Con alle spalle più di 30 anni di catena di montaggio all’Alfa di Pomigliano d’Arco, Matteo D’Onofrio, già storica voce de ‘E Zezi, conosce bene il significato delle “catene” della fabbrica, delle conquiste ma anche delle sconfitte operaie. Nondimeno, le catene del titolo del CD, che il Gruppo Operaio invita a fare a pezzi, sono soprattutto quelle invisibili che obnubilano le menti di un numero crescente di persone nell’Italia del XXI secolo. L’organico del G.O. comprende musicisti che hanno rappresentato a lungo l’anima de ‘E Zezi, il collettivo simbolo che, a partire dalla metà degli anni Settanta del secolo scorso, ha risignificato in segno politico il patrimonio tradizionale orale dell’hinterland napoletano. Accanto a D’Onofrio sono Sebastiano “Miciariello” Ciccarelli (voce e tammorra), Vincenzo Ciccarelli (voce, tammorra), Gianni Mantice (chitarra, mandola ed elettronica), Luigi Moschetti (basso), Fabio Soriano (flauto, ciaramella, tromba degli zingari), Francesco Migliaccio (fisarmonica), a altri numerosi compagni di scena. Lascia perplessi il fatto che soloni della critica e intellettuali che sentenziarono sulla dolorosa scissione degli anni Novanta che portò alla creazione degli Spaccanapoli (oggi Spakka-Neapolis55), non abbiano trovato parole per questa ulteriore separazione che ha fatto nascere il Gruppo Operaio. Intanto il nome Zezi continua ad esistere, attraverso l’altra anima fondatrice Angelo De Falco, che si accompagna a nuovi e valenti musicisti. Ma torniamo a Catene, bell’album imperniato, segnatamente, sulla ritmica tradizionale del ballo sul tamburo combinata a una misurata dose di elettronica e ad innesti rock e world, senza per questo far venir meno la veracità ed immediatezza del canto popolare e la vigorosa denuncia sociale delle liriche, tutte in napoletano. In tal senso, pregevole è stato il lavoro agli arrangiamenti di Gianni Mantice, già fondatore di Almamegretta, poi con i 99 Posse, che firma la maggior parte dei 12 brani del disco. L’album si apre con l’incalzante “Trasite, trasite”, amara e ironica descrizione del Belpaese, e si chiude con la sempre commovente “Sant’Anastasia”, già celebre cavallo di battaglia de ‘E Zezi, tragica ballata sull’esplosione della fabbrica di fuochi d’artificio che causò 12 vittime nell’omonima località vesuviana. Qui la rilettura è piena di lirismo, in virtù degli interventi di Vittorio Termini (piano) e Mimmo Maglionico (flauto e ottavino). Nel resto del CD, ci troviamo di fronte a commenti consapevoli, per fortuna mai privi di ironia, sulla quotidianità, sulla miseria politica e sociale italica e in particolare del Sud. Con “’O curniciello” si parla di precarietà del lavoro, mentre riflette sulla scomparsa di antichi lavori “‘A canzone de’ mestiere”, dove si incrociano voci di venditori, ciaramella, fisarmonica, chitarra ed elettronica. Tra i punti più alti del disco, “Tutt’e stess” e “’A fine e mese”, due brani utilizzati da Paolo Rossi per la colonna sonora del suo film RCL – Ridotte capacità Lavorative. Il primo è la rilettura di un tema del repertorio dei Darmadar, il gruppo che fu di Gianni Mantice e Patrizia Di Fiore, altra fondatrice degli Almamegretta e prima cantante del gruppo napoletano, protagonista di un magnifico intervento vocale in arabo. Qui troviamo anche la voce di terra di Marcello Colasurdo, Arnaldo Vacca (percussioni) e Daniele Sepe (gralla, sax). Il secondo, con la tromba di Charles Ferris e il riff chitarristico che richiamano Henry Mancini, dà la parola ad un operaio psicologicamente distrutto da trent’anni di fabbrica. La title-track “Catene”, costruita con il canto a risposta di voci femminili, devia verso il dub. Ancora ritmo di tammurriata in “Riflessione di un cafone”. La potente voce sanguigna di Loredana Carannante entra in scena in “Ggente ‘e fruntiera”, tema dedicato ai migranti, infarcito di inflessioni balcaniche. “’A razza da munnezza”, su testo di Antonello Petrillo che non ha bisogno di spiegazioni, è una tammurriata suonata in stile tradizionale: voci, tammorra e percussioni. Pesca nella tradizione degli scioglilingua “Truzze truzze”, caratterizzato da un flauto traverso con ricami funky e una fisarmonica che nella seconda parte tesse frasi su ritmo di tarantella. Infine, l’elettronica dance di “Tecno tam..arro” mette alla berlina la passione italica per le lotterie.
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