Sebbene non abbia fatto della musica la sua professione esclusiva, essendo stato per lungo tempo a capo di un’agenzia pubblicitaria, Dino Betti Van Der Noot è uno di più raffinati ed originali compositori e direttori d’orchestra della scena jazz italiana. Guardando in retrospettiva il percorso artistico, compiuto dagli anni Settanta ad oggi, si può notare come sia stato improntato sempre al perseguimento di una visione del jazz molto personale e certamente fuori dai canoni che si è concretizzato in un lessico compositivo per orchestra di grande ricchezza. Un approccio compositivo mutevole e imprevedibile che esalta le potenzialità narrative ed espressive dell’orchestra, e nel quale si colgono le ardite e sorprendenti soluzioni armoniche e melodiche, mentre in controluce traspaiono i rimandi alla musica contemporanea, ma anche gli addentellati con Gill Evans, Duke Ellington, Carla Bley, e Charles Mingus. La sua musica, però, necessita attenzione e tempo per sedimentare, perché ascolto dopo ascolto si schiude lentamente, rivelandosi in tutta la sua forza evocativa, quella dei grandi classici del jazz, ma anche dalla incredibile modernità. A distanza di due anni dallo splendido “Let Us Recount In Our Dreams”, ritroviamo Dino Betti Van Der Noot con “Brahm Dreams Still”, diciassettesimo album in carriera, un nuovo capitolo del suo universo sonoro che lo vede alla guida di una big band composta da ben ventidue strumentisti, una formazione che lo affianca ormai da diversi anni e con la quale c’è un’intesa perfetta. Rispetto ai precedenti, in questo disco si coglie ancor di più la sua abilità nel bilanciare momenti orchestrali e spaccati solisti con queste ultime che non improvvisano sul tema ma piuttosto diventano funzionali alla narrazione sonora. Ulteriore peculiarità di questo album e della cifra stilistica di Dino Betti Van Der Noot è l’abilità in cui compone e scompone l’organico ora in trio, ora in quartetto, ad imprimere ulteriore tensione allo svolgimento dei brani. Del resto, il compositore e direttore d’orchestra italo-lussemburghese non si limita alla direzione della sua orchestra, ma piuttosto ma ne è alchimista bilanciando e calibrando ogni singola nota, ogni apertura improvvisativa. Ascoltiamo, così, la potenza dei fiati di Guglielmo LoBello, Alberto Mandarini, Mario Mariotti, Fabio Brignoli (trombe e flicorni), Luca Begonia, Stefano Calcagno, Enrico Allavena (tromboni), Gianfranco Marchesi (trombone basso), Sandro Cerino (flauto, clarinetto basso e sax alto), Andrea Ciceri (sax alto), Giulio Visibelli (flauto alto e sax tenore), Rudi Manzoli (sax tenore), Gilberto Tarocco (clarinetto, clarinetto basso, sax baritono), ma anche i ricami di Luca Gusella (vibrafono), Vincenzo Zitello (arpa clarsach), Emanuele Parrini (violino), Niccolò Cattaneo (pianoforte) e Danilo Mazzone (tastiere), il tutto sorretto dalle architetture ritmiche di Gianluca Alberti (basso elettrico), Stefano Bertoli (batteria), Tiziano Tononi (snare drum, udu drum e percussioni) e Federico Sanesi (tabla, pakhawaj, darabouka, tanpura, campane, campanacci, stone chimes e ocean drums). Composto da cinque brani, concepiti in sequenza e pensati per essere ascoltati senza soluzione di continuità, il disco è un flusso di immagini sonore, un racconto poetico dai tratti onirici che si dipana tra ombre, mutevoli apparizioni, e immaginifiche rappresentazioni. Ad aprire il disco è la title-track è ispirata ad un racconto di Rudyard Kipling “Brahm Dreams Still”, Brahma sogna ancora, in cui viene raccontata di un’alluvione e ad un certo punto uno dei personaggi afferma: “se Brahma smettesse di sognare non ci sarebbe più niente”. Tutto questo nella musica di Dino Betti Van Der Noot si traduce in una composizione densa di fascino, un climax che parte dalla struttura ritmica per evolversi in una trama sonora da cui si genera un tema denso di speranza, quasi a voler dire: nonostante tutto, continuiamo a sognare. Si prosegue con “A Crystalline Windless Sea”, ispirata alla calma del mare e al suo fascino immutabile e senza tempo, con il pianoforte ci introduce alle diverse cellule melodiche che si sviluppano con l’ingresso dei fiati e la sezione ritmica, dando vita ad un incanto sonoro di grande suggestione. Il terzo brano “Interlude in C” cambia le carte in tavola con il suo svolgimento giocato nervoso, quasi frammentato e giocato su imprevedibili cambi ritmici e melodici nei quali si inserisce il solo di trombone di Begonia e l’interplay tra le tastiere di Mazzone e Cattaneo. In “Faraway Mountains Turning Into Clouds” viene ripreso il riferimento a William Shakespeare, già presente nell'album precedente, attraverso l'immagine delle montagne che, viste da lontano, assumono l'aspetto di nuvole. E’ un brano dalla struttura musicale complessa e nel contempo riflessiva al quale il compositore e direttore d’orchestra italo-lussemburghese affida le sue riflessioni sul tempo, l’età e la memoria. Completa il disco, il canto d’amore “Aux premières heures bleues” che trae ispirazione da un verso di Rimbaud e rimanda a quel momento che, sul far della sera, non è più giorno e neppure notte, in cui il cielo si tinge di un colore unico. Dal punto di vista musicale il brano si muove attraverso segmenti melodici e momenti più serrati in cui dominano i fiati per concludersi con una improvvisazione libera che suona come un gustoso divertissment. Ascoltare “Brahm Dreams Still” significa abbandonarsi ad un viaggio nell’immaginario poetico e musicale di Dino Betti Van Der Noot, un itinerario sonoro ed emozionale forse non semplice ma accogliente, denso di brillanti intuizioni da ascoltare con grande attenzione.
Salvatore Esposito
Tags:
Suoni Jazz