Vesevo – Tien’a ment’ (Liburia Records, 2025)

Vesevo: la traccia letteraria inscritta nel nome rivela l’appartenenza ma anche l’estetica del trio che si esprime precipuamente attraverso i codici della tradizione popolare campana riplasmati in forme espressive e di forte impatto. Antonio Fraioli, violinista e produttore artistico di lungo corso, figura centrale nella scena della nuova musica folk fin dagli anni ‘90 (E Zezi, Spaccanapoli e Spakka-Neapolis 55), Antonio Di Ponte, versatile cantante e chitarrista, e Francesco Paolo Manna, percussionista immerso in diversi ensemble di ispirazione musicale tradizionale. Il fortunato album eponimo uscito nel 2015 per Agualoca Records  è stato accolto da lusinghiere critiche dalla stampa world che conta. Dopo un lungo silenzio, Vesevo si affaccia sulla scena con un nuovo, atteso lavoro dal titolo diretto, “Tien’a ‘ment’” (“Tieni a mente”, “Ricorda” in napoletano), pubblicato dalla label di Terra di Lavoro Liburia Records, in cui si mette subito in chiaro la centralità della memoria, storica, sociale e musicale. Il disco è stato mixato da Fraioli e masterizzato da Giovanni Roma, con una copertina realizzata da Francesco Paolo Manna. A guidarci nell’ascolto è Antonio Fraioli.

Sono passati non pochi anni dal lusinghiero esordio del trio Vesevo: come definire questo ritorno?
Lo definirei inevitabile! Quando un paio di anni fa al mio rientro a Napoli ci siamo ritrovati, è sorta spontanea la voglia riprendere il filo, di vederci per ricreare l’alchimia sonora di Vesevo. Un’alchimia nutrita dalla comune passione per i linguaggi espressivi della tradizione orale, così come dal nostro personale background musicale e chiaramente dal nostro rapporto di amicizia di vecchia data. 

Memoria e contemporaneità: come conciliarle musicalmente?
Passato e presente sono inevitabilmente interconnessi, se non hai memoria del passato, non puoi realmente orientarti nel presente, questo vale in ogni aspetto della vita. Per Vesevo la memoria è costituita da canti, timbriche vocali, stili melodici, ritmiche, insomma quei particolari codici musicali tipici della tradizione. La vocalità di Antonio Di Ponte esprime questa memoria, così come la ricerca e lo studio dei tamburi a cornice del mediterraneo di Francesco Manna e il mio percorso di ricerca musicale.  L’intento creativo di Vesevo è quello di impiegare i codici e gli stili musicali della tradizione come materia viva e generativa del nostro modo di esprimere il presente. 

Come si sviluppa la scrittura di Vesevo?
Nel cammino che ha portato alla nascita di “Tien’a ‘ment’” abbiamo sperimentato diversi approcci creativi e strategie di produzione musicale.  Alcuni brani hanno avuto un percorso, diciamo così, più lineare. Ho scritto prima le musiche partendo magari da una suggestione suscitata da una particolare frase o una storia e Francesco ne ha poi scritto i testi. In altri casi invece siamo partiti da piccole cellule musicali, ad esempio un riff, attorno al quale sperimentare diversi approcci creativi, scegliendo poi il materiale e la direzione su cui lavorare. In un paio di brani invece, ho prima registrato un semplice tessuto sonoro di ambiente per ricreare un particolare clima espressivo, sul quale registrare una traccia di improvvisazioni vocali di Antonio (Di Ponte) attorno alle quali poi ho lavorato. Invece “‘A guerra” è nata di getto, in seguito ai terribili eventi bellici degli ultimi anni. Praticamente nello stesso momento ho scritto sia musica che testo. Insomma il percorso creativo è stato vario e molto intenso.  Riguardo ai testi, c’è stata un particolare attenzione e un continuo confronto e scambio di idee con Francesco, sulla scelta delle tematiche da trattare e a come esprimerle. 

