Kate Daisy Grant & Nick Pynn – Songs for the Trees (Kate Daisy Grant, 2025)

Ciascuna delle lettere dell’antico alfabeto ogamico era associata a un albero o a una pianta che l’ha come iniziale del proprio nome. Da questa forma di scrittura dei Celti insulari prende ispirazione “Songs of the Trees” di Kate Daisy Grant e Nick Pynn, album che inanella tredici episodi – undici canzoni e due strumentali, come i mesi lunari del calendario celtico. Va osservato, però, che il modello di un calendario arboreo celtico è una costruzione contemporanea popolarizzata da Robert Graves, che attinge a scritti della fase storica di infatuazione per le antichità (a partire SIA da documenti veri sia da testi contraffatti) tra fine Settecento e inizio Ottocento, periodo di invenzione delle “scienze druidiche” e della rinascita celtica. Per Grant e Pynn l’idea di un album “arboreo” nasce sulla scia della proposta della lecturer e storyteller Xanthe Gresham-Knight di interpretare una canzone tradizionale dedicata a un albero sulla base dell’alfabeto ogamico, in occasione degli incontri mensili di “The Guesthouse Storytellers” nella cittadina di Newhaven nell’East Sussex. Così racconta la genesi la songwriter inglese, già con una lunga e apprezzata esperienza artistica alle spalle: “All’inizio imparavo canzoni popolari esistenti per ogni albero, ma, approfondendo il folklore, mi sono resa conto che la maggior parte parlava di drammi umani, con gli alberi relegati a sfondi muti. Ho sentito il bisogno di scrivere nuove canzoni che onorassero i poteri, i caratteri e le storie intrinseche degli alberi, per farli diventare protagonisti e non semplici comparse. […] Le canzoni sono risultate molto diverse tra loro, proprio come le specie arboree – e ogni albero ha il suo spirito”. A questo punto entra in gioco il partner Nick Pynn, musicista di ambito avant-folk, che ha curato arrangiamenti, suonato molti strumenti (chitarre, banjo, oud, tiple, mandoloncello, mandolino, violino, viola, dulcimer e waldzither), intrecciandoli con la magnifica voce di Kate (che suona anche pianoforte, violoncello e autoharp), registrando le tracce e componendo due brani strumentali. Il supporto fisico non contiene un libretto con approfondimenti che è invece disponibile sulla piattaforma Bandcamp.  Quelle di “Songs for the Trees” sono canzoni che procedono in larga parte con passo calmo, coinvolgendo e accompagnando l’ascoltatore in un viaggio che è al contempo fiabesco, poetico e consapevole della biodiversità da conservare. L’album è aperto dalla breve e sognante “Oh Silverskin (For The Birch Tree)”, voce e synth si prestano per un’invocazione rivolta alla betulla, albero del pellegrino e della purificazione, simbolo di nuovi inizi (“Spazza via l’aria / Aiutaci a iniziare / Fendi il bianco / Oh pellegrino / Proteggimi / Nel gelo / Oh piccola luce, di meraviglia / Benedicici mentre ti lasciamo / Oh piccola vita, Oh Madre / Cullaci… nella bellezza”). Segue “Fearn (Alder Song)”, dedicata all’ontano, albero di protezione per fuggitivi, ladri e creature fatate. L’ontano “sanguina” rosso quando viene tagliato ed era usato per costruire scudi, nella convinzione che l’albero avrebbe versato il proprio sangue al posto del guerriero. Qui collaborano Martyn Barker (campane tibetane, bodhrán e percussioni) e Jim Mortimore (contrabbasso). Il primo strumentale è “Mother Elder”, firmato da Pynn (dulcimer, chitarra tenore, violini e viola), con Philippe Barnes ai flauti, strumenti spesso realizzati in legno di sambuco (Ruis nell’Ogham). Il sambuco, anch’esso pianta protettiva, è avvolto da antiche credenze, secondo cui chi preleva il suo legno senza permesso subisce sfortuna o una vendetta. “Od’s Song (For the Ash Tree)”, sospeso tra blues e