Jean-Claude Le Ruyet | Sferenn – Inizi ar Mor-bihan (Autoprodotto, 2024)

Le Ruyet è ambasciatore multi-disciplinare della lingua di Bretagna appresa direttamente dai nonni che neppure conoscevano il francese. Scrittore, insegnante, autore di libri, articoli, poesie, conferenze e spettacoli rivolti all'infanzia, ha pubblicato in precedenza il pedagogico “Roz-Kamm” (2014) indirizzato a operatori del settore. Stavolta invece, oltre la sua copertina colorata su sfondo azzurro (opera pittorica della figlia Morgan) questo secondo disco è orientato all’ascolto musicale. Come operazione culturale trova i primi riferimenti storici nei 45 giri per l'infanzia a sostegno dei progetti educativi (allora avanguardistici) realizzati in Bretagna nel 1977 dagli appartenenti alla gloriosa cooperativa musicale Névénoé (Kristen Nogués, Gérard Delahaye, Melaine Favennec). Il 23 maggio di quell'anno aveva finalmente visto la luce a Lampaul-Ploudalmézeau, la prima classe scolastica elementare Diwan dove si insegnava il bretone grazie al maestro Denez Abernot (egli stesso eccelso cantautore della prima ora). Gli alunni furono solamente cinque ma era l’inizio, la lingua tornava ai bambini, tornavano le filosofie contadine, si risvegliava il sapore antico di scarpate e colline, nuove verità sarebbero sorte in seguito da quelle giovani labbra. In quell’epoca Abernot incise anche un altro 45 giri collettivo dal titolo “Kanaouennoù Evit Ar Vugale”, come supporto alle pionieristiche lezioni, assieme a Dan Ar Braz, Fañch Bernard, Yvon Gouez, Bernard Sever e all’altro celebre cantautore Gweltaz Ar Fur (che era allora presidente dell’Istituto). Più di recente, almeno due libri/CD bretoni dedicati all'infanzia, sono altrettanto degni di menzione: "Comptine et berceuses de Bretagne”, 2009 (con l'apporto, tra gli altri, di Annie Ebrel, Jacky Molard e del compianto Yann-Fañch Kemener) e “Kan ar bed”, 2018. Appare leggero come una foglia “Inizi ar Mor-bihan” ma tocca temi sociali pesanti, come povertà morale, inquinamenti, patriarcato, disuguaglianze, manipolazioni di gente da parte di forze sociali, media, potere religioso, movimenti politici. Tra ballata e mitologia contemporanea, i riferimenti alla cultura bretone sono le linee guida di storie che raccontano di forti e deboli, arti e mestieri, odori e colori, viaggi e avventure. Lontano dalle dimenticanze e dalle omertà industriali, deragliano in maniera umanistica su una linea ferroviaria che sarà proseguita in seguito da cd come “Berceuses pour les Vieux Enfants” (1992) di Patrick Ewen. Contengono lo stesso imperativo etico e insopprimibile di una Bretagna risvegliata e sempre proiettata, ieri come oggi, verso cromosomiche utopie. E nell'attesa del giorno in cui migliori saranno le realtà, spetta alle favole mantenere vive speranze e scrutare universi fantastici. La musica è uno strumento formidabile per forzare la superficie della realtà e sondare le possibilità dell’immaginazione. Impressa nella storia rimarrà non quella che ripete in eterno se stessa ma che riesce piuttosto a suonare i confini dello spazio e i limiti del tempo, in quei suoni giacciono come pietre, immaginazioni eterne. La forza rivoluzionaria contenuta nella parola "immaginazione" e negli sconfinati usi che l’uomo può farne, è forse il più universale strumento di liberazione che possiede, l’unico realmente democratico poiché chiunque l'adoperi è un artista e nessuno è uno schiavo. Nell’ordine le diciannove canzoni contenute nel cd sono: “Kentañ biskoazh” (La prima volta): kan-ha-diskan che si può ballare come tradizionale “kas a barzh” (danza a coppie originaria di Vannes, evoluzione