Alessandro Sessa, psicologo, psicoterapeuta e cantautore che si ispira alla tradizione musicale calabrese, ci propone il suo terzo lavoro da solista dal titolo “Punasuli” che, ci dice l’autore, “sta per tramonta sole e vuole essere un monito, una speranza che venga un giorno migliore: ’Puna suli e duna n’atru juornu, n’atru adduru, n’atru sapuru, n’atra canzuna, n’atra storia ca putimu cuntari, dumani’”.
La valenza del disco è duplice, da una parte è un intimo atto d'amore per la sua terra, guardando però al futuro con dei brani originali, dall'altra è una completa raccolta antologica del corpus calabrese e del repertorio di canto alla lira, alla zampogna e alla chitarra battente, strumento di cui Sessa è cultore ed esecutore. Alcuni brani sono quindi tradizionali e altri rivisitati con il contributo del chitarrista e curatore fonico Iacopo Schiavo, Giovanni Squillacioti, percussioni, Emanuele Filella, violino, Giulio Antonetti, lira calabrese, Nicola Pelle, zampogna e tamburello, Loredana Ruggieri, palmas e Federica Greco, controcanti. Tra i brani di tradizione sono presenti anche dei formalizzati orali come “Fuculera e ciminera”, declamato dalla piccola figlia Sofia Sessa, promessa di un passaggio di testimone generazionale attraverso il dialetto e la musica. “Santa Maria” è l’intensa rappresentazione della tradizione paraliturgica calabrese dei canti mariani in questo caso prossima alla zona di appartenenza dell’artista. Nella strenna di Lago (Cs), qui riportata come “Judeu”, cantata tradizionalmente nel periodo natalizio, ritroviamo un caso, unico in Calabria, di canto augurale e di questua connotato come un sanguigno canto anticonformista. Un canto satirico e paradossale è invece “Puricinu” in cui da un pulcino si ricava una improbabile quantità di carne, illusione di una classe sociale come quella della Calabria agro-pastorale che ha a lungo sofferto fame e povertà in passato. I brani scritti di proprio pugno non si allontanano comunque dal contesto emico e musicale originario, come ad esempio il delicato e struggente brano d’apertura “‘U mali d’amuri”. Tradizioni come quella della “Chjatra”, ovvero della pietra bianca dove in epoca medievale, nella piazza della vergogna, si poneva a sedere nudo colui che si indebitava e non pagava, una sorta di berlina insomma. Un brano che recupera il nobile tratto stilistico del cantastorie, completamento declamato, è invece “Terra ammazzata”. Lo stile di canto a strofette alla chitarra battente, detto “alla lonnuvucchisa” e presente nell’area del fiume Trionto, lo ritroviamo in “Chitarra ‘mpurvarata”. A seguire la delicata “Ninna nanna d’a quatrara” dove Sessa palesa la sua voce chiara e cristallina evidenziando alcuni suoni peculiari del suono del suo dialetto. Seguono poi “‘U suonu ‘i l’aria” che riecheggia la famosa tarantella del Barilli, il mitico mugnaio di Siderno (Rc), virtuoso di lira calabrese e “Punasuli” che propone un originale calabro sunset dal significato però universale nello stile di Bagnara Calabra. Un canto alla zampogna nello stile della Calabria meridionale, “‘Na sunata e ‘na cantata”, chiude l’album facendo da contraltare alla terza traccia: il canto non misurato alla lira “Forza cumpagnu miu” seguito da una tarantella in cui si attua un contrasto tra il tactus terzinato degli strumenti con il canto metricamente libero della voce.
Una mappatura della musica calabrese in cui vengono fatte rivivere tradizioni e sonorità di mondi arcaici che, come dice Corrado Alvaro, quand'anche non esistessero più, bisognerebbe almeno ricordarne la memoria. Un disco coraggioso, gradevole e urgente, consigliato a chi voglia avere un’idea del popolare vero calabrese elaborato con raffinatezza.
Francesco Stumpo
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