gospel, si apre alla mitologia norrena con il sacrificio di Odino sull’Albero del Mondo, che donò all’umanità poesia e profezia attraverso le rune. Pianoforte e voce caratterizzano “The Yew Tree on the Downs”, musica su una lirica di D.H. Lawrence il cui tema è un incontro clandestino. Il tasso, albero simbolo di morte e resurrezione, è evocato con un arrangiamento cupo e intenso. Kate spiega: “L’estrema segretezza di questo incontro amoroso mi ha fatto riflettere se fosse un canto legato all’orientamento eterosessuale di Lawrence o alla sua attrazione verso persone dello stesso sesso, realtà negata e vissuta nell’ombra”. Il testo di “The Rowan Tree” proviene dal repertorio di Carolina Oliphant (Lady Nairne), è accompagnato da una melodia dolce e un po’ malinconica composta da Kate e suonata con chitarra, tiple e violino. Emoziona “The Shadow on the Lowlands (Willow Song)”, che esalta la voce della vocalist che, poggiata su droni, canta il salice, simbolo di dolore e protezione in una sorta di lamento (“Mantieni la fede, anima smarrita/ Vedi chiaro nell’oscurità/ Oh vento del salice, ahimé/ Riporta il mio amore a me”). Il tono muta nella ballad “Queen of May (For the Hawthorn)”, altro vertice del disco, introdotta dal suono dell’oud e segnata da un trionfo di archi e corde – violoncello, viola, violini, autoharp, dulcimer e contrabbasso – a raccontare del biancospino, simbolo del ritorno della primavera. Sorprende il canto a tratti lirico che si presenta in “Keening Song (For the Hazel)”, canzone dal testo in latino, accompagnata dalla chitarra, che richiama il rito irlandese del keening, il lamento funebre delle prefiche, che fu proibito dalla Chiesa cattolica perché conferiva alle donne un potere nelle comunità che sottraeva autorità ai preti. Si tratta di un lamento per la terra perduta e i riti dimenticati: “un lamento per la perdita del lamento stesso”, chiosa Kate. Scrre leggera e vivace, animata da raffinate inflessioni pop, “Oh, Joy, Wassail (For the Apple)”, dove la cantante si immerge nelle storie dei mistici legati al melo, con una citazione non proprio filologica dal poeta metafisico e teologo seicentesco Thomas Traherne (da “On Leaping over the Moon”). La tracklist continua con l’incantevole “Bring us Back to Life (For the Oak)”: arpeggi di chitarra e voce sublime per cantare un albero legato alla mascolinità e alla forza protettiva divina. Il secondo strumentale autografo di Pynn è “Holly”, dall’andamento danzante (waldzither, mandolino, violino e chitarra). L’agrifoglio era un albero sacro per i druidi, il cui legno veniva usato per costruire le bacchette magiche. Si racconta che fate e spiritelli si rifugino nei suoi cespugli e che portare rami in casa attiri buona fortuna in cambio del calore del fuoco. Il commiato è affidato a “Where Do I Go from Here? (Song for the Pine)”, tema etereo e avvolgente, con il piano protagonista nell’accompagnare il canto di Kate, che si ispira all’antico uso di decorare i pini in inverno per invocare il ritorno della primavera (“Guardaci per come siamo, spaventati nel buio / Ma avvolti dalla luce delle stelle e dalla meraviglia / Dove andrò da qui?”). Parte dei proventi dalla vendita di questo album sarà destinata a EarthJustice, che difende i diritti della natura e delle comunità native – “perché la Terra ha bisogno di un buon avvocato”, dicono i due artisti. “Songs for the Trees” è un album “charmant”, spirituale e poetico, dal linguaggio musicale e dagli arrangiamenti capaci di catturare l’ascoltatore trasportandolo in una magica sospensione temporale, e al tempo stesso un elogio della biodiversità botanica e un appello che chiama alla sua tutela e conservazione. 


Ciro De Rosa

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