Il debutto dei Rivocs – progetto di Laura Giavon e Marco D’Orlando – è uno dei lavori più audaci e spiazzanti della recente produzione friulana. Giavon, cantante di rara sensibilità timbrica, e D’Orlando, percussionista tra i più eclettici del territorio, scelgono una forma essenziale e scarna: un organico ridotto all’osso, costruito sulla relazione primaria tra voce e percussione. Un ritorno alle radici, ad un'esplorazione del suono e del ritmo come eco della terra. La loro musica richiama i campi friulani, le distese che si perdono all’orizzonte, il vuoto sonoro che contraddistingue certi paesaggi delle Valli. Ma allo stesso tempo attinge a tradizioni africane, alla ricerca timbrica del jazz contemporaneo, al minimalismo vocale e alla pratica dell’improvvisazione. I brani non inseguono la melodia facile né l’impianto pop: costruiscono invece traiettorie, movimenti, piccoli mondi interiori alimentati da ritmo, respiro, corde vocali tese come strumenti antichi. Le incursioni strumentali – l’mbira, il basso elettrico, la stratificazione vocale – ampliano lo spettro ma restano fedeli a un’estetica essenziale, fatta di precisione, ascolto reciproco, calibratura dello spazio sonoro. In “Pletora”, l’ingresso delle voci di Daisy De Benedetti, Caterina De Biaggio, Alba Nacinovich e Juliana Azevedo sposta l’equilibrio verso una coralità che non è abbellimento, bensì invocazione, apertura verso un oltre. Il disco richiede un ascolto attento, quasi meditativo: c’è rigore, c’è rischio, e a volte la ricerca sembra prevalere sulla comunicazione immediata. Ma è proprio lì che si colloca l’identità dei Rivocs: in una poetica che non semplifica, che non intrattiene, che interroga il rapporto tra gesto e significato. Un esordio che ha il coraggio di restare fuori dalle categorie, e che conferma la vitalità sperimentale della scena friulana.
Salvatore Esposito
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