Denez – Toenn-Vor (Arfolk, 2025)

L’autore Grand- Jacques, curiosamente, non ebbe mai a registrarla in studio e l’iconico affresco portuale nordico figura unicamente nei suoi dischi dal vivo. Nella ripresa di Prigent, bandonéon, percussioni e chitarra elettrica si aggiungono al portentoso, blasfemo e cinematografico capolavoro in crescendo verso l’infinito che innalza come fosse un’ostia, la pittoresca e aspra vita marittima. Una vita tanto dura in alto mare quanto sfrenata una volta che i marinai scendevano a terra, privi di inibizioni e pronti ad abbuffarsi di ogni cosa prima di risalire a bordo, del tutto consapevoli che avrebbe potuto non esserci per loro, una prossima volta. Anche perché, un tempo i capitani delle navi a vela formavano i loro equipaggi con disperati che raccattavano in quei veri e propri regni di dannati che erano i porti delle città di mare. Malfattori, ubriaconi e miserabili che possedevano meno di niente e che spesso fuggivano imbarcandosi con alle spalle crimini di ogni tipo. Le taverne e le locande delle banchine europee erano sempre accoglienti con chi tornava sfigurato da anni tremendi nei mari del Sud, le loro insegne colorate esibivano puntualmente un timone, un pesce, una vela o un pirata. In mezzo a brutti ceffi, spiriti turbolenti, assassini, attaccabrighe e imbroglioni, gli stralunati marinai consumavano le soste, ormeggiati su una sedia ad invocare alisei, colando a picco nelle pinte di birra e liquore, sbraitando come pesci nei flutti e invocando una donna. Offrivano i soldi guadagnati e il cuore salato alla bocca di qualche meretrice dal riso facile, che aveva forma d’àncora e i cui fianchi diventavano avventure dove annegare ubriachezze notturne e fosfori canori, arcobaleni oceanici e schiume bianche di naufragi. “Per aspera ad astra”. Lo scrittore e poeta irlandese Jonathan Swift (1667 - 1745) riusciva a descrivere alla perfezione le bettole portuali in cui “la pazzia è venduta a bottiglie e si può fare una serenata a una sirena”. Denez non è comunque il primo artista di Bretagna a incidere una versione di un brano di Jacques Brel, faro universale sempre illuminante nel panorama della canzone d’autore. Lo aveva fatto in precedenza Erik Marchand con “Jaures” (2006), ricordo inoltre che (purtroppo senza mai figurare in un disco) ci fu un periodo nel quale i celebri Tri Yann al termine dei loro concerti proponevano l’arrangiamento di “Le Moribond”, celtizzando con cornamusa il ritornello “j’veux qu’on rie, j’veux qu’on danse, j’veux qu’on s’amuse comme des fous”. Brel, dal canto suo, citò forse Glenmor nella stessa canzone e sicuramente Saint-Cast (monaco irlandese del VI secolo, discepolo di San Giacuto ed evangelizzatore della Bretagna armoricana) nella definitiva “Jojo” (1977) poco prima della sua prematura scomparsa. I francesi considerano la sacra triade musicale Brel/Ferré/Brassens come orgoglioso patrimonio nazionale e ne hanno ben donde, anche se andrebbe sempre sottolineato come il primo fosse di origine belga, il secondo monegasca e il terzo un meridionale dagli antenati del Sud Italia. Svariati ospiti partecipano al disco di Prigent, collaboratori già uditi al fianco di Red Cardell, Startijenn o Nolwenn Korbel che si susseguono lungo classici marinari (“Gwerz Penmarc’h”, "Le Capitaine De Saint-Malo", "Les Filles De Lorient", "Les Filles A’ Deniers") e canzoni meno note come "Ur Vag a Montroulez". Ecco la scaletta completa, aperta da “La Tramontane” (La Tramontana). Un Denez melodioso come non l’avevamo mai udito prima, interpreta le parole di questa complainte tradizionale, conosciuta anche come “La Sardanne” popolarizzata verso la metà degli anni ‘70 dal compianto Mikaël Yaouank e dai suoi fraterni amici Djiboudjep: “Non andrò mai a pesca perché sono un po’ zoppo, ciò non mi impedisce d’amare il mare come i miei stessi occhi, quando ci penso il mio cuore si scombussola, non avrò mai un battello tutto mio, taglierò barchette di sughero col coltello eppure...sono