Ablaye Cissoko & Volker Goetze - Djaliya (Kora and Ko/Ma Case/ L'Autre Distribution, 2014)

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“Djaliya” è un disco nuovo sotto molti aspetti, che nasce dalla felice convergenza tra il suonatore di kora e cantante senegalese Ablaye Cissoko e il trombettista tedesco - ma New York based - Volker Goetze. I quali - lo specifico perché è un dato non secondario, vista la qualità della musica che propongono - hanno già collaborato in passato, producendo un disco insieme nel 2008, intitolato “Sira” (inoltre Goetz ha prodotto un documentario dal titolo “Griot”, sulla storia e il ruolo di questi cantastorie in Africa occidentale). In queste pagine attraversiamo spesso l’Africa occidentale e le sue espressioni musicali più interessanti, che si esprimono attraverso le strutture, gli strumenti (la kora ne è il simbolo più diffuso) e i suoni più tradizionalizzati, quasi sempre con un occhio anti-retorico sulle possibilità di “ingrassarne” gli esiti con i linguaggi e le idee più sperimentali. Questa volta tocchiamo da vicino un’esempio interessante di come l’estensione transnazionale di questo linguaggio mischiato e proteso verso la cultura musicale europea e degli Stati Uniti possa produrre una grammatica sorprendente. E senza tirare in ballo tante questioni fuorché quelle musicali, del suono, dell’atmosfera, delle visioni di questi due ottimi musicisti. L’ascolto di “Djaliya” scorre veloce e liscio. Le tracce si susseguono con armonia e, oltre agli strumenti principali dei due autori, ne intervengono pochi altri. 
Anzi si aggiunge solo qualche percussione (leggera e musicale, con suoni spesso lontani, di contorno, di atmosfera, e legni battuti a mano) per sostenere un andamento generalmente caratterizzato da tempi lenti e cadenzati (come nel brano “Politiki”). Se la voce di Cissoko (e la sua lingua ovviamente) ci tirano i piedi nella polvere delle strade di Bamako, ascoltando con attenzione le sue melodie avviluppate intorno alla kora, ci accorgiamo che riflettono uno spettro più ampio di quello che siamo soliti ascoltare anche dai grandi e più famosi artisti di questa area dell’Africa. Uno spettro melodico a tratti bluesseggiante e che spesso ci viene proposto attraverso soluzioni raramente adottate nei dischi world più diffusi. È molto rappresentativo di questo approccio “Souma Manone”, il brano di apertura dell’album. Qui, oltre a proporre un riff di kora ritmato, marcato e cantabile (che prende forma dopo un prologo più veloce) - sul quale si trascinano in alternanza alla voce le melodie morbide della tromba di Goetze - la voce di Cissoko è incalzata e ispessita da una seconda voce più soffusa, che definisce uno spazio armonico nuovo e inaspettato. Un’impressione simile - di apparente disorientamento e stupore - si ha con “Nté Dionola”. 
È un brano più acido degli altri, suonato solo con tromba e kora, nel quale anche la voce assume un tono più strisciato e rauco. Qui però è soprattutto la tromba a definire il sound, tirandosi dietro un nugolo di note che la kora impasta dentro un ritmo e una melodia che solo a tratti si riallaccia, quasi all’unisono, al tema soffiato da Goetze. Prima dicevo di tralasciare, per quanto possibile, gli elementi di contesto. Non voglio contraddirmi in modo banale, ma credo sia necessario dire almeno che la sensazione più forte che si ha ascoltando questo disco può rimandare all’immagine (peraltro alquanto consolatoria) di due musicisti che, dai loro rispettivi ambiti di provenienza, si sporgono l’uno verso l’ambito dell’altro. Le loro storie e la storia delle loro collaborazioni sembra, d’altronde, corroborare proprio questa immagine. Entrambi suonano e lavorano molto sia in Europa, Stati Uniti che in Africa. E questo lavorio concreto anche sulle dinamiche di produzione dei sound internazionalizzati dalla tradizione musicale world, ha fornito a entrambi gli strumenti necessari a evitare la reificazione più scontata. 


Daniele Cestellini
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