Adrian Raso & Fanfare Ciocarlia – The devil rides again (Asphalt Tango Records, 2025)

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A un decennio circa di distanza ritorna la collaborazione tra la chitarra tagliente di Adrian Raso e la gipsy brass band Fanfare Ciocarlia, che nel 2014 pubblicarono il fantastico “Davil’s tales”, che si era arrampicato, con naturale sfrontatezza, in cima alla World Music Chart Europe. Ne scrivemmo in queste pagine, entusiasti di una narrativa nuova sotto molti aspetti: la spregiudicatezza di Adrian Raso, ben piantato in un chitarrismo fluido, rapido e inebriante, e la compattezza, allacciata a una precisione esecutiva perfetta, della Ciocarlia, la formazione di fiati più entusiastica della grande tradizione gipsy dell’est Europa. Tutto ebbe inizio a metà anni Novanta, quando Henry Ernst e Helmut Neumann – i futuri fondatori della Asphalt Records – giravano per la Romania alla ricerca di nuovi suoni da proporre nel mercato della world music. L’incontro con i rom della Ciocarlia avvenne a Zece Prajini, un piccolo villaggio di agricoltori della regione Moldavia, e fu amore a prima vista: la banda era costituita solo informalmente ma la qualità della musica e delle esecuzioni risultò subito evidente, grazie a un approccio diretto, privo di formalismi e inflessioni piacione da mercato discografico. Di lì a breve la Fanfare si avviò lungo un percorso straordinario, con concerti in tutto il mondo, e la Asphalt Records aprì i battenti, strutturando un ottimo catalogo di artisti, fortemente imperniato sulla musica gipsy. Adrian Raso, chitarrista e compositore canadese, molto impegnato nella
scrittura di musica per il cinema, ha riconosciuto, dal canto suo, la forza della Ciocarlia e i risultati, per il momento, sono più che soddisfacenti. Questo secondo incontro – che fa evidentemente il paio con il primo – riporta buona parte della sua energia primigenia nel titolo “The devil rides again”. Che ci indica sì la connessione con l’album d’esordio della loro collaborazione, ma soprattutto riconduce l’immaginario dell’ascoltatore alla mitologia del chitarrista impolverato, con le dita ben piantate sul manico, un repertorio infinito a cui attingere e tutto da risuonare, e uno strato di visioni che arrivano diritte al blues, al folk e alle lande ampie della musica popolare americana. Ascoltando bene la parabola che l’album disegna, attraverso undici brani potentissimi, si ha l’impressione di rigirarsi tra specchi contrapposti che disorientano ma non fanno perdere la bussola. Si va dal “Transylvania Twist” alla “Tarantella noir”, passando per “La Marquisette” e “Roma Stomp”, come a leggere una mappa di cunicoli che congiungono luoghi apparentemente distanti e indipendenti l’uno dall’altro. Inutile dire che le connessioni ci sono e come: si poggiano sì sulla chitarra e, in generale, sulle corde di Raso, ma, a un livello più di dettaglio, si intersecano con ogni singolo suono, nel vortice complessivo che tutti i musicisti contribuiscono a generare. Con ordine (paradossale ma concreto) e precisione, compattezza (appunto), coerenza di forma e scrittura.
 Si noterà che l’indirizzo principale – forse quello più propriamente armonico – proviene dalla chitarra. Difatti, nonostante le forme elastiche che questa è in grado di assumere, ci sembra di riconoscere una direzione sufficientemente chiara nella costruzione dei brani, volutamente generata sul carattere musicale di Adrian Raso. Ma non possiamo ignorare – e non solo per l’assetto stesso della band – il modo in cui si procede in quella direzione guitar-centric. La Ciocarlia punta i piedi e procede a passi sicuri, con cadenze riconoscibilissime, battendo il terreno e fornendo tutto il supporto necessario. La bravura dell’ensemble emerge proprio da questo: far inalare a Raso tutta la sua potenza, in modo che la narrazione proceda dritta e sicura. A questo si aggiunga (ovvietà? No, necessità di sottolineare un altro elemento di abilità) il suono degli ottoni, imprevedibile, irresistibile, irriducibile. Non è solo una questione di potenza e ritmo feroce. Il loro dialogo con le corde fa saltare dalla sedia, anche quando l’atmosfera si fa più distesa: provare per credere “Stromboli”. 


Daniele Cestellini

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