I Beatles, fenomeno artistico globale e musica senza tempo

Il mito dei Beatles rimane evergreen. Nel corso degli anni, i loro successi discografici sono divenuti tratto d’unione tra le diverse generazioni e non sembrano accusare il peso del tempo. In quanto fenomeno musicale, commerciale e di costume, il passaggio dei “Fab Four” nella storia contemporanea ha attirato l’attenzione di studiosi di discipline umanistiche e scientifiche.  A cinquant’anni dalla pubblicazione di “Revolution” (luglio 1968), abbiamo voluto ricordarli nei nostri percorsi di ricerca sulla “musica glocale”, per la quale abbiamo scritto un saggio (Expo 2015) e numerosi contributi che riguardano musicisti, ricercatori e compositori di varia formazione e provenienza. 

Un fenomeno planetario 
I Beatles hanno segnato musicalmente un’epoca. Di loro si è scritto in ordine ai differenti ambiti della ricerca storico-sociale, non escludendo gli aspetti economici, giacché nel mondo sono state vendute centinaia di milioni di copie dei loro dischi (alcuni ipotizzano, addirittura un miliardo, circa). Grazie anche al contributo ricevuto dal produttore e arrangiatore George Martin, seppero convogliare all’interno del “beat”, un’infinità di spunti provenienti da numerosi altri generi (quali jazz, classica, folk, etnica) e da una serie di stili sonori graditi al pubblico giovanile, facente capo alla scala pentatonica blues e alle sue diverse applicazioni in campo musicale. I Beatles sono stati un gruppo di tendenza, pure nel modo di vestirsi, acconciarsi i capelli, usare particolari strumenti elettrificati. Conquistarono record di spettatori nei concerti eseguiti in ambito internazionale, alla presenza di “teen” scatenate, che nei “live” accorrevano a decine di migliaia. Si costituirono ovunque fan club e le melodie delle canzoni vennero intonate popolarmente, grazie alla loro “facile” replicabilità; melodie che oggi è possibile ritrovare in antologie didattico-musicali e linguistiche. Diversi titoli delle loro canzoni racchiudono parole chiave, sintesi di un’intera generazione, come “Revolution” e “Let it be”. 
A riguardo, John Lennon affermò in un’intervista: «Gli anni sessanta hanno assistito a una rivoluzione tra giovani, che ha coinvolto l’intero modo di pensare. I Beatles furono parte di questa Rivoluzione, che in realtà è un’evoluzione ancora in atto. Eravamo tutti sulla stessa barca: una barca che andava alla scoperta del Nuovo Mondo. I Beatles erano di vedetta».  Le loro canzoni ottennero successo grazie anche a ben congegnate performance live, rappresentazioni artistiche e varie forme di espressività multimediale. Sapevano muoversi sul palco, entrando in empatia con i fan, facendosi apprezzare da un pubblico trasversale. Venne loro assegnata una quantità innumerevole di premi e di riconoscimenti, catalogati da meticolosi biografi. I Quattro di Liverpool rappresentano un fenomeno duraturo e rappresentativo nella storia della musica contemporanea, interpreti di un periodo storico contraddistinto da innovazione e tensioni sociali, nel quale i giovani giocarono un ruolo primario. In merito, ci è parsa significativa la mostra portata a Milano dal “Victoria and Albert Museum” di Londra, nella quale sono stati esposti alcune centinaia di oggetti, film, immagini simbolo degli anni Sessanta, costellato d’idee rivoluzionarie, di ritmi e sonorità dissacranti per l’epoca, ma anche contraddistinto da ricerca di libertà nei modi di esprimersi, nei costumi, nei modi di vestire, di cui sono esempio tipico le minigonne proposte da Mary Quant. Impossibile isolare la espressività artistica dei Beatles dal contesto internazionale e in particolare da quello americano, ai tempi caratterizzato dalla Guerra fredda (Usa-Urss), da contrasti tra Stati (Cuba, Vietnam), dalla contestazione giovanile e dai movimenti pacifisti nonché da attività pubbliche tese al superamento di atteggiamenti razziali (Martin Luther King). Nella scena pop, nel decennio cha va dal 1960 al 1970, progressivamente si affermò la cosiddetta «Beatlemania», sfaccettato fenomeno, dai detrattori criticato aspramente, che richiede di essere compreso e analizzato tenendo conto delle trasformazioni sociali e culturali che caratterizzarono il periodo storico e i riflessi sulla componente giovanile della società. Ha evidenziato Paul Mc Cartney: «Noi non stavamo cercando di alimentare un movimento di popolo, noi ne eravamo parte, come lo siamo sempre stati. Ritengo che i Beatles non siano stati i leader di una generazione, ma i suoi portavoce».
