Cheikh Lô – Maame (World Circuit/BMG, 2025)


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“Maame”segna il ritorno discografico di Cheikh Lô a dieci anni di distanza da “Balbalou” (Chapter Two), precedente incisione che manifestava un ritorno all’importanza della spiritualità, in un’epoca in cui gruppi islamisti stavano “deviando l’Islam dai suoi fondamenti umanisti”, come rimarcava lo stesso artista. Il musicista settantenne, nativo di Bobo Dioulasso, Burkina Faso, da genitori senegalesi e cresciuto in una comunità mista, parla – oltre al francese – diverse lingue dell’Africa occidentale. Non ripercorreremo qui la sua biografia, né gli incontri con artisti di fama internazionale nel corso della sua lunga carriera, né i suoi clamorosi successi musicali. Senza dubbio, Cheikh Lô è uno dei grandi spiriti liberi della musica africana: un eccellente cantante e cantautore, oltre che chitarrista, percussionista e batterista, capace di personalizzare e distillare una varietà di influenze provenienti dall’Africa occidentale e centrale, creando una propria espressività fluida e mutevole. Celebra i suoi cinquant’anni di carriera dedicando il nuovo lavoro alla sua guida spirituale, Maame Massamba Ndiaye, scomparso nel 2014. Lô è un devoto della confraternita Baye Fall, corrente mistica all’interno del mouridismo senegalese. I Mouridi sono la più potente delle confraternite sufi del Senegal, e utilizzano la musica come mezzo per diffondere amore e tolleranza. Nell’album gli onori si estendono anche a Cheikh Ahmadou Bamba (1853–1927) – figura religiosa tra le più venerate della storia senegalese e fondatore della Confraternita Mouride, la cui tomba nella Grande Moschea di Touba, è oggi uno dei luoghi più sacri dell’Africa occidentale – e a Mame Cheikh Ibrahima Fall (1855-1930), fondatore del movimento Baye Fall. Lô trasfonde questa filosofia nella sua musica. Disco plurilingue (wolof, dioula, malinke, francese e inglese), “Maame” è stato concepito nel suo studio di Dakar durante la pandemia, poi le registrazioni sono proseguite oltre quell’oscuro periodo. Il figlio Massamba lo ha assistito come ingegnere del suono e co-produttore, mentre Nick Gold della World Circuit ha contribuito a sostenere il progetto tramite la major BMG. Nel progetto è coinvolta una pletora di musicisti, provenienti non solo dal Senegal ma anche da altri Paesi africani, dall’Europa e dal Nord America, che affiancano Lô – compositore e arrangiatore che suona chitarra, batteria, timbales, congas e shaker. In apertura, “Baba Moussa BP 120” racconta del legame con il tenente di polizia Baba Moussa, figura paterna per Lô, delle sue prodezze e del suo rapporto con la comunità locale. Quanto a “BP 120”, associata alla vicenda dell’ufficiale di polizia raccontata nella canzone, era la casella postale del padre di Lô, a Bobo Dioulasso. Musicalmente, è un dispiegarsi di rumba congolese e inflessioni di salsa cubana: i suoni con cui Cheikh Lô è cresciuto ascoltando la collezione di dischi del fratello. Con “Jikko” (che si traduce come “gentilezza”), il tono si fa più intimo: si esorta a parlare e comportarsi con mitezza verso il prossimo, per essere ricompensati dalla bontà: in sostanza, si tratta di coltivare un karma positivo. Le poliritmie si irrobustiscono in “Bamba Moofi Djouli Guedj”, dove entrano in gioco il tama – il cosiddetto tamburo parlante – e una sezione di fiati (tromba e trombone) e di chitarra elettrica che aprono a sprazzi afrobeat e perfino a posati aromi jazzy. Il canto caldo di Cheik, intimo e profondo, con passaggi recitati guida un brano dalla connotazione devozionale, in cui si evoca il sentiero di saggezza (djouli) percorso da Bamba, incoraggiando l’ascoltatore e le comunità a perseguire responsabilmente la pace e la spiritualità, opponendosi alla violenza e alla corruzione. A passo lento, la chitarra domina la title track, “Maame” (“nonno/a”), invocazione per gli antenati e per la guida spirituale Maame Massamba Ndiaye. L’energia ritmica risale con il mbalax, cantato con voce calda e mite – tratti tipici del timbro di Cheikh – nella successiva “Doylou” (“dignità”). Come detto, l’album è intriso di spiritualità, ma esprime anche il posizionamento politico dell’artista. “Carte d’identité”, cantata in francese e costruita su un impianto afrobeat, è uno dei brani più vibranti del disco. In qualità di artista “engagé”, ambasciatore dell’UNHCR, Cheikh Lô riafferma il suo impegno umanitario, sensibilizzando sul tema dell’apolidia. La traccia si apre con un ritmo di chitarra su cui si innesta il balafon; i tamburi sostengono il groove, mentre il basso pulsa profondo. Il ceco Pavel Šmíd firma un assolo di chitarra, seguito da quello di tromba di Mildah Miambanzica, che porta il brano a compimento. Altro episodio politico è la panafricana “African Development”, con un testo manifesto e il sound che vira verso il reggae: “L’Africa deve cambiare volto… È tempo di diventare sovrani dopo quasi 400 anni di schiavitù e colonizzazione… Perché abbiamo avuto leader incapaci, leader con un complesso d’inferiorità. È grave. Ci hanno trascinati nel fango per decenni e decenni. Ora diciamo basta. Dobbiamo sviluppare la democrazia nel modo giusto e avere una mangecracy” (crasi tra il francese “manger” e democracy, ndr). Così parlò Lô. La musica si libra tra accordi di chitarra in levare, basso profondo e percussioni incalzanti. È di nuovo la chitarra luminosa di Rene Sowatche a guidare dolcemente “Ndeketeyoo” (“tradimento bonario”), sostenuta da percussioni leggere, è un brano che riflette sulle emozioni umane. È permeato di vibes eleganti in stile afro-pop-soul, “Ndiguel Dieufe” (Rispetto per l’indicazione); “ndigueul” è una parola wolof centrale nella pratica tradizionale mouride: è l’eseguire i comandi della guida spirituale, ma anche la fiducia assoluta da parte del discepolo per camminare nella luce), mentre il tono riflessivo riemerge in “Kouma Magni Kobe Alaleno”. “Koura” è una canzone d’amore che si manifesta nella stratificazione di voci, percussioni, balafon e flauto. Chiude il disco “Nilelefe”, canto in più lingue, illuminato dalla kora di Baboulaye Cissokho, che lascia un segno di intima solarità. Con “Maame”, Cheikh Lô riafferma il ruolo della sua voce come ponte tra mondi, capace di fondere religiosità, introspezione e impegno civile. 


Ciro De Rosa

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