I Folkamiseria sono una formazione con ben chiara in testa l’idea che i generi musicali si possono attraversare. E si possono interpretare con un certo grado di libertà. Oltre a questo hanno anche bene in mente alcune strutture – e alcuni processi organizzativi – delle musiche di ispirazione popolare di matrice nord-europea, che esprimono con una strumentazione abbastanza standardizzata e ormai popolare (violino, bouzuki, chitarre, basso, batteria, bodhran, cornamuse), arricchita con qualche elemento inaspettato (piffero delle quattro province, charango, ghironda) e da un piglio e un’energia molto piacevoli e coinvolgenti. “Musici Mosaici”, il loro nuovo album (ne hanno all’attivo due, ai quali si aggiungono alcune compilation), si inserisce in modo abbastanza netto in questa prospettiva. E ne diventa, anzi, una sorta di manifesto, caratterizzato da un’alternanza equilibrata tra gli elementi di un panorama sonoro riconoscibile e alcune soluzioni più elastiche che si posizionano un po’ fuori dal quadro, sia sul piano timbrico (“Sgaiusa”) che strutturale (“Ben viene Maggio”). Scorrendo la scaletta si scoprono dei brani che, a un primo ascolto, possono sembrare avulsi dal disco, ma che, a ben vedere, presentano alcuni elementi di coerenza con l’impianto generale (“Swinging Bagdad”). Anzi direi che la bellezza di questi brani si definisce da un lato attraverso la loro sospensione in uno spazio meno riconoscibile, mentre dall’altro attraverso il ricorso a quella strumentazione così determinante, ma che tradizionalmente contraddistingue ed è utilizzata in un genere ben preciso (i riferimenti della band sono evidentemente i repertori irlandesi, ma anche – come ci dicono loro stessi – quello kletzmer, francese e piemontese). “Dormi piccina” è un buon esempio di questa biunivocità. Si tratta di un brano che ci trascina fuori dal celtismo per spingerci in un ambito più tradizionalmente cantautorale, nel quale si avverte l’eco di una tradizione narrativa che attraversa l’Europa e interessa le aree più settentrionali del nostro paese. Ciò che fa la differenza dentro la struttura di una canzone come questa – caratterizzata da un tema molto melodico, introdotto da un arpeggio discendente di chitarra, al quale si impastano alcune variazioni di fisarmonica, e da un incedere abbastanza classico – è l’arrangiamento. E quindi l’utilizzo originale di una strumentazione “di genere”, che sostituisce strumenti più classici e trasversali (pianoforte, ad esempio, oppure un violoncello) nell’interpretazione di una ballata speranzosa e malinconica. Soluzioni simili – i cui esiti contribuiscono a differenziare la produzione della band – si possono riscontrare in brani come “Pirati del Po”, “Lil butterfly reel” e “Au crépuscule del l’été”.
Daniele Cestellini
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