contento quando sento cantare una sardana, sono contento quando sento urlare il goélan, sono contento quando sento soffiare la tramontana, sono contento quando sento fischiare il vento d'autan". “Tri Ano” (Tre Nomi) è un gwerz originale dalla drammatica narrazione, composto da Denez assieme a Robin Foster e Tibo Niobé su base elettronica, quasi sinfonica e cornamusa scozzese “Chiunque si recherà alla chiesa di Kerskamp vedrà tre nomi incisi sull’altare, tre nomi nel granito scuro: il nome di un inglese e di due francesi. Perché? Nessuno lo sa. Mi hanno ispirato un canto, mi hanno ispirato un gwerz. Avvicinatevi per ascoltare, non è molto lungo”- “Ditemi che succede al largo di Kerskamp, che succede, ditemelo, sento il cielo tuonare, tuonare senza tregua, con collera, con collera rossa sul mare. Con tutto rispetto, vi sbagliate, non sono tuoni, non sono tuoni ma un combattimento sul mare, un terribile combattimento tra inglesi e francesi!” “Plac’h ań Dourdu” (La Ragazza dell’Acqua Nera), invece, è un gwerz tradizionale molto comune in Bassa Bretagna, sul ratto della giovane Marivonig da parte di soldati inglesi sulle acque del fiume, la vicenda ha però un lieto fine grazie a un magico Pesce D’Oro. Il Dourdu (chiamato anche Dourduff, “Il Fiume del Bosso”) citato nel titolo è un corso d’acqua situato nel Trégor che va a gettarsi nella baia di Morlaix dov’è ambientato il testo. Il trattamento è elettronico ma intervengono anche saz e charango. Segue “Deuit d’am Batimant” (Venite sul mio battello), un son tradizionale e dal tema analogo al brano precedente, più conosciuto come Ma Labousig ar C’hoad, viene spesso ripreso nella Cornovaglia Armoricana (Pays Bigouden). Lo si ascolta frequentemente nelle
sardinerie di Douarnenez, intonato dalle voci femminili delle operaie al lavoro “L’uccello del bosco si posa ogni mattina sul mio mantello…”. Nella versione di Denez spiccano fisarmonica e violino. “Quand Nous Avons Parti de Rade” (Quando Siamo Partiti Dalla Rada) è una complainte raccolta nel 1955 da Majorique Duguay de Lamèque nella provincia canadese del Nuovo Brunswick (che compongono il Canada Francese, assieme a Nuova Scozia e Isola del Principe Edoardo). Cantata in francese, evoca le locali battaglie tra coloni transalpini e inglesi del XVIII secolo, tra vortici di sale e scenografiche onde dalle spire solenni assicurate da pianoforte, tastiere e corde di contrabbasso “...la cosa più crudele è la partenza, dire addio ai familiari, tutte quelle donne che tendono inutilmente le braccia, si va in guerra...”. Nessuno sa di chi parli in realtà “Le Capitaine de Saint-Malo”, questa assai celebre canzone à hisser (collegata a “As-Tu Connu Le Père Lancelot?”) proveniente da Saint-Hilaire-de-Riez. Inizialmente utilizzata dagli scaricatori di porto di Dunkerque e poi a bordo delle baleniere, nel 1854 venne infine documentata nello stesso luogo dal musicologo Charles-Edmond-Henri de Coussemaker. Eseguita (in francese) da Prigent a cappella, nel più rude stile tradizionale, assieme al trio vocale Brou/Hamon/Quimbert. Precedentemente è stata mirabilmente incisa anche da Cabestan (1984) e Tri Yann (1985/2012), in origine si titolava “Alo Alo pour Maspero” (corrispondente al nome di uno degli scaricatori). Descrive l’amaro elenco delle miserabili condizioni dei poveri semplici marinai a bordo: “...lui mangia la carne e ci lascia gli ossi, fuma i sigari e ci lascia le cicche, alla manovra c’è il gobbo che ti raddrizza a colpi di caviglia di ormeggio, il luogotenente ti spedisce lassù a botte sulla schiena...”