dell’an-dro, il cui significato letterale è “andare verso l’interno”) sul tema dell’antica coscrizione attraverso estrazione a sorte. “An inizi” (Le isole): arpa celtica e voce infantile riflettono poeticamente sull’universo marittimo “…come serpenti buastri le maree strisciano incessantemente lungo i giorni, davanti all’acqua e alle terre i miei sogni girano e rigirano…”. “Brenniliz”: ecologico e ironico an-dro che sottolinea i pericoli insiti nel consumismo: bombe, avvelenamenti, mucca-pazza, virus, minaccia atomica. Proprio all’interno del Parco Naturale Regionale Armoricano è stata criminalmente istallata una delle 18 centrali nucleari francesi, distante appena una cinquantina di chilometri dalla città di Kemper. Anche se si corre in bicicletta sotto la pioggia dei Monts d’Arée, non si possono evitare gli spettri di Chernobyl 1986 e Fukushima Dai-ichi 2011. “Setu arru an noz, boufam” (Ecco la notte, buona donna): affronta il tema del "patiarcato" narrando i tormenti di madre e moglie da parte di una donna d’altri tempi. “An tourioù-tan” (I fari) inizia con una ispirata recitazione di poetica marina su arpa cristallina: "al limite del mondo occidentale, quando ruggisce il mare, riparati nei porti danzano battelli e alghe, le onde bellicose, instancabili, rumorosamente assalgono l'arcipelago, con bel tempo o pioggia, schiuma e muschio leggero volano come uccelli bianchi d’estate, d’inverno, in primavera e sù fino alla scogliera finocchio marino, limonio, borragine, cespugli ondeggiano senza fine umidi degli spruzzi di mare. E quando si avvicina la notte delle isole rustiche, la roccia malvagia svanisce, la croce di pietra e il suo petto; i fari, tuttavia brillano in lontananza, l'occhio luminoso aperto sull'orlo dell'abisso..." Canto celebrativo in onore ai numerosi fari di Bretagna: Le Stiff, La Jument, Kereon, Le Maen-Korn, le Kreac’h…ma “nella lunga notte dei nostri sogni, quale luce per i nostri passi?” “Ar lagouter” (Il distillatore): intensa e polemica, narra di Ujen ar C’hoed, di professione distillatore ambulante, che col suo alambicco si recava di villaggio in villaggio a raccogliere i vapori alcolici separandoli da quelli indesiderati. Scomparso lui adesso l’operazione è esercitata in maniera artificiale, amaramente, ai suoi tempi “c’era un dottore ogni undici distillatori, oggi il contrario”. “An tam-tam” (Il tam tam): coinvolgente e spensierato an-dro per percussioni che invita a danzare come un cavallo al galoppo nonostante il torcicollo della madre, la faccia schifata del padre, la zoppìa dell’amico e il disinteresse dei fratelli. “Merc'hed Groe” (Le ragazze di Groix): beffardo testo dell’antico poeta-intellettuale cattolico Yann-Ber Kalloc’h (1888-1917), originario di pescatori dell’isola, falciato giovanissimo da una granata tedesca durante la prima guerra mondiale, strenuo difensore di lingua e identità, scrisse questo testo di tre strofe contro la crescente moda dell’esterofilia. Le Ruyet ne aggiunge una quarta originale che ribadisce e attualizza il concetto; come molti, anche nella sua famiglia i genitori non parlavano bretone. “Petra ‘rin-me bremañ” (Che farò d'ora in poi?): melodiosa lamentazione rurale sulla propria condizione da parte di donna sposata e senza alcuna professione “se avessi ali volerei molto in alto a bere una goccia d’acqua alla fontana della vita”. “Bleiz bihan Kamorzh” (Il lupetto di Camors): favola allegorica di un cucciolo del bosco di Camors (area naturalistica di latifoglie e conifere nel centro del Morbihan) intristito per aver perduto una scarpa ma che inizia immediatamente a danzare dopo averla ritrovata. “Ataw