Ci sono artisti, musiche, fonti che hanno preceduto o accompagnato la realizzazione di questo album?
In questi ultimi anni non saprei indicare un artista o un genere in particolare, se ascolto musica mi capita di ascoltare veramente qualsiasi genere, da Palestrina ai Cure, passando per Robert Johnson e 
Sergio Bruni, a patto che quello che ascolto mi riesca a incuriosire e a restituirmi verità e intensità. Credo di esprimere l’opinione anche dei miei compagni. Le fonti che sicuramente continuano ad ispirarci, sono spesso quelle registrate sul campo o che puoi ritrovare in raccolte come “Le sette Madonne” realizzata dal compianto maestro di grande spessore e levatura, Roberto De Simone.

Nu folk, musica neo tradizionale, world music: vi riconoscete in qualcuna di queste etichette?  O è meglio buttare tutto via e parlare solo di “musica”?
World music è un concetto utile per semplificare e delimitare un ambito, ma che ora sta a significare tutto e niente allo stesso tempo. La musica è un linguaggio, ed ogni cultura ne ha sviluppato uno suo, con le proprie particolarità espressive. Il suono di Vesevo nasce dall’esplorazione dei codici di questi linguaggi, come materia sonora per far suonare il nostro presente. Non ho mai amato le etichette, ma spesso dico che dal vivo Vesevo è una band world & roll!