. “Al Lano Du (La Marea Nera)” riferisce del criminale e tristemente noto affondamento dell'Amoco Cadiz del 16 marzo 1978 a Portsall, Finistère del Nord. Fu la cantante e compositrice Mona Bodennec (all’anagrafe Maryvonne Hellec) a regalare la canzone a Denez, durante gli anni ’80, trattasi di un gwerz che esorta a non dimenticare per un solo momento la tragedia ambientale accaduta il 16 marzo 1978 e che marcherà indelebilmente i suoi dodici anni e la vita di tanta gente e natura bretone. Una petroliera battente bandiera liberiana naufragata a causa di un danno al timone e di negoziati troppo lunghi al fine di ottenere l’autorizzazione ad avvalersi di un rimorchiatore tedesco per il soccorso. Rimasto privo di guida a causa di un’avaria al sistema idraulico, il cargo si spezzerà in tre tronconi, andando a schiantarsi sulle rocce di Bretagna e riversando in mare 227.000 tonnellate di petrolio grezzo. Inquinò criminalmente trecentosessanta chilometri di costa tra Brest e Saint Brieuc. Le parole sono scritte su una melodia tradizionale dal sacerdote-militante Visant Seité (1908 - 1993) fratello di Ploërmel, insegnante cattolico bretone, autore di diversi libri e fondatore del corso per corrispondenza “Ar Skol Dre Lizer”. L’esecuzione strumentale in tre movimenti quasi sinfonici, viene introdotta da un estratto sonoro del giornale “An taol lagad” (9 gennaio 1988) diffusa su France 3 Bretagne. Nelle intenzioni di Denez vuole rappresentare anche un sentito omaggio e ringraziamento ai coraggiosi (con in testa Alphonse Arzel, senatore e sindaco di Ploudalmézeau, prozio dell’attuale arpista Nolwenn Arzel) che sostennero a Chicago il relativo processo durato tre anni e mezzo, contro il colosso petroliere “La marea nera si è infranta sulla Bassa Bretagna, la merda di un bastimento in verità, il corpo frantumato da una tempesta come uno scoglio in mare aperto, la grande nave vomita tutta la sua pancia nelle acque azzurre, le nostre spiagge bianche, in lungo e in largo, altro non sono che fango puzzolente e nauseabondo.”. “E Kerlouan ha Bordeaux” (A Kerlouan e a Bordeaux) si contraddistingue per un’esageratamente pesante ritmica elettronica, con tanto di chitarra elettrica rock, banalizza questa danza tonda pagana, le cui favolistiche parole in bretone provengono dal nord del Paese (precisamente dall’Isola di Batz), sulle coste del Léon. Quelle in francese arrivano invece dall’Isola di Arz, Pays Vannetais (Sud Bretagne) e sono intonate da Marion Guen, Katell Kloareg e Faustine Audebert del gruppo Kaolila. “Les Calfats” (I Calafati) è uno sconsolato lamento tradizionale normanno, probabilmente della regione di Le Havre, punteggiato con paesaggi sonori lavorativi da cantiere navale, evoca la fine dell’epoca della pratica della calafatatura degli scafi. Quando i cantieri navali iniziarono a costruire le imbarcazioni in ferro e non ci fu più bisogno di riempire a mano i loro interstizi in legno, con stoppa catramata, allo scopo di renderla impermeabile all’acqua del mare: “Lo giuro sul mio culo che avevo talmente tanto lavoro allora, che vedevo tutta la mia squadra sputare sangue ogni giorno ma ora, sulla mia parola, addio mazze e paterazzi con tutte le loro dannate pentole e padelle. Non ci sono più calafati!” “Gwerz Penmarc’h” (Il Naufragio di Penmarc’h) fu proposto da Denez nella prima versione per l’etichetta Silex di “Ar Gouriz Koar” (1993) con arrangiamento di arpa della sempre compianta Kristen Noguès e l’aggiunta finale di una serie di orazioni solitamente recitate dalle donne durante le veglie funebri tradizionali bretoni (per la voce di Yvette Pochat di Léchiagat). Il gwerz famosissimo proviene dal Pays Bigouden ed è stato sempre molto interpretato in Bretagna: Andréa Ar Gouilh (1971), Eliane Pronost (1977), Sonerien Du (1978), Dominig Bouchaud (1987), Cabestan (1990), Bernard Benoit (1995), Yann-Fanch Kemener/Didier Squiban (1995), Myrdhin/Cheik Tidiane Dia (2014) “…crudele è il cuore di colui che non pianse trovandosi nei paraggi di Penmarc’h, colui che vide le donne dell’Audierne venire alla spiaggia, maledetti, maledetti gli abitanti di Penmarc’h, che tengono illuminata la loro chiesa di notte…” Penmarc’h significa “testa di cavallo” (penn “testa”, marc’h “cavallo”) e fa riferimento all’antica leggenda della perfida principessa Dahud che aveva trasformato con un incantesimo, il capo di Marc’h (Re del Poulmarc’h) in quello di un cavallo. 
