Festival Ethnos, Paesi Vesuviani e Napoli, 6 settembre – 5 ottobre 2025

Lungo il sentiero “La Valle dell’Inferno” a Ercolano (13 settembre) il duo Tupa Ruja, Martina Lupi e Fabio Gagliardi, ha portato sulle pendici del Vesuvio il singolare progetto che mette in contatto spazi e tempi diversi utilizzando di didgeridoo, flauti e percussioni a tecniche vocali (canto armonico, tala indiano, vocalizzi e melopee mediterranee). Pienamente convincente il set dell’Alkantara Mediorkestra, un organico multiculturale diretto da Giuseppe Privitera, che comprende Enzo Rao (violino e oud), Chrysanti Gkika (kemence), Alexandra Dimitrova (violino), Bronagh Slevin (violoncello e voce), Fabio Sodano (duduk e flauti), Fabio Tiralongo (sax), Mahmoud Hamad (oud e darbouka), Denise Di Maria (charango, percussioni e voce), Mario Gulisano (percussioni, marranzano e voce), Riccardo Gerbino (tabla), Roberto Fiore (contrabbasso). L’ensemble fonde composizioni provenienti da classici di diverse tradizioni musicali e pezzi originali creati ed arrangiati dall’orchestra a comporre un’organica confluenza di modi arabi, elementi folklorici e impro jazz (Castellamare, 11 settembre). Ci siamo dunque votati ai ponti culturali tra musicisti italiani e internazionali. Proseguiamo su questa scia parlando degli Hysterrae: le voci e i tamburi di Cinzia Marzo, Silvia Gallone e Irene Lungo con il setar e il nay di Pejman
Tadayon e l’elettronica di Emanuele Flandoli (Boscoreale, 26 settembre), una circolarità immersiva di impasti polivocali di canti del Sud, ritmi di danza e melopee di aree iranica ammantati dalla profondità dell’EDM. Tocca il vertice emozionale il concerto dei Tenore e Cuncordu de Orosei con il violoncellista olandese Ernst Reijseger (Galoppatoio Reggia, Portici, 18 settembre) nel progetto “The Face of God”, dove le polifonie avvolgenti del quartetto sardo (Piero Pala, voche e mesuvoche, Mario Siotto, bassu, Luca Frau, contra, ed Emanuele Ortu: voche) incrociano la rispettosa versatilità strumentale e compositiva di Reijseger, che non difetta di un registro ironico e istrionico, abile nell’entrare nel cerchio del canto con forme contrappuntistiche, digressioni melodiche, passaggi improvvisativi o ancora percuotendo la cassa armonica, usando l’archetto e il pizzicato, imbracciando il suo strumento come una chitarra e creando dei bordoni con i due shruti box, azionati da una pedaliera. Concentriamoci ora sulla rappresentanza del tutto internazionale, a partire dall’immersione nella vita della foresta equatoriale del Congo, permessa dalle articolate tecniche vocali dei pigmei Aka del gruppo Ndima (San Giorgio, Villa Bruno, 6 settembre). Suggestiva l’ecologia acustica proposta dalla cantante e compositrice estone Mari
Kalkun (San Giorgio, Villa Bruno, 9 settembre) che tesse trame ipnotiche facendo ricorso alla cetra kannel, alla tastiera, all’elettronica e a loop vocali. Se la gambista argentina Luciana Elizondo (Castellamare, 11 settembre) si muove con disinvoltura tra repertorio barocco e tango, passando per il folklore e la canzone d’autore argentina e paraguayana, nel recital “Cada um canta uma” (Torre del Greco, 14 settembre) da parte sua il trio composto dal cantante e chitarrista brasiliano Màrcio Faraco, dal chitarrista e suonatore di cavaquinho catalano Hugo Arán e dal chitarrista e cantante portoghese Marco Oliveira crea un terreno d’incontro dove si diluiscono i confini sonori dei tre rispettivi Paesi d’origine dei musicisti ai quali si aggiunge la vena canora napoletana dell’ospite Joe Barbieri. Sono davvero grandi gli ungheresi Söndörgő (San Giorgio, Villa Vannucchi, 20 settembre) il cui strumento chiave sono le diverse fogge del cordofono tambura che si unisce a fisarmonica, tromba, sax, percussioni, contrabbasso e flauti. I fratelli Eredics, un cugino e un fido compagno di avventure soniche sono i protagonisti di un set travolgente che mette in bella evidenza l’intesa e gli impasti strumentali, le tirate mozzafiato e gli spunti lirici, tutto condito da gran tecnica e senso scenografico: un trionfo. La stessa arena di Villa Vannucchi ha ospitato la
