Come spesso accade, gli showcase del primo pomeriggio producono incontri emozionanti in un’atmosfera raccolta, dove si privilegia un ascolto attento. Nell’auditorium “Piccolo” del Tampere-talo si è iniziato giovedì con i taiwanesi 3Peoplemusic (guzheng, zhongruan, dizi e xiao), strumentisti tecnicamente dotati dall’approccio cameristico. A seguire, The Handover, trio cosmopolita (Belgio, Egitto e Norvegia) di oud, violino e tastiere, portatore di un suono labirintico che improvvisa con piglio psichedelico su strutture della musica araba classica e popolare, sviluppando un set senza soluzione di continuità. Minimalismo lirico hanno offerto, venerdì, Owen Spafford (violino) e Louis Campbell (chitarra e voce), in cui si intrecciano post-rock, folk e improvvisazione in una fluttuazione sonora che rapisce. Lo stesso giorno hanno fatto centro gli Yaráká: il trio tarantino è stato acclamato da delegati di chiara fama per la performance dal tratto “rituale”, che fonde la sacralità canora dell’Italia meridionale con inflessioni timbriche e ritmiche che guardano verso altri Sud. Davvero complimenti! Al sabato abbiamo, purtroppo, dovuto fare a meno dei Bitoi, fermati da un volo cancellato, ma ci siamo rifatti con il duo coreano Dal:um, che attinge alla tradizione nazionale delle cetre gayageum e geomungo. Le due strumentiste, con tecniche tradizionali e
innovazioni stilistiche, esaltano il suono naturale dei due strumenti, pizzicati, sfregati e percossi con passaggi placidi, avvolgenti o incisivi. Per le serate e le notti womexiane, il vostro cronista ha dovuto fare i conti con le consuete sovrapposizioni delle esibizioni, che impongono scelte estetiche e logistiche, al di là delle peregrinazioni notturne a piedi o favorite dallo shuttle bus che ha collegato una venue all’altra. Dopo un assaggio del suono roots latino dei messicani-americani La Santa Cecilia, largo spazio alle Zawose Queens dalla Tanzania, con Pendo, figlia del “dottor” Hukwe, affiancata dalla cugina Leah, protagoniste eccellenti con le loro polifonie vocali, il suono del metallofono illimba e le percussioni. Sempre nella serata di giovedì, i Dur-Dur Band International hanno fatto rivivere le atmosfere dei club della swinging Mogadiscio. Altra orchestra, dal piglio elegante, le Fleurs Noires, comprendente dieci donne da Francia e Argentina, rielabora espressioni classiche e contemporanee del tango. Ancora un combo di donne, le Suraras de Tapajós (voci, banjo, tamburi e maraca), appartenenti al popolo Carimbó del Brasile, danno voce alle culture native del Brasile del Basso Tapajós, regione del Pará; proiettano un manto esotico nella loro vestizione tradizionale, ma danno voce, senza dubbio, in
maniera festosa e coinvolgente, alle istanze dei popoli nativi amazzonici. In solo, invece, trionfo per il fisarmonicista bielorusso/polacco Yegor Zabelov, nella cui cifra sperimentale si assommano ambient, avant-jazz e neoclassicismo. Bene si deve dire anche di AySay, vivace band multikulti di Copenaghen che dissolve confini musicali nella confluenza tra folk anatolico ed elettronica nordica. Clou della prima serata di showcase, il set delle The Baltic Sisters, di cui ci siamo già occupati in queste pagine presentando il loro album d’esordio. Sono quattro cantanti da Lituania, Lettonia ed Estonia, esperte del canto polifonico lituano sutartinės, espressione contrappuntistica con voci sovrapposte, a creare un effetto affascinante quanto straniante, accompagnandosi anche con kokle e tamburo a cornice. Restando nelle latitudini boreali, interessante il duo Hildá Länsman & Tuomas Norvio, combinazione di canto yoik ed elettronica. La serata di venerdì è stata aperta dai The Klezmatics, giunti a celebrare con grande verve la ristampa su vinile del loro seminale album “Rhythm+Jews” (Piranha), che portò trionfalmente alla ribalta il loro klezmer progressive. L’organettista Yeison Landero ha fatto ballare al ritmo della sabanera dell’area caraibica colombiana di Montes de María, mentre la cantante turco-curda