Il Pays Bigouden (Bro-Vigoudenn), nei pressi di Kemper, Finistère meridionale, a nord-ovest della Foresta di Fouesnant, è regione bretone particolarmente legata alle tradizioni. Il drammatico Gwerz Penmarc’h, trasmesso oralmente da generazioni e che conta ben sei versioni originali, trasuda di rancore verso la gente di questo luogo. Narra quel che accadde in una notte di tempesta novembrina nella prima metà del XIV secolo, quando la flotta di Penmarc’h (detta anche dell’Audierne) venne inghiottita dalle onde, lasciando centoquarantasette vedove sulla costa, sole, a disperarsi. L’imbarcazione di ritorno da Bordeaux portava un carico di vino, in lontananza scambiò la chiesa illuminata per la luce del faro e puntando decisamente in quella direzione, finì per infrangersi contro gli scogli. Denez contemporaneizza l’evento facendolo introdurre dal bollettino meteorologico marino di France-Inter del 1 aprile 1991, poi il suo canto mistico viene raggiunto da bandoneon (Jean-Baptiste Henry), oud (Antoine Lahay) e duduk armeno (Yeltaz Guenneau) che aggiungono una nostalgica atmosfera world music. In “Les filles de Lorient” (Le Ragazze di Lorient) e “Les filles à deniers” (Le Ragazze a Pagamento) la tematica evoca le puttane portuali. Nella prima (del pays vannetais) si raggruppano tutte sulla Rue De La Cale Orry, in attesa dell’arrivo dei marinai, si tratta di un tradizionale “a remare” (o “nuotare”) in francese, raccolto a Dieppe dal celebre poeta, scrittore e drammaturgo franco-algerino Jean Richepin. La seconda, in bretone, è invece una ronde pagana, elettronica, leggera e danzante, delle coste nord-ovest del Léon, nella quale le tre voci del gruppo Kaolila rispondono al canto di Denez “ci sono ragazze per dieci denari, nove, otto, sette… per un soldo e anche per niente”. “Gabier à Terre-Neuve” (Gabbiere a Terranova) è un’altra complainte tradizionale resa assai famosa in Bretagna grazie alle interpretazioni acustiche prima di Cabestan (1984) e poi di Fanch Le Marrec (1998). Racconta della vita nell’arcipelago di Saint-Pierre-et-Michelon durante la Grande Pesca, Denez ne amplifica la drammaturgia grazie a uno straziante bandonéon sull’onda del quale decide di terminare sfumandola su un’altrettanto coinvolgente aria di valzer originale. “Ur Vag à Vontroulez” (Il Vascello di Morlaix) è l’epico racconto di un rude naufragio nella baia di Morlaix durante il XV secolo e nel quale perirono settecento persone di Ploujean, perlopiù in giovane età. E’ stato trascritto foneticamente da un quaderno regalato a Denez dalla nonna che lo iniziò alla passione per il Gwerz e contiene al suo interno una metafora che ricorda il passaggio del Mar Rosso da parte del popolo ebraico di Mosé in fuga dall’Egitto “…Saint Jean, padrone del mare e del vento, accogliete il mio bambino innocente che sta nascendo, prima che muoia senza battesimo, vi offrirò un cordone di cera, sette braccia di lino bianco, uno stendardo rosso con manico d'avorio ornato da una campanello d'argento…e il mare si aprì in due e il santo trovò sulla sabbia un bambinello sano e salvo nato sul mare”. La prefazione consta della narrazione dei sei primi versi ottonari e la conclusione è in tutto e per tutto somigliante a un rosario. Essendo sparita la melodia originale, Prigent ne ha composta una nuova di proprio pugno per sola tastiera. Nel testo un bambino implora di lasciarlo andare al pardon di Saint-Jean-du-Doigt mai i genitori sono preoccupati dal vento che soffia da Yaodet recando sventura. Il brano conclusivo del disco