Numerosi sono gli emuli e le opere a loro dedicate. Singoli brani e album originali continuano a essere rimasterizzati con successo e venduti anche nel “digital store”. Per usare un termine abusato dai social, sono stati un gruppo “virale”, di straordinaria modernità: in tempi rapidissimi, da ragazzotti di “provincia” riuscirono a divenire icone internazionali dello “star system”. Quali sono i meccanismi che permisero una così ampia diffusione della loro musica? Quale il ruolo dei media e dell’industria discografica? Quale quello della pubblicità e della moda? Che cosa rese così vincente la trasmissione delle loro canzoni? Vi sarebbe un’infinità di domande da porsi per analizzare organicamente la “beatlesmania”, sicuramente favorita da un uso funzionale delle tecnologie e della comunicazione, che ha facilitato l’affermarsi del cosiddetto “contagio mimetico” in termini di popolarità, il rafforzarsi “a loop” di desideri speculari riferiti a gusti comuni, secondo il detto “piace a tanti, può piacere anche a me”.  Per provare a dare risposte al “fenomeno Beatles”, riteniamo non si possa prescindere da interrogazioni concernenti i meccanismi che sovrintendono alla diffusione delle idee nelle società dell’informazione, riferibili al libero mercato nei diversi settori produttivi, come pure all’audience, considerata cartina tornasole del riscontro in ambito sociale, politico e nell’orientamento del pensiero a livello di massa. Nel caso specifico, non è utile ragionare solo in termini musicali. Le numerose domande riferite al successo dei Beatles possono portare a infinite risposte, non necessariamente organiche e coerenti tra loro, poiché i fenomeni complessi possono essere analizzati da differenti punti di vista, osservando di volta in volta aspetti parziali di una realtà composita.

La musica del tempo
Pur nella vastità delle diverse questioni, punto fermo restano i dati conosciuti, in qualche modo verificabili come, ad esempio, quelli storici. 
La bibliografia dei Beatles è imponente, ma in questo contesto prenderemo in considerazione solo l’ultima fatica di Ferdinando Fasce: “La musica nel tempo, Una storia dei Beatles” (Einaudi, 2018). Già ordinario di “Storia contemporanea” presso l’Università di Genova, l’Autore è un americanista che ben conosce la cultura di oltre oceano, avendo approfondito negli anni gli aspetti politici (“I presidenti Usa. Due secoli di storia”) ed economici (“Le anime del commercio. Pubblicità e consumi nel secolo americano”). Appassionato dei Beatles sin dalla prima adolescenza, ha continuato ad accumulare materiali di approfondimento anche sulla “popular music”, la cui rilettura gli ha permesso di portare a termine il progetto di ricerca circa la vicenda beatlesiana, riferendosi al periodo 1962-1970, seguendo direttive storico-culturali, al fine di far emergere un quadro complessivo dello straordinario fenomeno musicale, analizzato nel suo tempo, ma inserito nel vivo dei processi lavorativi, del quadro sociale e politico, cercando di far emergere il clima, le aspirazioni, i sogni tipici dei giovani degli anni Sessanta. Il testo è meritevole, ricco di dati e di puntuali riferimenti bibliografici posti alla fine dei capitoli, secondo tipico stile oggettivo-accademico. Il corpus espositivo è scorrevole. Il libro si legge con gusto e interesse, i dettagli delle vicende sono spiegati e narrati con lucidità e chiarezza, ben inseriti in contesti generali entro i quali si svilupparono gli eventi. Rispetto ai gruppi della popular music, è raro confrontarsi con saggi così ben strutturati, capaci di sintetizzare osservazioni e analisi utili per comprendere, nel vivo degli eventi, non solo gli aspetti prettamente musicali, ma tutta una serie di circostanze (più o meno casuali), che aiutano il lettore a stabilire i nessi di causa ed effetto in relazione ai risultati conseguiti. Quando si tratta di band musicali, ci si deve confrontare con realtà soggettive, con i caratteri e le personalità dei musicisti e di coloro che gli ruotano intorno, come tecnici, produttori, operatori della comunicazione, pubblico, giornalisti e critici. 
