Chiudiamo questa carrellata di incontri che anticipano le finali del Premio Parodi con Barbora Xu, artista ceca a lungo residente in Finlandia, anch’ella non nuova sulle nostre pagine. Con il suo articolato intervento, da musicista e da ricercatrice, Xu, tira un po’ le somme della discussione che ha coinvolto tutti gli artisti sui tragitti innovativi della tradizione.
Vuoi parlarci del tuo percorso musicale e del tuo album più recente?
Negli ultimi dieci anni mi sono concentrata su due tematiche principali: connettermi con la musica dei nostri antenati e con la natura. Dal momento che i miei studi universitari originali erano in sinologia, il mio punto di partenza è stato unire la passione per le culture orientali con la musica. Ho condotto una ricerca sul campo sullo sviluppo della musica tribale dei Bunun a Taiwan. Durante il periodo in cui ho vissuto nella loro comunità, ho cercato di comprendere come cambia la vita quando si passa da uno stile di vita prevalentemente di caccia e raccolta alla società moderna, e anche quali siano le differenze e le somiglianze nel fare musica, in particolare nel canto. Credo che le persone, nel loro nucleo, siano unite e che esista una qualità musicale trascendentale, una connessione con una fonte comune che si propaga attraverso di noi in modi unici. Ci sono somiglianze tra gli stili di canto popolari in tutto il mondo, e strumenti come le cetre si trovano in molte culture, anche tra i Bunun ho visto cetre. Questi concetti simili in tutto il mondo mi suggeriscono l’esistenza di un legame fondamentale, ed è proprio questo che cerco. Un aspetto del fare musica è la ricerca della qualità e della complessità, una sorta di nutrimento per l’ascoltatore; l’altro è il raggiungimento di uno stato mentale necessario per entrare in connessione, uno stato che esiste in tutte le culture: flusso, meditazione, esaltazione silenziosa, comunque lo si voglia chiamare. Strumenti a corde come il kantele finlandese sono stati usati per entrare in questo stato di flusso. Questo strumento è famoso nel contesto della mitologia e della magia — e non a caso: è perfetto per
incantare sia chi lo suona che il pubblico. Questa qualità è presente anche in strumenti acustici simili in legno, come il guzheng cinese e il balinkav dei Bunun. Durante parte del mio percorso di Master ho studiato in Finlandia e mi sono trovata a contatto con il kantele e con biblioteche piene di trascrizioni di testi tradizionali. Avevo portato con me a casa un guzheng e un balinkav, entrambi doni delle comunità locali. Ho sentito il dovere di fare buon uso di questi strumenti così preziosi, e così mi sono dedicata a comporre musica per testi tradizionali (poesie) provenienti dalla Finlandia e dalla Cina, usando le mie cetre. Questo lavoro va avanti da un decennio. Mi sono trasferita in una piccola casa di legno su un’isola vicino alla terraferma finlandese, portando nei boschi circostanti gli strumenti e cantando mentre componevo. Quello che è iniziato come uno stile di vita si è riversato nelle mie pratiche musicali, e nell’ultimo album “The Garden of Otava”.
L’infusione dei paesaggi sonori naturali e degli spazi ha influenzato profondamente il carattere delle composizioni. L’esperienza della natura ci connette, sia a livello globale che con le persone che ci hanno preceduto. Questo è particolarmente vero per le foreste primarie e gli altri spazi naturali incontaminati. Con questo pensiero ho avviato il mio attuale progetto musicale, chiamato Old Forest Echoes. Come parte di questa iniziativa, viaggio nelle foreste primarie della Finlandia per condurre ricerche artistiche e comporre musica. Queste composizioni forestali stanno ora diventando un album; alcuni brani sono già stati registrati dal vivo, direttamente nelle foreste, con la partecipazione di artisti ospiti. Quando l’album uscirà, farò un tour nelle foreste finlandesi e in altri paesi, portando il pubblico in installazioni sonore
all’aperto o anche direttamente nella foresta. Per me il modo più autentico per connettermi con l’eredità dei nostri antenati e condividere la natura rigenerante con chi magari non sa nemmeno che questi luoghi esistono ancora.
Cosa presenti al Parodi?
Un brano chiamato “Gamlin”, che cattura il momento in cui un raggio di sole caldo ti tocca la pelle mentre sei a riposo, concentrato solo sul calore, preparandoti a ciò che il giorno porterà. Amo eseguire questa canzone, in realtà la suono in ogni singolo concerto perché ha un effetto energizzante su di me e mi diverto molto a suonarla. Più che per il testo, è una questione di atmosfera che si crea durante l’esibizione. “Gamlin” non ha un significato specifico: è semplicemente il nome dato a questo brano.
