Dopo i due dischi dedicati al Belli, il successivo “Verso Bisanzio” e il “Live at Acme studio”, al cantautore romano Valerio Billeri non sembra mancare l’ispirazione.
Il nuovo lavoro, “Lo Fi “, è stato registrato in presa diretta su un vecchio multitraccia degli anni ‘90, senza nessun ritocco in fase di missaggio, più o meno come fece Bruce Springsteen con il capolavoro “Nebraska”. Però i protagonisti delle sue canzoni non sono i serial killer, gli operai e i poliziotti di un'America dimenticata, ma partendo dall’idea dell'esilio di Napoleone a Sant’Elena, il disco si sviluppa come una ricerca sulla solitudine, in cui l’esilio diventa mentale e spirituale, in contrapposizione al rumore odierno. Le sonorità sono scarne, desertiche, tra arpeggi e ritmiche incisive, sostenute da una tagliente Martin acustica, con l’incursione dell'armonica a bocca. In apertura la convincente e misteriosa “Bellerophon” (“Come il freddo sta all’inverno, tu ti muovi dentro a un sogno”), seguita dalla più solare “Blues dell'isola di Sant'Elena” (“Giri intorno al porto e cerchi chi ha le chiavi delle stelle, hai nascosto il tuo tesoro nella sabbia dove il cielo tocca le onde”). “Distese” (“Nella piazza d'armi la mia voce tremava, nel fango d’inverno il cannone rombava”) odora di blues rallentato con la citazione della poetessa Sara Teasdale. Più talkin’ è “Vetri rotti” (“Ho rotto i vetri per entrare, in questo buio a camminare, parlami dolce, fammi restare “). Si prosegue con l’intrigante “Temporale” (“È un re stanco, di bronzo lucente, nella sala vuota, la sua anima è in fiamme, mentre i gatti dormono e la pioggia cade, il re è solo nel temporale”) e l’affascinante “Un fante (Waterloo)” (“Le ombre rosse scesero dal colle, confondendosi al tramonto con la luce del sole, io mi nascosi in un fosso, tra il fango e la neve, fingendomi morto, il mio cuore da bere”), uno degli episodi migliori del disco. Interessante l’intreccio chitarristico in “Sfere” (“Guarda dal fiume, la nebbia avvolge, figura di donna nella bianca luce e le sfere lucenti ei misteri del mondo non sono nulla”); echi di Neil Young si colgono in “Luce d’agosto” (“Luce d'agosto, tagli il mio cuore, col ventre caldo di un dolce amore, partito al tempo di altre vite, dove il serpente stringe la vite”). In chiusura, troviamo “Coraggio ben mio”, un brano tradizionale in dialetto romano, composto probabilmente al tempo della prima coscrizione obbligatoria napoleonica intorno al 1800, ricamato questa volta da una chitarra classica e dalla sua voce profonda.
Un lavoro interessante, di puro folk dove Billeri trova la sua anima migliore, d'altronde Woody Guthrie diceva che: “Qualsiasi stupido può fare qualcosa di complicato, ma per puntare alla semplicità occorre un genio”.
Marco Sonaglia
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