Volete provare a raccontare il focus delle composizioni, una ad una?
Sì, in ordine di scaletta… “Pluvia Ignis”, che dal latino significa pioggia di fuoco, vuole rappresentare la voce sofferente del Mar Mediterraneo che lungo le rive del Medio Oriente e della Palestina, assiste a una pioggia continua di fuoco, morte e distruzione dell’umanità stessa. “Si vuò capì” è nato nelle ultime fasi di produzione, per noi è un brano importante. Nella scrittura mi ha guidato l’idea di creare un brano dal clima più intimo che si sviluppasse su una ritmica e uno stile melodico vicino ai canti sul tamburo e che potesse far ben emergere la vocalità di Antonio (Di Ponte). Il testo scritto da Francesco completa il clima espressivo, che riflette le inquietudini dei nostri giorni, il condizionamento mediatico, la crescente
alienazione da noi stessi. È un invito a ritrovare i nostri passi, magari attraverso il suono del battito di un tamburo, osservando la natura con gli occhi di un bambino.
“Cioparella”, che significa giovane donna, è un brano di tradizione calabrese di cui esistono diverse versioni. Qui, per ricreare un senso di attesa, ho dilatato la melodia della strofa e scritto una nuova parte B, una sorta di ritornello. Abbiamo messo in evidenza gli aspetti ritmici e melodici per creare un sound più mediterraneo, lasciando però inalterato il clima emotivo definito dal testo.
“‘A guerra” è stato il primo singolo dell’album, un brano dal suono più urbano e world, che ho scritto di getto. Ne abbiamo anche realizzato un videoclip curato da Francesco insieme a Roberta Serretiello. Oggi i media cercano di prepararci sempre di più all’idea della guerra, per compiacere gli interessi di pochi potenti a discapito di tutte le popolazioni. In questo brano la guerra viene descritta attraverso lo sguardo semplice del buon senso popolare. Nessuna guerra potrà mai finire se nessuno vuole fermarla! 
“Nacchennella” è un antico termine napoletano ricco di sfumature, di quelli che purtroppo stanno cadendo in disuso. Indica una persona superficiale, di poca sostanza ma che ama mostrarsi raffinata e soprattutto ama piacere agli altri, con una spiccata tendenza ad impicciarsi dei fatti altrui e a stare sempre dalla parte del vincente. Il testo di Francesco è un ritratto che sembra riflettere una buona parte della nostra società odierna.
“‘O Sient’ ‘o sisco”, il titolo si rifà all’incipit di un canto a distesa della zona di Giugliano. Tu conosci la passione che ho da sempre per la Giuglianese che negli anni mi ha spinto a farne continui riadattamenti per il mio strumento. Questa è una forma coreutico-musicale che racchiude in sé forti componenti di arcaicità e di modernità al tempo stesso. Ho rielaborato i fraseggi tradizionali al violino che, assumendo il ruolo del tradizionale “sisco”, esprime bene, intensificandola, la forza del brano. L’aspetto dionisiaco e psichedelico, che emerge, è rafforzato da scelte timbriche graffianti, dalla ritmica compatta e dal continuo inseguirsi dei violini e delle voci. A noi è sempre piaciuto proporla in concerto, in quanto è un brano tradizionale che se eseguito con i suoi codici e il suo stile vocale, riesce a evocare un’energia dirompente. 
“Pe’ cercà calore” Il testo scaturisce dal racconto di una ricerca spasmodica che porta il protagonista a scendere all’inferno per poi salire sino in paradiso.  Alla fine, stremato e sconfitto, fa ritorno a casa ed è in quel momento che si accorge che quello che cercava senza sosta in realtà era sempre stato li, sotto i suoi
occhi.  Il motore del brano è una incalzante ritmica di tamburello in stile pizzica, sulla quale si svolge l’intero pezzo e una serrata ritmica di chitarra elettrica. Il brano è costituito da due momenti diversi, separati da una parentesi orchestrale. Il primo con un’aria melodica decisamente pentatonica, la seconda caratterizzata da passaggi strumentali espressi dal violino, che richiamano ancora la pizzica salentina.
“La Sposina” è un brano della tradizione campana, che riprende un’antica favola popolare. Le tematiche sono quelle classiche dello scontro tra il bene ed il male, dell’incontro tra il maschile ed il femminile in cui emergono tratti della antica cultura patriarcale contadina. La melodia è stata in parte riscritta e sviluppata con un arrangiamento ricco di parti strumentali che sonoramente ripercorre lo sviluppo delle vicende della storia. “La Sposina” la dedichiamo a Marcello Colasurdo che per noi è stato compagno di molte avventure musicali e con cui personalmente ho condiviso, prima con i Zezi e poi con Spaccanapoli – un vero e proprio pezzo di vita. 
“Imbrecciata” era il nome di un antico quartiere di Napoli, noto per essere un luogo malfamato e di grande perdizione e che fu poi completamente abbattuto durante il risanamento urbanistico di fine 1800. Qui si praticava un antico rituale di tarantella che poteva essere richiesta dai visitatori dietro pagamento. Abbiamo immaginato un moderno “Pazzariello” del web, (ovvero l’antico banditore che percorreva le vie della città, accompagnato dal ritmo di tarantella scandito dal tamburo rullante) che, con vorticosi e sconclusionati passaggi, propone agli astanti di assaggiare il vino dell’Imbrecciata, riuscendo a coinvolgerli in una sbornia virtuale. Questo brano ripercorre lo stile dell’antica tarantella napoletana, con il basso continuo, il violino che esegue i tipici fraseggi con variazioni, la ritmica tradizionale del rullante
che accompagnava la camminata del “Pazzariello”,

Che ruolo svolgono tecnologia ed elettronica?
Non abbiamo fatto particolare uso creativo della tecnologia, che è stata comunque di supporto. Avendo scelto di realizzare in autonomia il processo produttivo, ci siamo attrezzati con uno studio mobile ai minimi termini, composto dal mio portatile, una sceda audio, un paio di microfoni e poco altro. La sala prove e le nostre abitazioni sono state il nostro studio di ripresa e il mio soppalco lo studio per produrre e mixare. Solo una decina di anni fa, tutto questo sarebbe stato difficilmente realizzabile
 
Pensi che il progetto Vesevo sia più da esportazione? O può essere vincente anche nel nostro Paese, inflazionato da gruppi di “musica popolare del Sud” e di esaltazione della napoletanità?
Vesevo ha le carte per essere fruito in diversi ambiti, sia quelli più locali vista l’ampia conoscenza che abbiamo dei repertori di musiche tradizionali e da ballo, sia in contesti da festival come rassegne internazionali world, folk e altro. Concordo che da noi esiste un’inflazione di proposte folk e devo dire che Vesevo, così come altri progetti che ho realizzato, hanno sempre riscosso molto più successo e soddisfazioni all’estero che non qui in Italia.