è “Amsterdam” di Jacques Brel. In oceanografia le “onde anomale” sono fenomeni spaventosi di cui nessuno conosce né causa né origine. Inserite negli oceani vastissimi e veloci, le loro osservazioni hanno inizialmente riguardato unicamente testimonianze dirette marinare e dunque, anche il presunto loro concetto di “eventi rari” era da ritenersi del tutto relativo. Questi implacabili e terrificanti schiaffi acquatici fanno parte dei treni d'onda dello stato di qualsiasi mare, a lungo sono stati attribuiti al folklore marittimo ma i marinai ben conoscevano da secoli sulla propria pelle, quello che qualche ricercatore ha iniziato a documentare solamente dalla fine del XX secolo (anche se, in realtà, lo studio scientifico delle ondate risale al secolo precedente). In maniera significativa lo hanno narrato molte loro canzoni, descrivendo quell’insidiosa vita o facendo resoconto dei catastrofici naufragi. Le onde mostruose, in evidente contrasto con la tanto decantata “dolcezza marina”, si formano improvvise e senza ragione apparente, muri d'acqua che vanno ad infrangersi contro le imbarcazioni, indipendentemente dalle correnti. Particolarmente infame risultava il fenomeno delle cosiddette "tre sorelle": tre onde anomale consecutive e letali per qualsiasi antico e disgraziato navigatore. Il mare bretone è stato la fine del mondo celtico prima e la porta d’entrata all’Europa attraverso l’Atlantico poi. I suoi racconti hanno gusto di tabacco, alcol, sudore e iodio, amano le nostalgie tra i cavalloni delle rive di Douarnenez o Iroise come tra quelle di Vanuatu o Macao. La faccia battuta dagli spruzzi dei sogni, abbondano di frasi e rime del vocabolario aspro degli antichi “pelletas” normanni, formidabile gente del mare che oramai non esiste più. In Francia, storicamente, due terzi degli iscritti marittimi risultavano bretoni. Nei decenni, paradossalmente, i chants de marins sono diventati anche di divertimento o convivialità ma originariamente quello marinaro era, al contrario, unicamente un canto di fatica. A bordo dei vascelli non c’era proprio niente di romantico: fatiche terrificanti identiche giorno dopo giorno, disciplina rigida, promiscuità, ingiustizie e pericoli continui, equipaggi spesso ridotti al minimo da capitani aguzzini e privi di ogni scrupolo, si beveva da schifo e si mangiava anche peggio. Questo abbondante e strepitoso repertorio comprendeva inizialmente canti di naufragi, di lavoro a lunga percorrenza (come ad esempio “La Carméline”, “Les Trois Marins De Groix” o “Le Père Winslow”) o di gente di Vannes imbarcata su La Royale (quale “Prizonerion En Angleter”). In seguito si è allargato, inglobando canzoni composte nei bistrot e in generale partendo dalla vita quotidiana dei litorali, se ne sono aggiunte altre di repertorio tradizionale realista, scritte tra le due guerre mondiali. Raramente a bordo si cantavano canzoni intere ma corti ritornelli ripetitivi per darsi reciprocamente forza a faticare, all’interno di questo repertorio ne esiste uno ulteriore, specifico dei canti di lavoro, quelle che gli Anglosassoni chiamarono “shanty”. L’ultimo grande aspro autore contemporaneo bretone è stato Michel Tonnerre (un nome che è tutto un programma!) (1949 - 2012) che iniziò a più di quarant’anni una carriera di cantautore dopo decenni passati in mare. Con voce grondante e tempestosa ha rinnovato i canti marinari che lungo tutta la costa di Bretagna hanno impresso il suo marchio a ferro e fuoco. Anche se forse la canzone più conosciuta, a celebrazione dei pescatori