Castelvecchi ha pubblicato a marzo il libro “Come una macchina volante” di Mimmo Locasciulli, che nasce come biografia ma cresce alla dimensione del romanzo di formazione per le ottime doti letterarie messe in campo.
Soprattutto risultano magistralmente descritti gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza in quel di Penne, in Abruzzo, dove il futuro artista vive, ascolta, assorbe e metabolizza forze e valori di una civiltà contadina che presto sarebbe se non scomparsa perlomeno fortemente emarginata dal convulso sviluppo del novecento. Lì nascono e crescono le due anime di Mimmo: quella razionale e disciplinata della realizzazione professionale, dello studente che resiste alle sbandate di anni formidabili coronando gli sforzi con una laurea in chirurgia; quella invece più istintiva e creativa, che lo porterà ad affiancare i giovani del Folkstudio fino a essere il primo artista pubblicato dall’omonima etichetta.
Il mondo rurale legato ai tempi lenti e inesorabili della natura, la meraviglia dei cambiamenti stagionali, colpivano il giovane visionario, "le cime del grano mi apparivano candele o rami nocchiuti agitati contro il demonio. In quella piana vuota ho sempre pensato vi fosse un apparato per l'aldilà. Ma io, che ero nato nella bocca della bombarda, arrivavo con le braccia aperte, là in mezzo, meglio di un aviatore. E immaginavo di avere una macchina volante; di essere una corrente d'onda o a capo di un drappello spinto al galoppo.
L’infinito era racchiuso nello spazio finito del luogo protetto, la pochezza dei mezzi era compensata dalla grandezza dei sogni, i manuali di chimica e biologia della zia Elsa, tutto generava nel bambino il dirompente bisogno di conoscenza:
"Ho sempre immaginato che i richiami magnifici per la mente venissero dall'ascolto del creato: dai moscerini minuscoli come dall'ampiezza splendida dell'inesauribile. E allora osservavo i tuoni, la dimora del cuore, il gelo che non aveva colorazioni, i fiori che, svanita ogni misura della terra, si esaltavano nella gioia.
E poi avevo i sacri profeti della parola, le aquile che sapevano velare i nostri occhi mortali di infinito; sapevano inserire nei nostri cervelli cavi i fermenti della luce e il giuramento che, riaperti gli occhi, non avremmo più concesso alcun tempo all'ignoranza".
Contemporaneamente il nonno Osvaldo pipa e mandolino, il babbo veterinario dotato di una bella voce di basso e la mamma professoressa di lettere e filosofia che aveva studiato canto un tempo come soprano, l’arrivo di un piano e le amate odiate lezioni, l’ascolto di dischi “diversi”, e l’incontro scolastico nel 1963 con l’amico Sergio che gli faceva ascoltare “Please please me” del “Bitles”, l’ascolto illuminante di Radio Lussemburgo, trasformavano l’approccio alla musica, facendo diventare esigenza la voglia di scoprire il mondo fuori dalla valle, quell’universo dinamico che stava ribaltandosi e faceva arrivare fino ai confini dell’impero il vento dei mutamenti.
Penne "nella sua nobile e storica magnificenza era simile a un soffocamento: i suoi vicoli erano rughe; le case messe a ritaglio su ritaglio, come una coperta rattoppata.”
Fulminante e a fuoco l’aforisma “Quando sei giovane, i sogni hanno il sapore del soprassalto e la durata dell'incertezza”.
Tra brama dell'esistenza e attrazione del genius loci, vinceva la prima.
Ecco i primi complessi da I Puri fino ai Gentle Beats, il primo Farfisa, le sfide con gli altri complessi i Nassa e gli Angeli, i primi contratti nei locali estivi.
Intanto gli studi a scatti, la poesia, la scelta della medicina a Perugia, le speranze della contestazione. Il norvegese Einar che lo porta alla scoperta di Dylan, la chitarra, i cantautori, la musica popolare il folk.
Dopo le complicazioni di un'appendicite in peritonite, finalmente il mito Roma, lo studio che si indirizza verso la chirurgia e la musica che si avvia a maturazione.
Qui il primo scantinato in via dei Capocci con lo pseudonimo di Mimmo Ferri, la scoperta delle esibizioni libere al Folkstudio di Harold Bradley e Giancarlo Cesaroni, l’intercessione di Bassignano, il primo concerto da solo davanti a un unico spettatore.
Nello stesso anno, l’epifanico 1975, arrivano la laurea, il matrimonio e l’incisione del primo album “Non rimanere là”.
Termina qui questo viaggio doppio che lascia volontariamente ai margini, con pudore, amore e famiglia, che sono poi in realtà un ennesimo obiettivo raggiunto, terzo solo per necessità narrative.
Sono pagine che si leggono con piacere queste scritte da Locasciulli, mai debordanti, con il dono raro della sintesi e la capacità fulminante di descrivere mondi in trasformazione, vite a contrasto, speranze e delusioni del tempo, incontri e scoperte epocali.
Chissà che questo non sia l’inizio di un nuovo viaggio del nostro, sulla strada del racconto di penna intorno ai mille mondi attraversati con caparbia armonia e intelligenza.
Alberto Marchetti
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