Massimo Silverio – Surtùm (Okum produzioni, 2025)

C’è una certa circolarità di fondo, nel mio tornare a scrivere di Massimo Silverio: quando, ormai due anni fa, uscì quell’assoluto gioiello che è “Hrudja”,  ne avevo cominciato il racconto parlando dell’essenza profondamente politica del suo essere composto in carnico. Ecco, adesso, con questo nuovo – e altrettanto magnifico – “Surtùm” ancora caldo, il discorso non è cambiato di una virgola. Anzi, se possibile Massimo è andato all-in, benedicendo con le parole incantate della sua lingua un piccolo gioiello fatto di invocazioni e preghiere laiche, di costole, ferite, vita e morte. È il rincorrersi di due mondi, dall’umidità che inzuppa profondamente ogni singolo passaggio del disco, alla terra nuda, alla pietra, ad una roccia che tende al crollo. E c’è, ovviamente, la necessità della memoria, del tenere ancora presente a noi il tempo antico dei riti, e di usarli per riconoscerci a vicenda. Non a caso, cito dalle note del disco, “Surtùm è un termine che dal friulano può essere tradotto come palude o come prato acquitrinoso. Nel caso specifico di questo disco, Surtùm è inteso e immaginato come un luogo dove si depositano canti e preghiere, nostre o di altri”. Si parte da una “Sorgjâl” (“Tai šfois di un mont becjât/ Tai tais batiâts tal vint/ Si šbreghe la tûl Prê la Plante pal Libri/ Dišcrožât/ Sort Sorgjâl/ Ta muart dal rivoc šta/ Il šcoltâ” 1) annebbiata da un’elettronica cupa e scarnificata dagli squarci lancinanti della sezione archi. A seguire, “Avenâl” (“Son crešûts i bošcs dal Surtùm/ Crešûts dai siei cjavei/ Ca laše a ogni prejere jei par/ Ducj i arbui crots.” 2) scorre lungo un vorticoso arpeggiare di chitarra, dilatato dalle incursioni umide dell’elettronica e dal pattern nebbioso della batteria. “Zoja” affonda nelle trame legnose disegnate dalla batteria, scortate alla perfezione dal riff ossessivo della chitarra e dilaniate dagli interventi stranianti di archi e fiati. “Vàre” affonda in una densa laguna sintetica, che ci riporta ad umori più rarefatti, sottolineati da una ritmica sdrucciola che è un continuo crollo. “Prin” (“Ca bruža l’Ešpui Ca clopa il Nuja/ Sora carognas tra flôrs e gilugna/ Cola il soreli, cjanta l’ombrena/ Mûr la fališcjia ta šcura peraula/ E jei ca è gleiža e vilota/ Šfanta ta žava e luštra agrima” 3) si inerpica lungo il crescendo glaciale disegnato da synth ed elettronica, sporcato dal lirismo quasi funereo dei fiati. “Grim” ci accoglie con un’elettronica tremolante a sporcare l’arpeggiare cristallino della chitarra, perfettamente inspessito dalle tersità dipinte da violino e corno. A chiudere l’album ci pensa, con assoluta grandezza, una “Ghirba” (“Dì trop ca è vecje une mont/ Fruçume i cjamps, la ruvîš Fruçume vous, la ghirbe/ Di chešte int, da biade int” 4) che fluttua in un tempo sospeso a metà fra la preghiera e il requiem, appoggiata su sintetizzatori eterei e un corno viscerale e dolente, fulminato da un pattern ritmico quasi spastico e spiazzato dal finale a cappella. In conclusione, il ritorno di Massimo Silverio (come sempre scortato dai fidi Nicholas Remondino e Manuel Volpe, a cui si sono aggiunti gli ottimi Mirko Cisilino (corno e tuba), Flavia Massimo (violoncello), Benedetta Fabbri (violino) e Martin Mayers (al corno delle Alpi) ci regala nuovamente un piccolo trattato di paesologia musicale, in cui ogni suono apre panorami da poetica del sublime. Un disco crepuscolare, di quelli che arrivano piano piano, ma con una violenza lirica incessante, in cui lutto e speranza camminano insieme. Insomma: vogliatevi bene e non perdetevelo. okum.bandcamp.com/album/massimo-silverio-surt-m




Giuseppe Provenzano 

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 1 “Sui fogli di un mondo macellato/ In squarci battezzati al vento/ Si strappa il velo/ La pianta prega per il libro/ Lacerato/ Sordo Interrotto/ Nella morte dell’eco abita/ L’ascoltare.” 
2 “Dalla palude sono nati boschi/ Sono cresciuti dai suoi capelli/ E ognuno è una sua preghiera/ Pregata per tutti gli alberi morti.” 
3 “Qui brucia il vespro/ Qui si attarda il nulla/ Al di sopra di carogne, fiori e brina/ Il sole crolla, l’ombra canta/ Muore la scintilla nella nera parola/ E lei che è tempio e preghiera/ Scompare nella grassa e ingorda lacrima.” 
4 “Dimmi quanto è vecchia una montagna/ Sbriciola i campi, la valle, ogni roccia/ Frantuma le voci, la vita/ Di questa gente, la povera gente.”

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