Sleepwalker’s Station – Manitoba (Timezone, 2024)

Il progetto Sleepwalker’s Station nasce nel 2011 da un’idea del cantautore Daniel del Valle il quale ha radunato intorno a sé un gruppo di strumentisti di nazionalità e background musicale differenti i quali hanno trovato il comun denominatore in uno stile indie folk che incrocia tradizioni e stili musicali differenti, con influenze che spaziano dalla chanson francese al tango, passando per il flamenco e la musica alpina. Nell’arco di quasi quindici anni di attività, hanno attraversato in lungo e in largo quattro continenti, mettendo in fila oltre 1200 concerti tra Europa, America, Australia e Asia e suonato nei principali festival come Glastonbury in Inghilterra, SXSW in Texas, l’Open flair (Germania) o il Pure & Crafted a Berlino. Il loro nuovo album “Manitoba” giunge a sette anni di distanza da “Lorca” del 2018, nel quale sperimentavano per la prima volta l’utilizzo di lingue e dialetti differenti, e rispetto a quest’ultimo amplia il raggio delle loro ricerche sonore, rimandando ancor più direttamente alla ricchezza dei loro concerti. Registrato tra Portogallo, Germania e altri luoghi sparsi in Europa, “Manitoba” ha visto la partecipazione di oltre venti musicisti internazionali: un ensemble cosmopolita che arricchisce i brani di timbri sempre diversi: dalla voce dell’islandese Íris Thorarins a quella della berlinese Zora Schiffer, al clarinetto della musicista svizzera Theresa Thut (clarinetto) per toccare il suono della tuba di Wolfgang Schlick e del trombone di Elena Seeger che imprimono ai brani una profondità orchestrale. Durante l’ascolto, a colpire è la coerenza con cui tutto questo si amalgama: la complessità degli arrangiamenti è sempre sorretta da una leggerezza che rende ogni brano accessibile, come se fosse naturale passare dall’andaluso al catalano, dal francese al dialetto trentino. I testi, come sempre, mettono al centro il viaggio e la ricerca: figure leggendarie e letterarie come Don Chisciotte, Ulisse o l’Alchimista di Coelho diventano alter ego poetici di una musica che si muove alla stessa maniera – più interessata al cammino che alla destinazione. Ogni canzone sembra raccogliere un frammento di mondo, un piccolo souvenir sonoro che diventa racconto universale. Ad aprire il disco è il la ballad “Fading Names” con il climax strumentale guidato dalle chitarre e dalla voce di del Valle ed impreziosita da un bel solo di tromba. Si prosegue con le atmosfere tex-mex di “Prohibido” cantata a due voci dal frontman e caratterizzata dai fiati che impreziosiscono la tessitura melodica. Se la title-track è una sinuosa ballad dal tratto jazzy cantata in duetto con Zora, la successiva “Piazza Della Vittoria” è cantata in italiano e riflette sull’ipocrisia delle feste nazionali in cui si festeggiano le grandi vittorie che corrispondono sempre alle sconfitte della gente. Ascoltiamo, poi, “Intuition”, una gustosa ballata acustica dalla dinamica solare e l’evocativa “Le Pacte Des Loups”, cantata in francese in duetto con Íris Thorarins e che spicca per la poesia che ne pervade il testo. L’elegante “Raindrops In June” e “Weltbild”, cantata in tedesco ci guidano verso il finale dove scopriamo la visionaria “Titanic, Elser & Galileo” che, può essere considerata il vertice del disco, la riflessiva “La Mia Ora Di Libertà” e “München” con la partecipazione di Elena Seeger al Trombone che suggella un disco pieno di fascino che si lascia ascoltare dalla prima all’ultima nota. In definitiva, Manitoba è un disco che parla la lingua del mondo. Non tanto perché utilizza cinque idiomi e quattro dialetti, ma perché sa trasmettere l’idea che la musica – più di ogni altra cosa – è un luogo comune, un terreno di scambio in cui le differenze si trasformano in ricchezza. Un album da ascoltare come si sfoglia un diario di viaggio: lentamente, lasciandosi sorprendere da ogni nuova tappa. 


Salvatore Esposito

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