Per queste ragioni di natura anche psicologica, riteniamo che Fasce abbia scelto di introdurre il periodo di maggior successo dei Beatles, con un lungo flashback, nel quale è riuscito a ben inquadrare il percorso di crescita dei musicisti di Liverpool, cittadina ricca di stimoli interculturali. Dei Beatles vengono raccontati i contesti familiari, i (magri) risultati nello studio, gli stili musicali di riferimento, le iniziali difficoltà incontrate da John nell’organizzare il gruppo e di come selezionò Paul, George insieme ad altri suonatori che, a seguito di alterne vicende, uscirono dai Beatles chi per scelte personali e chi perché sostituito (Pete Best) con il più esperto Ringo Starr. Nella formazione professionale e artistica della band risultarono fondamentali le tournée di Amburgo, massacranti e sottopagate, durante le quali vennero eseguite in prevalenza cover di pezzi altrui. I Beatles si fecero seguire per la produzione da Brain Epstein, il quale riuscì a procurare una prima una registrazione presso la Decca, poi un accordo con la Emi, nella quale operava George Martin, da molti considerato (a ragione) la quinta gamba dei Beatles. Inizialmente titubante, seguì passo a passo la produzione artistica e musicale, in alcuni brani comparendo anche come pianista. Con l’ingresso di Ringo Starr e sotto la guida di Martin, cominciò l’inarrestabile ascesa del gruppo, riscuotendo dapprima successo in Inghilterra e in alcuni paesi europei, successivamente in America, territorio discograficamente difficile da espugnare. Negli Usa, s’interessarono del fenomeno popolare anche psicologi e psichiatri, alcuni dei quali rilevarono negativamente l’euforia collettiva che si poteva riscontrare nel pubblico, composto in buona parte da “teen”, comprese tra i tredici e i diciassette anni. Vi fu chi scrisse di “comportamenti devianti, roba da ragazzine dal quoziente intellettivo limitato”. Di diverso avviso fu l’harvardiano David Riesman, il quale ravvisò nei comportamenti delle fanciulle “una forma di protesta contro il mondo adulto … da parte di giovani che sperano di credere in qualcosa o rispondere a qualcosa di nuovo che hanno scoperto da soli”
Il fenomeno del pubblico femminile giovanile, Fasce ben lo spiega evidenziando i cambiamenti epocali di mentalità e di costume, cui bisognerebbe dedicare un intero capitolo, perché facenti parte del vasto tema dell’emancipazione femminile e della ricerca di autonomia anche rispetto al piacere sessuale, nello specifico spesso colorato d’innocenti fantasie giovanili, sviluppate in autonomia fuori dal controllo genitoriale. Quando i Beatles iniziarono a fare tendenza, finirono sotto la lente dei media e della censura di alcuni giornali e associazioni perbeniste, soprattutto nel sud degli States, dove il tema della discriminazione era particolarmente sentito. John e Paul, ad esempio, dovettero opporsi (con successo) alle richieste degli impresari di Jacksonville (Florida), intenzionati a dividere il pubblico in base al colore della pelle: “Non suoniamo mai dinanzi a un pubblico segregato e non cominceremo ora”, fu la risposta secca dei due musicisti. Da alcuni attivisti religiosi, il Gruppo venne apertamente criticato per manifesto “agnosticismo”, con cartelli in cui era scritto che “adorare i Beatles è idolatria, dice la Bibbia, tenetevi lontani dagli idoli”. Numerosi altri temi sociali vengono sviscerati da Fasce, come ad esempio il rapporto dei “Four” con la politica, i movimenti giovanili, le droghe. Da storico di mestiere, l’Autore riporta nel testo una mole di dati generali e di numeri, come quelli impressionanti relativi alla quantità di spettatori, alla vendita di dischi e agli introiti provenienti dai live, dalla vendita dei supporti discografici, dagli incontri-interviste (presso radio, televisioni) e dal cinema, giacché la “beatlesmania” venne immortalata in diverse produzioni filmiche. A seguito del crescente successo ottenuto, George Martin e il Gruppo di Liverpool poterono godere di maggiore autonomia operativa, che li portò a migliorare e sperimentare, sfruttando al meglio l’uso delle tecnologie in fase di sovra incisione e di missaggio. 