alevita-olandese Meral Polat ha proposto un set serrato di psych-rock a tinte anatoliche. Magnifica l’esibizione del Jawa Ensemble, con tanto di derviscio danzante, un gruppo che si prefigge di preservare il canto sufi e la spiritualità musicale della martoriata città siriana di Aleppo. Fascinoso anche il collettivo belga Toasaves, guidato dall’esperto oudista Tristan Driessens, che, a partire dal repertorio dell’iconico musicista folk di Anversa Wannes van de Velde, intreccia i suoi strumenti (oud, viella, dilruba, flauti medievali, cornamusa, ghironda e tamburi a cornice). Era molto atteso il set electro pop & funky dell’iraniana-israeliana Liraz, che ha ripagato le aspettative. Liraz, da sempre vicina ai movimenti di emancipazione delle donne iraniane, ha dovuto confrontarsi con una protesta filo-palestinese che le contestava la partecipazione a un evento di raccolta fondi a favore dell’esercito israeliano. Cambiando scenario, Malkit Singh/Golden Star ha celebrato i fasti del bhangra con un trascinante set danzereccio, mentre la band di Zily, originaria di Mayotte, ha fuso influenze provenienti dalle isole dell’Oceano Indiano. Non è passato inosservato il duo Piqsiq, due sorelle Inuit dal Canada, appassionate di katajjaq, il canto tradizionale artico in cui ci si pone faccia a faccia, alternando suoni
gutturali e vocalizzi ritmici. In questa sorta di “gioco” musicale il ritmo nasce dal respiro e dall’alternanza delle due voci, ma le due performer hanno creato loop improvvisati dal vivo, regalando un’esperienza unica e suggestiva. Il sabato, terza serata live, si è aperto con l’iconico tastierista etiope Dawit Yifru, uno dei mentori dell’ethio-jazz. Spazio anche all’orchestra panafricana del capoverdiano Mario Lucio e al trombettista, compositore e direttore d’orchestra nigeriano Etuk Ubong, che ha portato la sua voce afrobeat di filiazione kutiana. Dal Mali si è fatta notare la cantante Kankou Kouyaté, proveninte da una schiatta griot, coadiuvata dalla superlativa band Les Etoiles de Garaná. Sugli scudi pure i cinesi Manhu, dallo Yunnan, mescolatori di espressioni tradizionali Sani/Yi con ritmiche rock, e il trio transnazionale Gordan (Serbia, Austria e Germani) forte della vocalità viscerale della serba Svetlana Spajić, sposata a elettronica, basso pulsante e percussioni ipnotiche. Da parte sua, il violinista e compositore americano-palestinese Akram Abdulfattah ha proposto uno stile eclettico, radicato nella musica classica araba ma contaminato da jazz, rock e funk. Per chi scrive, scoperta della serata è stato l’organettista finnico Antti Paalanen, istrionica personalità dalla grande verve da storyteller. Ultimo
showcase nella notte tra sabato e domenica, la folktronica lituana di Sutartronica, pur interessante, ci ha convinto quando il soundscape avvolgeva il canto tradizionale a più parti, rispetto alla deriva techno e pop delle sequenze elettroniche. Com’è noto, un’altra caratteristica del Worldwide Music Expo è lo spazio speciale riservato alle proposte di OffWOMEX. Mentre gli “Official Showcase” prevedono un numero limitato di slot scelti tramite una call e una giuria, OffWOMEX offre una piattaforma integrata, più flessibile, a pagamento, curata