappresentanti. Una ricerca che Litta aveva iniziato a condurre negli anni Ottanta insieme a Sandra Mantovani, nota folk singer ed etnomusicologa milanese. Entusiasta di questa nuova esperienza (“… abbiamo registrato materiali stupefacenti e di alto valore documentale…”), nel 2011, il nostro regista trentino ha concentrato l’attenzione su Premana e in seguito sulla Settimana Santa di Cuglieri. Con Pietro Sassu, Roberto Leydi e Piero Arcangeli, aveva già lavorato alacremente alla pubblicazione di un’autorevole opera etnomusicologica titolata “Canti liturgici di tradizione orale” (con annessi quattro dischi a 33 giri, 1988, Edizioni Albatros). Inoltre, sempre negli anni Ottanta, Morelli e Sassu diedero vita a un’importante collana discografica, “Musica a memoria - Repertori di tradizione orale” e “Sardegna - Confraternita delle Voci”, nella quale vennero registrati i canti polivocali dei cantores di Castelsardo, Orosei, Santu Lussurgiu e Cuglieri. In quegli stessi anni, precisamente nel 1988, Morelli completò il film “Su Concordu. Settimana a Santu Lussurgiu” (con la consulenza scientifica di Pietro Sassu), che fu premiato da Jean Rouge al “Bilan du film ethnographique” di Parigi, nel 1989.
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