e lâre ma mamrn” (Mia madre mi diceva sempre): rap-breton su ritmica tradizionale, esprime il rifiuto dei ripetuti consigli e ordini ricevuti nel corso della vita da genitori, professori, superiori militari, autorità in generale (“…di capi non se ne può più, basta dittature, guardiani e tutori…”). “Ar veleion” (I preti): disincantata canzone anticlericale (che si deve alla voce di Mari Nignol di Bubry, nei pressi di Lignol, vecchia interprete della tradizione bretone) sulla bastardizzazione dei principi di dottrina cristiana. Innocenza e devozione si sono scontrate spesso contro egoismi, avidità, formalismi e burocrazie di una religione istituzionale, dimostrando come la fede individuale sia perlopiù rifiutata dal un sistema consolidato. Sovente, attraverso ignoranza e ricatti emotivi, si è distolta l’attenzione da problemi reali relativi a ingiustizie, prepotenze, abusi. Gli scopi iniziali del cristianesimo sono stati pesantemente condizionati e malintesi, utilizzati per altri fini dai poteri clericali, in alcune fasi storiche perfino criminali, inquisitori e feroci. La religione sarà sempre terreno su cui nasceranno dubbi e interrogativi, cosa ne sarebbe di Gesù se vivesse in quest’era di civiltà moderna dove politica e interessi personali o di casta, sono ancora più subdoli di un tempo?! “Bagig ar garantez” (La barca dell'amore): ode all'umile ape che in una vita intera di lavoro produce un cucchiaino di miele che noi consumiamo in una sola volta. Il lavoro di appassionato apicoltore è stato, per molto tempo, svolto realmente dall’autore Le Ruyet che nella sua composizione cita un frammento di “Dopo l'una” del poeta e drammaturgo futurista sovietico Vladimir Majakovskij, composta circa nel 1930 (“…La barca dell'amore della Vita si schianta contro la roccia grezza del quotidiano…"). “Ar gredañs” (L’armadio): inizia alla maniera di molti gwerzioù tradizionali bretoni (“Ascoltate, vi prego, brava gente del paese, ho appreso recentemente un’orrenda novità”) e macabro come un antico gwerz lo è davvero il finale di questa storia che narra di un reduce dalla guerra d’Algeria che conserva con cura in un armadio un piccolo trofeo che ha riportato. Talvolta lo osserva con occhi che brillano di un fioco bagliore e col pensiero rivolto al Djebel (parola di origine araba che significa "montagna” utilizzata in diverse lingue e riferita ai massicci montuosi del Nord Africa). “Ar c'haleourion” (I galeotti): “Scava, scava, scava galeotto, scava la tua tomba, scavala tutti i giorni. La terra è bassa assai e dobbiamo scavare da Nantes a Brest, scavare il canale e obbedire al padrone…chi vuole evadere crede a Babbo Natale…dopo il colpo di cannone inizierà la caccia e fuori dalla prigione resterà una bestia umana”. Tratta della costruzione del famoso canale di cui anch'io scrissi cinque anni fa in un articolo pubblicato da Terre Celtiche. Le Ruyet origina la canzone a partire dal toponimo “Fontaine au-delà de l'eau" (luogo misterioso lungo la strada di Angers) e la collega al destino dei condannati nella colonia penale di Cayenna dove diversi colori di cappelli evidenziano differenti categorie di galeotti. “Man dous, ho supliañ a ran” (Dolcezza, ti supplico...) l’arpa sola di Quentin Vestur accompagna questa semplice filastrocca-supplica tradizionale cantata da Mathurin Julé per sua moglie. “Mar gellit...” (Se puoi...): ancora l’arpa e un soffio di tastiera (Kristian Devaux) offrono una melodia intensa, “celtizzando” lo stoicismo ottocentesco di "If" (1910) del letterato Rudyard Kipling (qui tradotto in bretone da André Maurois), Il Nobel 1907, scrittore, sceneggiatore, giornalista, corrispondente