in collaborazione con uffici nazionali e regionali di esportazione musicale, festival e organizzazioni. Nel focus presentato quest’anno da Sounds of Spain, il veterano cantaor José de los Camarones si è esibito con una band elettrica di sapore psichedelico, mentre il chitarrista di Cadice Pipo Romero ha proposto il suo fingerstyle, fondendo flamenco, folk, jazz ed elettronica. Nel secondo approfondimento geografico, questa volta brasiliano, si sono distinti Flaira Ferro, con la sua rivisitazione del frevo pernambucano, ed Esdras Nogueira, sassofonista alla guida di un quintetto che combina jazz, afrobeat, samba e altre influenze globali. Molto interessante il trio di artisti
presentato dalla piattaforma Upbeat nella notte di sabato. I “nostri” Ra di Spina hanno messo in luce voci notevoli che si stagliano, si intrecciano e si rincorrono anche mediante l’uso di loop station. Ci permettiamo di osservare che si avverte la necessità di un maggiore amalgama con percussioni e chitarre per dare più vigore alla loro “vocazione” innovativa nella rivisitazione dei canti del Sud Italia. Progetto che rinnova la tradizione, convincente per eleganza pure quello dei bretoni Eben – che qua e là, tuttavia, tradiscono qualche sfumatura un po’ troppo patinata negli arrangiamenti – mentre, nel loro serrato set acustico gli ucraini/polacchi Hrabery (dulcimer, violini, tamburi a cornice) hanno dato spazio ai repertori da ballo dei villaggi di confine. Le lunghe notti musicali del week end a Tampere si sono protratte al cosiddetto Club Summit (al Tavara-asema), dove, tra i producer presenti, ci piace segnalare il réunionnais Jako Maron, che fa confliggere i ritmi creoli con l’elettronica, il brasiliano/tedesco K’Bobo, miscelatore di sonorità afro-brasiliane, techno e house, e il cileno Tamarugo, esploratore dei paesaggi sonori dell’America Latina attraverso elettronica organica e ritmi andini moderni. Alla domenica mattina, la cerimonia di chiusura, sul
palco dell’auditorium minore del Tampere-Talo, ha concluso la 31ª edizione del WOMEX. Il Premio per l’Eccellenza Professionale è stato assegnato ai Syrian Cassette Archives (SCA) per il loro straordinario lavoro di documentazione e conservazione della cultura delle cassette in Siria. Tuttavia, i direttori di SCA, Mark Gergis e Yamen Mekdad, hanno rifiutato il premio in protesta contro la programmazione di Liraz, dichiarando: “La cultura non è mai neutrale. Chi lavora nella musica e nelle arti ha la responsabilità delle narrazioni che propone e delle strutture di potere che tali narrazioni rafforzano”. L’organizzazione WOMEX ha rispettato la loro decisione, promettendo una riflessione interna e un ascolto attivo della comunità. Il concerto di commiato ha visto protagonista Noura Mint Seymali, vincitrice dell’Artist Award. La straordinaria artista mauritana, una iggawen (griot) che rinnova l’eredità musicale ricevuta dalla matrigna Dimi Mint Abba si è esibita in quartetto con il marito, il chitarrista Jeich Ould Chighaly, il bassista Ousmane Touré e il batterista e co-produttore del nuovo album “Yebnett” (Glitterbeat) Matthew Tinari. Seymali, cantante e suonatrice dell’arpa ardine, combina forme modali della tradizione maura con chitarre psichedeliche e ritmi implacabilmente magnetici. Una conclusione di notevole qualità artistica per il WOMEX, che il prossimo anno farà rotta finalmente a Sud: appuntamento a Las Palmas de Gran Canaria, dal 21 al 25 ottobre 2026.
Ciro De Rosa
Foto di Yannis Psathas (1, 2, 3, 11), Jacob Crawfurd (4, 5, 6, 7, 8), Eric Van Nieuwland (9, 10)
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