Pensi sia possibile rinnovare la tradizione con modi vocali e stilistici che non conducono necessariamente verso forme mainstream?
Per me, un aspetto importante per onorare le tradizioni accessibili oggi è questo: se puoi scoprire il più possibile su una determinata tradizione con cui vuoi entrare in contatto, fallo. Cerca di immergerti anche in informazioni che vanno oltre la musica, perché la musica non esiste in isolamento. Esiste all’interno di una situazione, un giorno particolare, una stagione, un esecutore, un contesto performativo, una comunità, una scala di preferenze, un’estetica musicale e molti altri aspetti. Cosa possiamo fare con le registrazioni d’archivio, se non cercare di capire in quale contesto sono state fatte e qual era lo stile di vita dell’epoca? Anche se facciamo questo, non potremo mai sapere con certezza se la nostra interpretazione è corretta. In questo contesto, ci sono problematiche legate al prendere una musica proveniente da un altro tempo e spazio e riportarla in vita in modo responsabile, con le migliori intenzioni, attraverso la musicalità di un’artista vivente del nostro tempo. Ma è anche uno dei pochi modi che abbiamo per proseguire il
cammino intrapreso dalle persone che hanno prodotto quella musica. Possiamo anche porci questa domanda: Vorresti che le tue canzoni fossero riprese da un artista tra mille anni e presentate alla sua comunità, nel modo che sarà allora in voga? Quello che trovo più problematico è che oggi siamo quasi tutti influenzati dagli stessi pochi artisti famosi in ogni genere musicale, e così la nostra estetica si forma in modo molto più ristretto. Questa è la mia comprensione — per forza di cose limitata — del concetto di rinnovare una tradizione: quando c’è un’interruzione nelle attività tradizionali, spesso non se ne sente la mancanza subito, ma solo dopo vent’anni, ad esempio. A quel punto, una persona che non ha mai vissuto quella tradizione nella propria vita può accorgersi di sentire la mancanza di qualcosa che ha formato la sua comunità e volerla riscoprire. In quel momento, probabilmente solo le persone più anziane la conoscono ancora bene. Dal mio punto di vista, quando una tradizione si spezza, e cioè non è più possibile trasmetterla efficacemente, allora siamo in una situazione in cui possiamo recuperarne solo una parte. Verrà ancora chiamata “tradizione”, ma non sarà più la stessa nella sua interezza. I tempi cambiano, e quindi anche le tradizioni si adattano, almeno nelle motivazioni delle persone che vi partecipano. È ancora la stessa tradizione? O è una nuova? Se rinnovi un canto tradizionale usando una forma moderna di canto popolare (qualunque essa sia in quel momento), gli dai una vita. Gli dai una presenza nel mondo moderno e le persone interessate possono andare a cercare la fonte che ha ispirato il tuo arrangiamento. Questo è un fatto positivo. Certo, non è la stessa cosa della musica tradizionale autentica. Ma possiamo anche supporre che la modernizzazione delle
musiche tradizionali sia avvenuta per millenni, e che ciò che siamo riusciti a registrare alla fine del XIX secolo fosse già la forma “mainstream” di quella tradizione in quel momento. Non possiamo sapere com’era la musica cinquecento anni prima. Oggi, congeliamo certi stili tradizionali regionali per mantenere la varietà dell’esperienza e dell’espressione musicale umana. Il mondo è ormai così globalizzato che gran parte della produzione musicale condivide metodi ed estetiche simili. Per me ha perfettamente senso: sono semplicemente due approcci diversi per raggiungere lo stesso obiettivo finale — connettersi e onorare il patrimonio ancestrale umano.
Il Premio Parodi è un concorso dedicato alla "world music"? Come definisci questa categoria? In che misura ti ci identifichi?
Dalla mia breve esperienza, direi che è incentrato sulla qualità e l’autenticità. Questi valori li vedo anche nella musica di Andrea Parodi stesso. Non ho mai cercato di essere una musicista di un genere particolare. Le idee musicali arrivano, e io cerco di trasmetterle al meglio. È stato grazie al feedback del pubblico e degli organizzatori degli eventi che sono entrata a far parte della comunità della world music. A me sembra che in questo ambito convivano molti generi diversi, e solo alcuni sono simili a ciò che faccio io.
Ciro De Rosa
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