Una fiatista svedese sui quarant’anni che infiamma i club di Addis Abeba, suonando energicamente con passione e a suo agio tra le pentafonie etiopiche ammantate di jazz, dividendo la scena con veterani della leggendaria scena Ethio-jazz? Sì, Lina Langendorf, originaria di Härnösand, nord-est della Svezia, ma ora residente nella capitale, Stoccolma. Polistrumentista, con un bisnonno, Bengt Bixo, che era un leggendario riksspelman, suonatore di musica tradizionale nazionale, e cresciuta in una casa in cui i genitori non facebano mancare la musica. Artista onnivora, pluripremiata, dalla inarrestabile curiosità musicale che l’ha portata a frequentare jazz, reggae, musica maliana, pop, rock, ritmi balcanici ed ethio jazz. Per Lina ha speso parole il padrino del jazz etiopico: “Straordinaria sassofonista, massimo rispetto. Tutti ti amano. Dicono che sei l’Ethio-jazz”, Mulatu Astatke dixit.
La collana discografica “Éthiopiques” curata da Francis Falceto ha fatto breccia in molti cuori e molte menti, aprendo gli occhi del pubblico occidentale a tesori reconditi; le cronache narrano che il sound di Getatchew Mekurya fece colpo sulla precoce dodicenne sassofonista che poi incontra di nuovo il sound funky-jazz etiopico ascoltando la colonna sonora di “Broken Flowers” di Jim Jarmusch in cui c’era Mulatu Astatke. Nel 2012, una borsa di studio la fece volare nella capitale etiope, dove I suoi studi musicali sono proseguiti all’ombra di maestri eccelsi come lo stesso Mulatu Astatke, Alemayehu Eshete e Abegasu Shiota. Per Lina non sono mancati altri incontri musicali (Vieux Farka Touré, Toumani Diabaté, Alabester deplume e James Yorkston, tra gli altri). Passano undici anni prima di incidere “Yeahno Yowouw Land”, esordio del 2023 dove si percorrono diverse esuberanti traiettorie soniche che hanno pensare a che a Sun Ra, premiato in Svezia come miglior album di “ritmo globale” e selezionato come tra i miglior album di fusion dal periodico Songlines.
Secondo capitolo discografico è “Undercover Beast”, dove il jazz modale di impronta scandinava trova terreno comune con le scale pentatoniche dell’Africa orientale, ma fanno anche capolino altre proiezioni africane, da Capo Verde al Sud Africa. Dentro ci suonano Lina Langendorf (composizione e sassofoni), Daniel Bingert (tastiere e chitarra), Martin Hederos (tastiere e viola), Ole Morten Vågan (contrabbasso) e Andreas Werliin (batteria). Sono musicisti incontrati durante gli studi al Conservatorio di Trondheim in Norvegia alla fine degli anni ’90 e negli anni successivi a Stoccolma, musicisti attivi in diverse band jazz in Svezia e Norvegia. L’album è stato registrato da Oskar Lindberg and György Barocsai ai Svenska Grammofonstudion, con ulteriore suono di tastiere registrato a Lab259 Studio da Mats Björke, missaggio a cura di August Wanngren e masterizzazione di Hans Olsson. artwork e foto di copertina di Sofia "Smulan" Sjögren.
Pubblicato da Sing a Song Fighter, in formato cd, digitale ed edizione limitata di due vinili, il lavoro è uscito a ridosso delle celebrazioni del nuovo anno secondo il calendario in uso nel paese est africano (l’11 settembre).
“And So It Begins” è l’ncipit del disco (56 secondi) dai prodromi di fiati etiopi e un breve grumo di tastiere. Subito arriva la magnifica “So-Ma-Li (Ode to MDOMA)”, dove “MDOMA” è l’acronimo che comprende i nomi di battesimo dei musicisti della band. Tastiere protagoniste su un funky groove inarrestabile e sax che corre libero evocando atmosfere retro. È un susseguirsi di immagini sonore, da quelle di un club di Mogadiscio a qulle maliane, dall’altra parte della fascia saheliana. A chi sia dedicato “Cesária” non c’è bisogno di dirlo. Il brano è stato scritto una decina d’anni fa: il suo personale omaggio alla cantante capoverdiana ascoltata per la prima volta in duetto con Salif Keita (il brano era “Yamore”). Il brano si sviluppa morbidamente con la voce del sax che espone il motivo principale combinando l’andamento modale con il richiamo alle atmosfere della morna; le spazzole percuotono con discrezione, il fraseggio della viola si insinua, sostiene e imprime profondità insieme al contrabasso e alle tastiere vintage a questo romantico e commovente tributo che porta una seconda dedica alla nonna di Langendorf, Ruth, figlia del bisnonno violinista e alla sua amica Marga, oggi novantaduenne. La title track, “Undercover Beast”, fornisce un fresco terreno creativo alla band con una prima parte che procede elegantemente su una scala amarica per poi fare posto a una seconda parte in tensione, tra assoli e crescendo ritmico, fino a risolversi nella rotonda voce finale del sax. Il tema è dedicato al batterista Teferi Assefa che le conferì il titolo di “Bestia nascosta” durante una jam session al mitico club Fendika di Addis Abeba.
“Etiopia, ti amo”, in amarico si dice “Ethiopia Ewdeshalehu”: è anche il titolo della quinta traccia, una luminosa afro-dance. Invece “Soaring with the Wondrous Four” è il tema più cinematico, incalzante ma dalla familiarità europea. Seconda composizione per lunghezza, “From Longitude to Lassitude – Lullabies and Laments”, possiede forte carattere con il quintetto che procede a pieno regime tra passaggi carichi di attesa e sequenze telluriche e feroci. Segue “Alemayehu”, dove si manifestano aperture psichedeliche, dedicata a Alemayehu Eshete, altra leggendaria personalità, l’“Elvis abissino”, conosciuto durante le esibizioni all’Hotel Taitu di Addis Abeba, scomparso nel 2021 prima che potesse interpretare questo brano, come aveva promesso. Chiusura appropriata con i tredici e passa minuti di “Prayers, Faith and Hope”, una suite che ci trasporta in Sud Africa. Dopo una fase condotta dal sax, più lenta, melodica e meditata, un organo evoca sonorità di chiesa, avanza poi il ritmo palpitante, che rimanda al suono delle township fino al completarsi della composizione in un pacato finale.
L’eclettica brillantezza compositiva di Langendorf e la rimarchevole sintonia tra i musicisti fanno pienamente centro in questo coinvolgente “Undercover Beast”.
Ciro De Rosa
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