finale di “Ethnos Generazioni” (28 settembre), dove si sono esibiti sei artisti di notevole calibro: una sorta di festival nel festival. Abbiamo ascoltato la poetica sospesa tra folk, jazz e chamber music delle friulane plurilingue di Violoncelli Itineranti, il trad-dub dei calabri Senduki, la folktronica dei pugliesi Trevize (molto apprezzati dal pubblico), il classicismo persiano del trio Toranj, il bal folk aumentato occitano del duo Lindàl e l’originale mélange di espressioni balcaniche di area bulgara, jazz, classicismo e vocalità rom dei Nubras Ensemble, unanimemente dichiarati vincitori del contest dalla giuria composta da musicisti, direzione artistica ed esecutiva del Festival Ethnos e direzione di questa testata. Il palinsesto di matrice maghrebina e mediorientale del festival ha portato a Napoli (19 settembre) l’intimità vocale e strumentale di Sarra Douik, oudista tunisina di residenza italiana, dallo spirito aperto, capace di coniugare il richiamo al classicismo arabo-andaluso, materiali propri e perfino un brano dal repertorio del grande Anouar Brahem. Da parte sua il trio del “troubadour” curdo, di residenza francese, Ruşan Filiztek – cantante, musicologo e virtuoso del saz – con Ertan Tekin (diduk e zurna) e Neset Kutas (percussioni) ci ha condotti in un’esplorazione la cui pietra angolare è stata la ricchezza espressiva curda anatolica.
Sempre a Napoli, ma il 2 ottobre, un set sublime lo ha offerto l’Ensemble Chakâm, un trio di fanciulle portatrici di un sincretismo inedito al suono di novantuno corde, che assommano la viola da gamba della francese Marie-Suzanne de Loye, il târ dell’iraniana Sogol Mirzaei e il qanoun della tunisina Farah Fersi (subentrata di recente alla palestinese Christine Zayed). Un dialogo serrato che tiene insieme elementi di musica barocca, codici del radif e modi del maqam arabo; improvvisazione, virtuosismo solistico e osmotico calore d’insieme strumentale, dando vita a una profonda risonanza emotiva condivisa con il pubblico, in una parola: tarab. Epicentro napoletano, dunque, per il finale del Festival con il travelogue musicale del ricercatore di suoni e geografie Valerio Corzani – musicista, giornalista, autore, fotografo e voce autorevole di Rai Radio3 e RSI Radio 2 – che in “Corzani Airlines”, dal titolo dell’omonima rubrica da lui curata su “Blogfoolk”, ha proposto una mappa dei suoi ritratti dedicati a musicisti incontrati nei contesti festivalieri più diversi. A seguire, le musiciste galiziane Sabela Caamaño (organetto cromatico) e Antía Ameixeiras (violino, voce e pandareta), con il loro incastro timbrico delizioso di musiche tradizionali dal nord ovest iberico, spunti ironici ma, pure, con qualche passaggio esplicativo in italiano troppo prolisso che ha un po’ sfilacciato un set, comunque, molto efficace. L’appuntamento è fissato per la XXXI edizione – che non sia da meno di questa densa edizione 2025 – ma nel frattempo il racconto dei trent’anni del Festival Ethnos sarà fissato in un volume di contributi originali che dovrebbe essere pubblicato per il periodo natalizio. 

 

Ciro De Rosa

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