Velerio Daniele – Primo canto alla macchia (Desuonatori, 2017)

In questo progetto il nome di Valerio Daniele compare accanto a quello di Egidio Marullo. Il quale non è un musicista né un compositore, ma un pittore. “Primo canto alla macchia”, infatti, è un’opera composta da musica e pittura, da linguaggi differenti che parlano del paesaggio e che dialogano insieme per descrivere una serie composita di suggestioni. Insomma è un racconto grande, sviluppato attraverso lo sguardo che gli autori hanno posato sul loro paesaggio (siamo in Puglia), sulla natura mediterranea, “ordinata” in scampoli descrittivi che ricalcano, con molta libertà, un andamento ordinato, per quanto mai rigido. Così Marullo ha realizzato, attraversando il suo paesaggio (definito nel quaderno “meridiano” e “macchia”) una serie di ventiquattro acquarelli, mentre Daniele, in dialogo con le opere pittoriche, ha composto otto brani. Dall’insieme delle descrizioni emerge una convergenza di carattere non tanto metodologico quanto interpretativo: i due autori scelgono un ritmo pacato e descrivono i loro orizzonti sottraendo gli elementi più concreti, o addirittura più materici. Ne risulta una linea narrativa eterea e visionaria, direi principalmente astratta, in cui il peso maggiore viene dato all’evocazione, alla profondità che può raggiungere un’osservazione partecipata e inebriata dalle suggestioni che si accumulano nell’interazione con la natura, con lo spazio. In comune i due osservatori hanno l’attenzione analitica ad alcuni dettagli che vengono trattati come riflessi, come riverberi di un insieme di “cose” che non sembrano mai ferme, e che anzi si trasformano dentro un tempo che non si ripete mai uguale a sé stesso. Hanno poi in comune ciò che possiamo ricondurre alla sintesi: gli acquarelli sono spesso dettagli, così come le musiche di Daniele sono brevi flussi che sembrano districarsi con armonia tra gli alberi e gli orizzonti che attraverso di essi si intravedono, si immaginano. Per questo i suoni sono sfuggevoli e abbaglianti allo stesso tempo, avvolti in un circuito di effetti morbidi e confortevoli. Addirittura in alcuni casi sembra di ascoltare degli accenni, o meglio qualcosa che non può compiersi fino in fondo e che rimanda a una dimensione intoccabile, irraggiungibile. È il caso, ad esempio, di “Canto alla macchia, frammento”, il brano con cui si apre la scaletta. Dura poco appena un minuto e mezzo e introduce con una sfuggevolezza molto determinante un tappeto di suoni che si distende poi fino alla fine. Daniele si riconduce a quella sintesi di cui sopra utilizzando la sola chitarra, sostenuta qua e là da un’elettronica straniante e sempre in secondo piano. Il secondo brano, “Speranza caduta da cavallo”, è uno dei più legnosi (chissà se può essere ricondotto con più vicinanza iconografica al paesaggio di cui tratta?), con una chitarra acustica piena e gentile, che proprio agli alberi fa pensare. Non mancano tratti più sperimentali, nell’ambito dei quali la chitarra elettrica ampia lo spettro della descrizione. “Il sole brucia” è rappresentativo di questo corso più netto e avvolgente, oltre ad essere uno dei brani più descrittivi dell’album. Il suono della chitarra si intreccia a diverse sfumature e circola senza sosta tra sponde più definite, in un andamento anche più ritmato e contrappuntato da effetti più ricercati e mai ridondanti. Il canto alla macchia è ripreso più volte attraverso piccoli frammenti: vi è la sua “Visione anzitempo”, suonata con un’acustica arpeggiata e limpida, vi è il “Frammento 3”, più disteso e profondo, e alla fine della scaletta un “Canto alla macchia”, senza altre indicazioni. Si tratta di una composizione articolata che corre lungo il tempo di oltre nove minuti e che chiude il passaggio nel paesaggio in modo sublime. Nella prima parte la chitarra sembra invitarci a camminare e a guardare, definendo le linee di uno spazio aggraziato ma allo stesso tempo vagamente insidioso. Il flusso delle poche note è sostenuto da suoni crepuscolari più acuti e profondi, e ogni passaggio continua a vibrare in un lungo silenzio che introduce la seconda parte. Questa emerge dal buio con più freddezza, lasciando però la vera chiusa dell’album a dei suoni sinuosi e ipnotici, che solo alla fine richiamano il tema del brano. 



Daniele Cestellini

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