Il progetto Africa Express non ha bisogno di molte presentazioni, anzi di nessuna. Damon Albarn, che lo ha inventato (certo non da solo ma dandogli una spinta fondamentale), si è distinto, come sappiamo da un po’, anche nei settori delle musiche di ispirazione popolare non occidentali, lasciandosi permeare, ormai una ventina di anni fa, dai suoni e dalla cultura musicale del Mali. L’idea di Albarn fu, al tempo, semplice ma anche articolata in varie direzioni. Che potevano portare a infinite soluzioni. Comunque fu semplice perché si configurò – nella forma di un treno vero, pieno di musicisti, che attraversò per un lungo periodo l’Inghilterra – come uno spazio di convergenza di musicisti per gran parte africani e europei, accomunati dallo sguardo lungo sulle collaborazioni musicali e su una scrittura molto performativa, i cui primi effetti si sono avuti (con risultati straordinari) con gli album “Egoli” e “Molo”. L’idea, però, è anche articolata perché Africa Express reclama una serie di elementi sociali e culturali (insomma anche politici). Perché è divenuta un’organizzazione non profit, con l’intento di facilitare le connessioni tra musicisti e artisti africani, mediorientali e occidentali, a cui hanno aderito anche alcuni grandi star della musica internazionale: da Paul McCartney a Tony Allen (con il quale Albarn ha collaborato al geniale progetto The Good, the Bad & the Queen), Brian Eno e Fatoumata Diawara. Come ci dice infatti Giovanni Ansaldo su “Internazionale” – nello spazio di un dettagliato articolo pubblicato in occasione del concerto degli Africa a Ostia lo scorso luglio – questo progetto è sostanzialmente “un gruppo di persone che ogni tanto si riunisce per condividere momenti di vita quotidiana, mangiare, bere e suonare. E che registra album, fa concerti e aiuta persone in difficoltà”. L’album che qui presentiamo, e che i media internazionali hanno ampiamente trattato negli ultimi mesi, è il risultato di tutte queste cose. Più la volontà di ampliare lo scenario di riferimento. Difatti è stato concepito e realizzato in Messico, a seguito di un’esibizione al festival Bahidorá. I musicisti sono rimasti lì qualche tempo, hanno suonato spostandosi in diversi luoghi e registrato “Africa Express presents… Bahidorà”, un album profondissimo e denso, che raccoglie oltre venti brani che richiamano in pieno quella dimensione performativa di cui si diceva all’inizio e che vede la partecipazione di musicisti di varia provenienza, che sperimentano, attraverso rap, pop e suoni percussivi con varie forme espressive tradizionali sudamericane: dalla cumbia alla salsa. Il percorso dell’album è quanto di più eclettico si possa immaginare, sia sul piano timbrico che esecutivo. Da un lato perché, come detto, i musicisti che intervengono sono numerosissimi e diversissimi (Mare Advertencia, La Bruja de Texoco, Eme Malafe, Luisa Almaguer, Joan As Police Woman, Nick Zinner e Baba Sissoko). Dall’altro perché la natura stessa del progetto non permette omologazione né ripetizione: tutto deve scorrere nella sperimentazione e tutto deve rigenerarsi in un confronto fuori dagli schemi, da cui emerge una sintonia musicale trascinante e, soprattutto, una sovrapposizione rigenerante e generativa. Seguendo i partecipanti – tutti sulla stessa lunghezza d’onda in quanto a energia e partecipazione – si realizza che, come ha detto qualcuno, questo non può che essere considerato uno dei migliori esempi di world music contemporanea. E perché no? Non solo vi sono tutti gli elementi per considerarlo tale (lo diciamo con l’ormai usuale e non del tutto scevra di noia diffidenza nei confronti di quel termine lì), ma abbiamo una finestra spalancata sul mondo contemporaneo di quei tratti per nulla scenografici che assumono l’interpretazione e la sperimentazione sulle musiche un tempo (o forse anche ora?) tradizionali. Affidiamoci allora ai grandi musicisti presenti per comprendere appieno quanto sia vasta la scena su cui possiamo affacciarci: oltre ai già citati e ad alcuni altri che non possiamo per ragioni di spazio citare, vi è Seye Adelekan al basso (sodale di Albarn ormai da anni), Bootie Brown, che compare in “Otim Hop” con l’ugandese Otim Alpha, Los Pream e le due percussioniste del Burkina Faso Melissa e Ophelia Hié, che sostengono una buona parte della splendida tensione dell’album.
Daniele Cestellini
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