Al debutto discografico con la piccola etichetta molisana, ma già attivi da un lustro, gli Adria sono Claudio Prima (organetto, voce), Redi Hasa (violoncello), Emanuele Coluccia (sax tenore e soprano, pianoforte), Maria Mazzotta (voce), Vito De Lorenzi (batteria, percussioni). L’idea di Adria scaturisce dalla collaborazione tra Prima, uno dei maggiori esponenti dell’organetto contemporaneo in Salento, l’albanese Hasa, salentino d’adozione ed elezione, e Coluccia, musicista di formazione jazz. La memoria corre subito a Bandadriatica, di cui questi artisti fanno parte, ensemble anch’esso alla ricerca di vie comuni tra le sponde adriatiche. Tuttavia, in Adria si avverte una maggiore propensione a far confluire lirismo, moduli musicali di terra d’Otranto, tratti popolari dell’area albanese e un ampio orizzonte jazzistico. la figura di Penelope assurge a simbolo di una relazione indissolubile con questo mare. L’iniziale “Favole” è una canzone dalla luce e dai colori folk salentini in cui si apprezzano la vocalità avvolgente della Mazzotta, i caldi passaggi di sax e le eleganti costruzioni del trio d’archi (due violini e una viola). Si cambia registro con “Penelope”, brano dall’avvincente impasto sonoro, in equilibrio tra forza espressiva dei solisti e dimensione d’insieme. Se “Canto” si riporta ad atmosfere più intimiste, con “25 trecce” – illuminata dall’oboe di Mario Arcari – e “Siamo arrivati stanotte” stilemi melodici albanesi e vorticosità ritmiche balcaniche si fanno preponderanti. “Non ti ho detto” è costruita su dialoghi timbrici ed improvvise impennate. In “G24”, “Tre di fiori” e “La grande guerra” l’incontro-scontro tra violoncello e organetto, tra matrici jazz, musica contemporanea e forme ispirate alle musiche tradizionali si fa più pronunciato, conducendo ad una voluta caoticità. La voce di Maria si connota per la vibrante tensione narrativa nella rilettura del tradizionale “Non sento”, uno degli episodi più alti del disco, mentre le trame d’insieme del conclusivo “Jader” gettano ancora un ponte tra genti adriatiche.
Ciro De Rosa
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