Oktopus – Brahms, Balkans & Bagels (Autoprodotto, 2025)

Con questo album fluorescente gli Oktopus – ensemble canadese votato alla tradizione klezmer – attraversa un lungo tragitto che, come suggerisce il titolo, arriva a toccare alcune composizioni della tradizione musicale cosiddetta classica. “Brahms, Balkans & Bagels” – asceso all’ottava posizione della Word Music Charts Europe di luglio 2025 – fa leva su molti elementi, che possono essere interpretati come imprescindibili per comprendere le peculiarità e, in generale, lo stile e (prima ancora) l’approccio dell’ottetto capitanato dal clarinettista e compositore Gabriel Paquin-Buki (a cui si affiancano Matthieu Bourget e Madeleine Doyon al trombone basso e tenore, Francis Pigeon alla tromba, Noémie Caron-Marcotte al flauto, Guillaume Martineau al piano e Maxime Philippe alle percussioni). Si tratta, in particolare, di una prospettiva ampia, che non solo abbraccia generi diversi – appunto il classico, il balcanico, il klezmer ecc. – ma sospinge ogni nota verso un orizzonte fascinoso: fatto di leggerezza, ponderatezza, conoscenza e capacità. Si tratta di comprendere quanto sia possibile instaurare un dialogo musicale all’interno o in riferimento a coordinate anche concettualmente distanti fra di loro (molte di queste immaginifiche), raccapezzarsi in un movimento ineluttabilmente ondulatorio, multiforme, riconoscere i poli verso cui tendere per ripristinare, man mano che si procede, l’equilibrio necessario (pensiamo a “Elegie des vieux amants” o alla meravigliosa “Rhapsodie hongroise n. 2” di Liszt). Si tratta di verificare – possibilmente anche con la leggerezza autoironica di quel tipo di artista che sa manovrare il suo strumento e le note che vuole mettere insieme – quanto la strada sia percorribile e quanto i supporti su cui si poggiano i piedi possano effettivamente reggere (pensiamo a “Beresh Katz Bulgar”). Tutta questa irriducibile indeterminatezza sprigiona una forza inarrestabile e un fascino irresistibile. Che si stratificano in uno spazio che non ci appare definito fino in fondo ma, al contrario, ancora (e ancora per molto) in costruzione, in cerca di definizione, di verifica. Entrando allora in questo mondo tentacolare (mai nome di band fu più azzeccato) troviamo il ritmo esteuropeo, sublimato in cadenze salde e precise ma delicate, classiche, sinfoniche (“Trumpet Doina, wie aus der ferne”). Non affrontiamo, coi piedi che si alternano battendo incessanti il pavimento, l’onda travolgente e densa della sincope da fanfara: ci attraversa, piuttosto, una sorta di riflesso, di riverbero sonante di una marcia precisa e piena, ma tenue e calibrata. Non ritroviamo le sciabolate definitive e sinuose (umide, invernali) della narrativa klezmer: piuttosto riconosciamo l’agilità dei fiati nella costruzione del contrappunto, nello schivare, come se fossero lame taglienti, le cadenze dei quarti, intrecciando l’armonia sibillina esteuropea con quella mitteleuropea, malinconica, rigida e romantica. Troviamo costruzioni melodiche che si intrecciano dentro arrangiamenti raffinati, tanto ricercati quanto spontanei (“Wiegala”). Arrangiamenti, dialoghi appunto, che, sviluppandosi in direzioni, relazioni e codici più che biunivoci, ci portano davanti a un panorama abbagliante. La bellezza dell’album sta tutta dentro la polivalenza dei singoli suoni, determinata dall’assetto primario dell’ottetto e dalla sua posizione provocatoriamente raffinata e poliglotta. In questo quadro aumenta anche la sensibilità dell’ascoltare (per il tempo dell’ascolto dell’album e, ci auguriamo, almeno fino all’ascolto della discografia degli Oktopus e di tutto ciò a cui questa rimanda), che riesce ad attraversare un flusso di suoni limpidi, che acquisiscono candore man mano che si svolgono e si incastrano l’un l’altro. Quella polivocalità – che accomuna tutti i linguaggi che ispirano l’ensemble – diviene, così, la porta di accesso a “Brahms, Balkans & Bagels”. Non soltanto perché vi riconosciamo la complessità delle tradizioni espressive di riferimento, ma soprattutto per il nuovo profilo che queste assumono, con estrema naturalezza e compostezza, nelle composizioni e nelle esecuzioni dell’ensemble. È a questo livello che riconosciamo il valore straordinario dell’album, pieni di una sensazione straniante di stupore e appagamento. 


Daniele Cestellini

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