Ciò è osservabile in dischi come “Revolver”, in cui - scrive l’Autore - «…si alza visibilmente l’assicella nei testi, nella struttura musicale, nelle modalità di registrazione, sfuggendo alle etichette dei generi e delle categorie consolidate. Apre una nuova pagina nella storia della fonografia, dell’uso dello studio di incisione come un laboratorio e uno strumento». Con il raggiunto successo, i Beatles trasferirono il “core business” da Liverpool a Londra, città che permetterà ai giovani musicisti di consolidare amicizie influenti nel mondo della società civile e finanziaria. Sono anni di fermento che Fasce analizza ponendo in risalto l’evoluzione dei lavori discografici dei Beatles, evidenziando aspirazioni e orientamenti dei singoli musicisti, legati alle vicende personali come, ad esempio, l’innamoramento di George per la cultura indiana e la meditazione, l’unione solidale anche in termini artistici di John con Yoko Ono, o la separazione di Paul da Jane Asher (attrice londinese) cui seguì il matrimonio con Linda Eastman, fotografa americana. Drammatica e disorientante per il gruppo fu la morte improvvisa di Brian Epstein, mentore che per sei anni aveva seguito con passione il complesso anche da un punto di vista organizzativo ed economico. Sullo sfondo di quasi tutte le produzioni, tra alti e bassi, spicca di continuo la figura paterna e altamente professionale di George Martin, che seppe condurre i Beatles verso produzioni di successo. Negli ultimi anni di sodalizio, i singoli musicisti iniziarono a seguire strade artistiche proprie. Problemi di gestione dei diritti e dell’ingente patrimonio collettivo saranno alla base di numerose diatribe e di procedure legali, che si protrarranno per altri cinque anni dopo la definitiva separazione avvenuta nel 1970. Una separazione voluta da Paul, ma che era già nell’aria e che, in passato, era stata bloccata da John, per non contravvenire a impegni discografici e produttivi. Peraltro, Lennon aveva sempre più consolidato il rapporto artistico con Yoko Ono (poi sposata nel 1969), condividendo con lei un orientamento “musical-militante”, in sintonia con i fermenti giovanili dell’epoca. 
Canzoni come “Revolution” (luglio 1968, oltre ad altre versioni) e “Give peace a chanche” sono indicative di tale orientamento. “Revolution” è una canzone simbolo, nella quale John impiegò una forma dialogica nel testo, rispondendo agli studenti in merito alle richieste di attiva militanza, con versi tipo «You say you want a revolution. Well, you know we all want to change the world; You say you’ll change the constitution. Well, you know we all want to change your head»

Beatles fenomeno globale
Sono trascorsi cinquant’anni. Nel 1968 venne pubblicato l’album “Bianco”, a seguito di un periodo che vide i Beatles attivi presso un centro indiano di meditazione trascendentale. Prendendo spunto dalle note di “Revolution”, abbiamo iniziato a scrivere il contributo dedicato a quartetto di Liverpool sul quale, nel corso della nostra attività musicale, abbiamo avuto modo di sentire i pareri più discordanti, tra chi li esaltava divinizzandoli e chi li bistrattava etichettandoli come furbi canzonettari. Naturalmente, non ci entusiasmano le diatribe spicce.  I Beatles ci interessano come fenomeno planetario e per la capacità di aver saputo comporre canzoni senza tempo, molte delle quali, verosimilmente, riusciranno a resistere in termini di celebrità nei decenni a venire. Nostro intento primario rimane il desiderio di stimolare la discussione e di promuovere una più consapevole diffusione della Musica, con riflessioni che rimandano a un’articolata rete concettuale delle idee, di cui non sempre è facile stabilire i confini. Il nostro è un approccio olistico e interdisciplinare al mondo della musica, accademicamente troppo spesso imbrigliato nei “format” in uso presso i corsi universitari e i Conservatori. La Musica è molto altro. Tutto è in evoluzione, ma i fondamenti cosmopoliti dell’humanitas musicale restano saldi e pur osservando i fenomeni musicali all’interno di una dimensione globale, rimane per noi fondamentale dare valore alle espressività sonore locali che, grazie allo sviluppo della tecnologia e dei mezzi di comunicazione di massa, sempre più hanno potuto diventare parte di quelli che comunemente vengono definiti “Patrimoni dell’Umanità” di cui, forse un giorno, entreranno a far parte pure le canzoni dei Beatles, musicisti di umili origini divenuti Baronetti i quali, a proprio modo - con tre chitarre, una batteria e quattro voci armoniche - seppero far sognare internazionalmente milioni di giovani, lasciando in eredità una pagina appassionante nella storia della musica popolare.  


Paolo Mercurio

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