Rhapsódija Trio – Di Visioni Musicali (Sensible Records/Edizione Ishtar, 2025)

Fondato nel 1993 da Maurizio Dehò, insieme a Cosimo Gallotta e GianPietro Marazza, il Rhapsòdija Trio ha trovato la sua identità definitiva con l’ingresso nella line-up del chitarrista e poeta Luigi Maione e del fisarmonicista Nadio Marenco, due strumentisti di talento che hanno segnato il passo nell’evoluzione sonora del gruppo attraverso la world music e il jazz. Sin dagli esordi il trio ha intersecato il proprio percorso con il cinema, il teatro e la televisione, mettendo in fila una lunga serie di collaborazioni - da Silvio Soldini a Moni Ovadia, da Antonio Albanese alla compagnia Abbondanza/Bertoni - oltre a firmare progetti legati a moda, danza, pubblicità e musica leggera come nel caso della bella rilettura di “Vacanze Romane” con Antonella Ruggiero. Parallelamente hanno dato alle stampe otto album tra cui meritano una citazione il debutto “Stare' Mesto” nel 1994, il pregevole “Spartacus” del 1997, “Iatria” del 2001 prodotto da Piero Milesi e il più recente “Un Mondo, a pezzi” del 2019. A distanza di sei anni dal precedente, il Rhapsódija Trio torna con “Di Visioni Musicali”, album che segna una nuova fase del loro percorso artistico con l’ingresso in formazione di Adalberto Ferrari (clarinetti, sassofoni, fiati etnici) che ha raccolto l’eredità storica del fondatore Maurizio Dehò, ampliando la gamma timbrica e sonora del gruppo. Questo nuovo lavoro è, dunque, la fotografia di un gruppo che ha saputo trasformare la propria storia in un laboratorio sonoro aperto, capace di rigenerarsi senza tradire le sue radici, ma soprattutto ha cristallizzato, negli anni, una grammatica sonora in grado di far dialogare tradizioni, idiomi e sonorità differenti, spaziando dal jazz all’improvvisazione dalla tradizione italiana a quella dell’Europa dell’Est, il tutto permeato da una visione musicale completamente libera. Accolti dalla bella copertina, tratta da un’opera della serie Orizzonti di “Narciso Bresciani”, che evoca efficacemente l’estetica del disco come sottolineano i membri del trio: “Abbiamo scelto di accostare Orizzonti alla nostra musica perché nelle sue crepe e stratificazioni riconosciamo la stessa tensione, libertà e immaginazione che ci guidano quando suoniamo. È un paesaggio che diventa racconto, memoria e apertura: una vera e propria “visione musicale” che accompagna il nostro viaggio”. Composto da nove brani, tra composizioni originali e riletture, il disco è un affascinante viaggio sonoro, caratterizzato da incroci ed attraversamenti sonori in cui la fisarmonica di Marenco è memoria e respiro, la chitarra di Maione un motore narrativo che sa essere lirico o tagliente, mente i fiati di Ferrari sono un crocevia di culture. Ogni traccia spicca per il perfetto interplay tra i tre strumentisti nel costruire architetture sonore perfette in cui scrittura e improvvisazione sono perfettamente in equilibro. Ad aprire il disco è “For Gégé” firmata da Ferrari, un brano dal passo irrequieto, in cui protagonista è l’improvvisazione con il trio che si muove con abilità tra musica klezmer, jazz e rock. Si prosegue con la suite che interseca e declina al futuro il tradizionale klezmer “Viazoy” con la sua melodia cantabile in cui spicca il dialogo tra chitarra e fisarmonica e la melodia yiddish in tempo dispari “Papirossn” che si muove dal prog all’improvvisazione. “Czarda” di Marenco spicca per la sua brillante tessitura danzante e ci regala una citazione della melodia “Volevo un Gatto Nero”, un gustoso divertissement che conclude il brano con un pizzico di leggerezza ed ironia. Dalla poesia delle liriche de “La Maschera Rosa” di Maione si passa alle atmosfere cinematografiche di “Ballata da Teatro” di Ferrari che ne traduce in musica le evocazioni poetiche. Se “Zapping” scritta da Maione è una composizione dalle sonorità urbane in cui il jazz si interseca con il rock, il funk e gli echi mediterranei, a seguire ascoltiamo un altro medley che intreccia il lamento klezmer “Nigun Null”, il tradizionale “Der Gasn Nigun”, completamente destrutturato dal trio con il dialogo tra chitarra elettrica e clarinetto basso che crea un’atmosfera quasi noir in cui si inserisce la melodia disegnata dalla fisarmonica, per giungere alla sorprendente “Mazel Tov” una danza klezmer riletta tra jazz, reggae e dub. “Afasia” di Maione è ispirata ad una poesia di quest’ultimo e presenta una struttura che rimanda alla grande tradizione melodica italiana per poi evolversi in un climax in crescendo che abbraccia klezmer e musica tradizionale, spinta da un ritmo incalzante, prima di giungere al finale cantato. “Monica” di Nadio Marenco è una improvvisazione a tutto tondo che presenta uno sviluppo armonico e melodico libero ispirato alla poesia con fisarmonica, chitarra e clarinetto a dialogare in un crescendo denso di emozione. Chiude il disco il brano tradizionale klezmer “Firn Di Mekhutonim Aheym”, utilizzato in origine per accompagnare i consuoceri alla fine dei matrimoni, e qui riletta in una versione radicalmente riarrangiata con sonorità che evocano spaccati desertici e giungere al finale con le citazioni del tradizionale greco “Misirlou” e lo sguardo verso i balcani con “Mujo Kuje”. “Di Visioni Musicali” è un lavoro maturo, profondamente coerente con la storia dei Rhapsódija Trio ma capace di introdurre nuove prospettive. È un disco che non si limita a reinterpretare tradizioni: le attraversa, le mette in discussione, le rigenera. E nel farlo ricorda che la musica, quando non si chiude in un’identità, diventa davvero un ponte tra mondi. Un album che ascolta il passato e dialoga con il presente, restituendo una visione: quella di un trio che continua a credere che la diversità sia la più forte delle armonie. 


Salvatore Esposito

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