Mojna – Mareld (Heilo, 2025)

Sottrarre, ridurre all’essenzialità, semplificare senza banalizzare, e in tal modo dare delle suggestioni ed evocare distintamente un paesaggio sonoro – che sia quello delle proprie origini o quello conosciuto attraverso gli incontri con altre culture e il loro studio – fino a crearne di nuovi, che in forma originale e affascinante siano sintesi di tutti gli altri. Questa è la ricetta del trio norvegese-svedese dei Mojna, che a poco più di un anno dall’acclamato “Väntenätter” (con cui il chitarrista Thomas Eriksson ha vinto il premio di “compositore dell’anno” all’edizione 2025 dello “Swedish Folk & World Music Gala”) giunge con “Mareld” al terzo capitolo della propria discografia. Rinnovato nell’organico per l’avvicendamento al violino di Tuva Færden al posto di Elga Myhr, il gruppo ha in parte così trovato nuove suggestioni e stimoli nella creazione o nella reinterpretazione delle undici tracce di “Mareld”. Tracce tutte di composizione, in cui sono però chiaramente rintracciabili elementi di origine tradizionale dei paesi scandinavi di provenienza del trio, rimandi a compositori classici come Johannes Bramhs, suggestioni di altri mondi musicali: quello dell’India meridionale, che Tuva Færden ha assimilato nel proprio stile violinistico e di canto, e quelle dei paesi dell’Est Europa, del taksim ottomano e del jazz, incorporato nel proprio modo di suonare il clarinetto e il clarinetto basso da Anna Maelström. Suggestioni evidenti all’ascolto delle due musiciste, ma che si riverberano anche nei suoni delle chitarre di Eriksson, come si percepire sin dal primo brano dell’album: “Dov” ha infatti un andamento iniziale da danza, con un modulo che a mano a mano si fa iterativo, rallenta e assume un sapore vago d’Oriente. In “Undulant”, invece, singole note ed accordi tanto vicini al jazz quanto alla musica più contemporanea, introducono una chitarra, i cui percorsi arrivano a lambire le coste del Mediterraneo; un’evocazione questa rafforzata dal violino e dal clarinetto, che portano il pezzo ad assumere il carattere di un cantabile. “Färger av gamla båtar” inizia con un pizzicato di violino, che subito dopo avvia un dialogo con il clarinetto, lasciando che sia la chitarra a guidare l’insieme verso terreni musicali che definiremmo ariosi. “Björnögon” racchiude le note in sé stesse, in un’intimità al confine tra luce ed oscurità, ed all’ascolto si ha l’impressione di guardare l’orizzonte marino occidentale. “Liminalpolska”, in un processo inverso rispetto a “Dov”, frantuma accordi di violino e clarinetto, poi li condensa e infine li fonde in una polska che, con un diminuendo, sfuma in “Cyano”, brano vivace e frizzante, con gli strumenti a rincorrersi fino a pervenire a un improvviso finale. “Kastvind” è giocato sul continuo rinvio da violino a clarinetto di un modulo melodico, suggellato sul finire da un breve intervento di chitarra. In “Giftpinnen” il suono rarefatto e frammentato di clarinetto e violino introduce ad alcuni passaggi di chitarra, prima del riunirsi dei tre strumenti in una quasi danza. “Mareld”, la title track e il pezzo forse più cerebrale dell’album, assume un timbro da organo e un tono elevato e sospeso grazie al suono elaborato della chitarra. Con “Ishav”, pezzo da sempre nel repertorio dal vivo del gruppo, ma solo ora pubblicato, si torna a una dimensione da danza, con la chitarra che assume un ruolo ritmico, il violino che disegna suoni curvi e aerei, e il clarinetto basso a comparire in sottofondo. La conclusiva “Ide” inizia con un motivo sussurrato da Tuva Færden, la cui voce avvia un dialogo intenso e notturno con la chitarra e il clarinetto, fino al finale, che sfuma in una serie di suoni naturali. Album di nordica eleganza in tutti i suoi elementi, compresa la grafica, “Mareld” conferma la grande qualità dei “Mojna” e regala ottime sensazioni a chi si pone in ascolto attento ed è disposto a confrontarsi con i molti riflessi culturali in esso raccolti. 


Marco G. La Viola

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