di guerra, poeta e romanziere inglese scrisse: “Se riuscirai a mantenere la calma quando tutti intorno a te la perdono e te ne fanno una colpa; se riuscirai a avere fiducia in te quando tutti ne dubitano ma anche a tener conto del dubbio..se riuscirai a sognare, senza fare del sogno il tuo padrone; se riuscirai a pensare senza fare del pensiero il tuo scopo; se riuscirai a confrontarti con Trionfo e Rovina e trattare allo stesso modo questi due impostori…tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa e, quel che più conta, sarai un Uomo, figlio mio!”. “Ar lien braw e liw” (Il tessuto di bella tinta): sommesso e dolce ma fiero inno alle proprie origini rurali attraverso un pensiero rivolto dall’autore all’amata nonna (“...i tuoi bambini tornavano dalla scuola, la bocca piena di parole francesi, tu eri lontano dal pensare che si sarebbe perduta la tua lingua e il tuo canto; la lingua di Molière sovente mi sembra piuttosto insipida. Eccomi qui oggi, a cercare di ritessere il tessuto di bella tinta che è la lingua del mio paese”). “An heni diwezhañ” (L’ultimo): il mito di Atlantide venne inizialmente raccontato da Platone. Nel corso del tempo eruditi, storici, geografi, filosofi, archeologici, antropologici, scrittori ne formularono a turno infinite interpretazioni, basandosi sui dati cronologici delle Sacre Scritture. Quando le discussioni uscirono dalle colte stanze della scienza, entrarono in quelle della fantasia per legarsi a remote culture, mondi perduti, scoperte sensazionali. Forse il suo mito è solamente un’invenzione o forse è davvero all’origine delle civiltà storiche d’oggi e da qualche recondita parte dell’inconscio umano, si sono conservati memorie di un’antica catastrofe dalla quale ogni tanto riaffiorano leggende, racconti e canti. In questa canzone dietro una lenta arpa solitaria, si leva esilissimo e solitario, un canto per bocca dell’ultimo degli Atlantidei dopo che gli uomini hanno perduto ogni saggezza, offeso la natura e creato solo caos. Senza oramai alcuna via di fuga, tocca a lui, ultimo rimasto, la straziante e sconfortata riflessione finale: "a cosa serve crescere se non cresce il nostro Spirito?" Nonostante tutto però, dal nulla si leva al termine, un piccolo solo di cornamusa che apre una speranza verso lo sconosciuto avvenire e "semina il futuro" come recitano le parole della traccia bonus (senza audio) “Kanenn d'ar levenez” (Canto di gioia). Forse perché la Terra custodisce eternamente il segno di una mano aperta?! Perfino Albert Camus, (altro Nobel nel 1957) gnostico e disincantato pied-noir d’origine, a contatto con la nativa Algeria, scrisse "Il mondo ricominciava ogni giorno in una luce sempre nuova" (Retour à Tipasa, L’Été, 1953). Termina così un altro disco che celebra i misteri bretoni, piccolo cerchio chiuso dove gli attimi restano sospesi in un oceano di poesia senza fondo e senza riva. Vertice dell'anima che infaticabilmente trasmuta in melodie e versi configurando incorporei gesti nascosti agli occhi ma che si rifrangono nel pensiero come opera nascente sospesa fra terra e cielo. Un pugno di piccole canzoni nelle quali, contemporaneamente, si specchia il passato e l'avvenire è prefigurato in un gioco di riverberi grazie al lume di altissimi fari e al gioco di specchi delle enormi onde. Grazie alla fantasia infantile, la vita continua ancora e nulla turba il sonno sereno dei piccoli stagni. Ken warc’hoazh dre chans e chapeau al coraggio, Signor Le Ruyet! Non è per niente semplice realizzare un disco "impegnato" con...leggerezza. 

Flavio Poltronieri

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