oceanici che osavano avventurarsi fin nei banchi micidiali di Terranova, si deve alla penna del contestatario e avanguardista cantautore prima dei grammofoni, Gaston Couté (1880 - 1911). In Bretagna e fino a Sant-Pêr-har-Mìkelon, molti la credono tradizionale, invece è opera di un poeta del Centro-Valle della Loira che nella sua breve vita, il mare non lo aveva neanche mai visto. Il compianto Marc Robine l’ha inizialmente musicata e interpretata da par suo nel 1980, in Bretagna lo riprenderanno in molti (Duo du Pavé, Gaillards d’Avant, Mouez Port-Rhu, La Bouline, Matelots en Bordée, Rêve de Mer, Cent z’scale, Vent de Noroise, Boujaron, Le Cap-horniers, Les Receneurs, Mascaret, Gwern…). Nei porti bretoni capita ancora adesso di ascoltare il canzoniere oggi scelto da Denez, poiché non hanno mai smesso di essere frequentati da bevitori incalliti e dotati di solida e indomita voce. Perfino il famosissimo Festival di Lorient ogni anno dedica lo spazio di una serata ai “chants des marins”. Senza ovviamente dimenticare le rituali feste marittime di Pors-Beac’h, Paimpol, Douarnenez, Brest…sorte sull’ondata di quelle che già esistevano al di là della Manica fin dagli anni ‘70 del secolo scorso. Nelle locande bretoni l’ambientazione aiuta, aleggia nell’aria la magia delle labbra dell’oceano, l’abisso è negli sguardi, si ode chiara, in quelle voci ormai instabili, la musica eterea di lontani sogni spaventosi. Sotto la pioggia di ponente, l’orizzonte oceanico mostra i cammini di cui non sono rimaste che pallide voglie in fondo agli occhi di qualche anziano marinaio. Qualcuno di loro scioglie la lingua e canta con scarsa e rauca voce, di barche che non torneranno, nessuno conta più su venti di sud-ovest o nord-ovest, oppure sul “bôme” (l’antico “gui”), il longherone con cui si orientavano le vele auriche e triangolari. Chi ha conosciuto il tempo delle “regine dei mari” non può dimenticare sartie, fiocchi, alberi di trinchetto, grani di rosari, tempeste gelate di Noroît e spera ancora di scorgere in fondo alla bruma, il sortilegio di qualche sagoma misteriosa apparire dal nulla. Lo stesso fantasma che vestì di nero la vita di tante donne bretoni quando l’intera vita marina, costiera o isolana che fosse, era regolata dalla meteorologia. Le folate che quotidianamente colpiscono le onde riversandole un po’ ovunque non appaiono più adesso, tragici emblemi per nuovi cimiteri, nessun piccolo naufragio tra Ouessant e Molène, Keller e la Pointe de Pern, nessuno rimane ancora separato dall’acqua neppure “tra lo scoglio di Néroth e la cappella di Saint-Corentin”. Le donne dei marinai del XVIII secolo, quelle si, affrontavano una vita drammatica, si sposavano in media a diciannove anni, rimanevano spesso vedove e sole con figli, economie e responsabilità domestiche. Di fatto si trattava di un matriarcato in famiglie numerose e dominate da una legge sadica che stabiliva sei mesi di anticipo sullo stipendio alla partenza dalle navi e ulteriori entrate solamente su presentazione delle note firmate dal parroco che certificassero lo stato di coniugi. Le notizie dei mariti imbarcati erano del tutto inesistenti e nessun ritorno era certo, paiono scritte per loro le parole di Samuel Beckett: “Le donne partoriscono a cavallo di una tomba, il giorno splende un istante, poi è di nuovo la notte” (Aspettando Godot). La tradizione è patrimonio, verità passate ma paesaggio in continua trasformazione. 


Flavio Poltronieri
Foto di Pierre Terrasson

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