Come suona “Tien’a ment’” dal vivo?
Il momento del live è di per sé qualcosa di diverso, sicuramente più energetico e imprevedibile, in quanto articoliamo parti strumentali e forme in maniera più libera. Questo è l’aspetto diciamo scherzosamente, “world & roll”. I linguaggi delle tammurriate, delle tarantelle, prendono un senso vivo e funzionale. È una sorta di momento rituale tramite cui incontrare con il pubblico. La cura dei timbri e del suono per noi diventa sempre più importante.


Vesevo – Tien’a ment’ (Liburia Records, 2025)
Gli ingredienti ci sono tutti: voci, tamburi, corde ed archi acustici ed elettrici alle prese con stili e repertori ispirati a forme di tradizione orale che attraversano il Sud Italia. La necessità di tenere la memoria viva (il titolo in napoletano significa  “Ricorda”, “Tieni a mente”) si traduce da un lato nella consapevolezza delle origini, dall’altro si fa portatore del dialogo con mood sonori contemporanei, procedendo lungo il crinale di un’idea di tradizione non reificata ma sempre fluida e in trasformazione. Il trio Vesevo è Antonio Di Ponte (voce, chitarra acustica ed elettrica, chitarra battente), Antonio Fraioli (violino acustico ed elettrico, mandola, tastiere) e Francesco Paolo Manna (tamburi a cornice e percussioni). Il loro “Tien’ a ment’” è un album “stratificato”, dai testi divisi tra tradizionali e originali, governato da esecuzioni puntuali e di gran livello, della cui tela intessuta abbiamo parlato a fondo nell’intervista ad Antonio Fraioli. Apre la tracklist “Pluvia Ignis”, prologo che racconta un Mare che dovrebbe unire e che, invece, drammaticamente urla la tragicità dell‘assistere a stragi continue sulle sue acque e sulle sue sponde. In “Si vuò capì”, il canto si intreccia al tamburo in un ritmo che richiama l’ossessività della tammurriata, mentre il testo invita a recuperare la dimensione autenticamente umana. In “Cioparella”, brano di provenienza calabrese, la sinuosità del violino e le pulsazioni dei tamburi evocano modi arabi senza farsi mancare un afflato rock che può ricordare i Radio Tarifa. La tensione cresce con “‘A guerra”, brano che non necessita di chiarimenti: è un atto di denuncia potente, in cui affiorano umori desert blues che incontrano la veracità canora popolare. Il profilo modale arabeggiante si rinnova anche nell’energica, pulsante, elettrica “Nacchennella”, il cui testo (firmato da Manna) tratteggia in maniera ironica una persona superficiale che ama mostrarsi raffinata. “‘O Sient’ ‘o sisco” è uno dei vertici del disco. Qui i codici melodici e ritmici della tammurriata si ammantano di psichedelia con il violino che assume il ruolo incantatorio del sisco, mentre la voce si distende in melismi sostenuta dal ritmo pressante della tammorra. Non meno serrata “Pe’ cercà calore”, che segue l’architettura ritmica della pizzica (da sempre grande amore di Fraioli) con un tamburello furente, il serrato incedere della chitarra elettrica e il violino turbinoso che si impone nella seconda parte della traccia. “La Sposina” ha la veste di un canto narrativo a tinte rock, rielaborazione di una fiaba popolare campana. In “Imbrecciata” si rievoca invece l’omonimo quartiere storico della città di Napoli distrutto dal Risanamento di fine Ottocento, con una tarantella resa in forma libera: la struttura presenta una variazione tematica eseguita dal violino, sorretta da un basso ostinato e l’incisivo rullante a scandire il tempo con regolarità. La reprise di “Pluvia Ignis” chiude e suggella il cerchio narrativo ed emozionale di “Tien’a ment’”: un ardente disco “world and roll”.


Ciro De Rosa

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