Umbria Jazz ha aperto i battenti, per la cinquantaduesima volta, la sera dell’11 luglio. Come sempre accade, la città ha iniziato a fermentare qualche settimana prima, con le numerose maestranze che preparavano stand e palchi nel centro storico di Perugia. Anche per l’edizione 2025, l’acropoli perugina rappresenta – in una buona sua parte, che ricomprende Corso Vannucci e i due poli in cui è racchiuso, cioè piazza IV Novembre e i giardini Carducci – il grande palco diffuso della manifestazione. Perché è qui, in un’area oramai attrezzatissima, che si svolgono i concerti gratuiti da mezzogiorno a mezzanotte (tenuti quest’anno da artisti straordinari, tra i quali Shake ‘Em Up Jazz Band, The New Orleans Mystic, Acori e Disaccordi, Delta Wires), che si installa la stazione di Radio Montecarlo, che trasmette in diretta affacciata sul corso per tutta la durata del festival, che si sosta, man mano che si procede, seguendo le incursioni giornaliere della street band Funk Off. Ed è passando da qui che si accede alla Galleria Nazionale dell’Umbria, che ospita, nella bellissima Sala Podiani, un cartellone di concerti intimi seguitissimi, e che
si raggiunge il Teatro Morlacchi, centro nevralgico del cartellone più propriamente jazz, o che si arriva al Priori Secret Garden, dove si svolgono concerti nel tardo pomeriggio e, soprattutto, round midnight (ricordiamo che le jam session hanno ripreso vigore da alcuni anni a Umbria Jazz e che la “House band” del Priori è il quintetto capitanato da Daniele Scannapieco, a cui si aggiungono, finché c’è voglia di suonare, innumerevoli musicisti ogni sera). Come da tradizione, la conferenza stampa finale si è svolta la mattina dell’ultimo giorno del festival. L’evento genera sempre una certa attesa, perché è l’occasione per condividere numeri, riflessioni, bilanci, anticipazioni. E lo si fa quando ancora l’atmosfera è accesa e si è tutti nel flusso della manifestazione. Riguardo alle anticipazioni, è stato confermato che nel 2026 il festival si svolgerà la prima settimana di luglio, quindi prima rispetto al periodo tradizionale di metà luglio: questioni di booking – che creano anche una comprensibile attesa – su cui la macchina
organizzativa sta già lavorando. Il bilancio è positivo, perché UJ è un organismo maturo, un adulto che sa cosa vuole e come ottenerlo: musica diffusa in città, differenziazione del cartellone, jazz di qualità, sperimentazione, grandi star, giovani proposte. L’atmosfera è divenuta subito internazionale, grazie anche alla celebrazione dei 40 anni della collaborazione tra il Barklee College of Music di Boston e Umbria Jazz Clinics (il programma di formazione rivolto a giovani musicisti che si concentra nei giorni del festival), che si è svolta il giorno prima dell’apertura ufficiale del festival e a cui è seguito il concerto degli allievi – avviando, di fatto, il festival un giorno prima. Riguardo ai numeri – che la stampa ha ampiamente riportato – non si può che essere soddisfatti, vista l’affluenza straordinaria in città (500mila presenze), la partecipazione ai tanti concerti in cartellone (34mila biglietti venduti) e la partecipazione al concerto inaugurale gratuito, tenuto da Angelique Kidjo in una piazza IV Novembre gremita. Nonostante qualcuno
abbia fatto notare che il cartellone non fosse all’altezza di quello delle ultime due edizioni, Umbria Jazz 2025 è stato un festival di altissima qualità (ricordiamo all’Arena gli spettacoli del quintetto di Stefano Bollani, di Harbie Hancock, Diana Reeves, Samara Joy, Gregory Porter, Hurt Elling e The Yellowjackets, Lee Ritenour, la SatchVai Band – con i guitar heroes Stave Vai e Joe Satriani – e via così con Marcus Miller, Jacob Collier, Candy Dufler, Kamasi Washington, Mika e Lionel Richie). Attenzione, in una manifestazione come questa – aperta, diffusa, cittadina (nel senso che si avviluppa agli spazi cardine di Perugia), poliedrica – la qualità non può ricercarsi soltanto nelle scelte artistiche. È chiaro che queste rappresentino l’elemento centrale dell’evento (e su quelle si basa buona parte del resto), ma il loro successo è altrettanto determinato dallo spirito che aleggia in città, dal grado di comprensione dell’assetto inclusivo che caratterizza il festival e dal modo in cui è percepito dai turisti e
dagli spettatori. A questo si aggiunge il grado di partecipazione del pubblico agli eventi, buona parte dei quali costruiti proprio sull’interazione: pensiamo agli spettacoli itineranti di cui sopra, così come ai concerti gratuiti che si svolgono secondo il programma diurno e notturno, che è ormai uno dei miti del festival. Pensiamo poi – e ci sembra che negli ultimi anni sia divenuto ancora più evidente – alle centinaia di spettatori che assistono dalla gradinata ai concerti a pagamento dell’Arena Santa Giuliana: si ha l’impressione che rappresentino una buona fetta di quello che qualcuno chiama il popolo di UJ, che non intende perdersi neanche un concerto e che, spesso, si allunga sugli scampoli del prato adiacente, apparecchiando uno spazio il più confortevole possibile. Questo elemento pone, come è ovvio, la questione su un piano anche sociale: una questione di condivisione e partecipazione, determinata dall’evento UJ nel suo complesso. Se è vero che il fenomeno è osservabile negli spazi che lo permettono o che a questo si adattano (sia per morfologia che per atmosfera:
e quindi il centro storico e l’Arena), non possiamo sottovalutare quanto i concerti più jazz – quelli che si svolgono nella Sala Podiani e quelli del Teatro Morlacchi – siano ugualmente seguiti. E questo nonostante il cartellone preveda spettacoli non solo agli orari canonici, cioè serali, ma anche durante la mattina e a tarda sera. Questi due spazi rappresentano l’altra grande testa del corpo di Umbria Jazz. Qui si fa un jazz più riconoscibile: con forme non tradizionali ma aggregate attraverso elementi più canonici, pur dentro la tensione dell’avanguardia e della sperimentazione (molto presente il richiamo alla cultura hip hop e, in generale, afro). Basta citare alcuni degli artisti di questo cartellone, cominciando dal Morlacchi: Isaiah Collier, nominato dal Chicago Tribune “Best jazz artist 2024”, Sullivan Fortiner Trio, il batterista e compositore Johnathan Blake, Jazzmania Horn, Immanuel Wilkins e Ambrose Akinmusire. Ma anche Enrico Rava e Fred Hersch, Paolo Fresu e Omar Sosa, il trio Oscar Peterson Centennial, oppure (e qui entriamo in Sala Podiani) il pianista trentenne di origini franco-malgasce Mathis Picard, Dado Moroni, il quartetto della sassofonista cilena Melissa Aldana, il duo Danilo Rea e Luciano Biondini, Fabrizio Bosso e Julian Oliver Mazzariello, Enrico Pieranunzi – a cui è andato il premio della Fondazione Perugia “Ambasciatori dell’Umbria nel Mondo” -, il quintetto del contrabbassista Marco Bardoscia, il chitarrista Kurt Rosenwinkel con Gerard Clayton, Graig Taborn.
Daniele Cestellini
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