#BF-CHOICE
Come nasce “Mediterranima”, la tua opera prima come solista?
In realtà è il mio secondo disco, perché nel 2015 ho pubblicato, sempre con Materiali Sonori, “In Search of Homerus” che raccoglieva una serie di brani che avevo realizzato per il teatro. “Mediterranima” è un progetto più ampio perché si articolerà anche in un libro. L’idea è quella di raccontare l'anima comune del Mediterraneo che, musicalmente, attraverso da tanti anni con Banda Ikona. Volevo dar vita ad un canto collettivo per il Mare Nostrum, alla ricerca di quello che ci unisce piuttosto di quello che ci divide: un tema questo che è stata un po' la mia costante. Il Mediterraneo, oggi, è diventato un luogo di divisioni, di
profondo dolore, di sofferenza e lo vediamo ogni giorno. Quello che sta avvenendo a Gaza è devastante, soprattutto a livello personale. Vedo l’impotenza in noi che abbiamo questa sensibilità, nell’Europa che non riesce più a avere una voce, negli Stati Uniti che con la presidenza Trump non prendono una posizione chiara. Sono drammatici i video in cui si vede Gaza completamente distrutta e abbandonata alla follia del governo israeliano che sta facendo più male alla causa ebraica di quanto non abbia fatto il terrorismo palestinese, considerando anche la tragedia del 7 ottobre. Questo disco è una risposta a tutta questa situazione molto negativa, attraverso il fascino della bellezza, della cultura, dell'integrazione, dello scambio.
Qual è la differenza principale con i dischi di Banda Ikona…
A differenze dei dischi precedenti con Banda Ikona, volevo che questo fosse più mio nella realizzazione, anche allargando un po' il raggio delle collaborazioni ad artisti con cui non avevo mai lavorato in studio, ma che stimo profondamente come Elena Ledda, Ginevra Di Marco, Eleonora Bordonaro e Fabia Salvucci e con le quali avevo condiviso già il palco. Chiaramente, ho voluto che ci fossero tutti i miei compagni di viaggio di Banda Ikona e alcuni musicisti straordinari come Antonello Salis e Rita Marcotulli con i quali avevo già fatto dei concerti e c’era stato un bello scambio di energie e sensazioni. È stato bello coinvolgerli, non per avere il loro nome sul disco perché non era quello l’obiettivo, ma piuttosto per valorizzare l’interscambio artistico. Gli elementi comuni sono certamente la lingua sabir che è quella che
unisce tutte le produzioni di Banda Ikona, ma anche in parte Cafè Lotì e le varie orchestre di cui sono stato direttore. C’è poi l’utilizzo dei miei strumenti, il modo di suonare il bouzouki e gli altri strumenti a corde. In questo nuovo album mi sono preso maggiore libertà compositiva, nel senso che ho allargato un po' lo spazio alla world e al jazz. Insomma, il raggio sonoro è più ampio di quello di Banda Ikona che, nel bene e nel male, un po' mi caratterizzava. Volevo uscire da quello schema, anche se poi c’è dentro. Insomma, c’è una certa continuità, ma anche una rottura rispetto al passato.
Durante l’edizione dello scorso anno di Napoli World, mi accennasti a questo progetto di disco solista, ho pensato subito che si sarebbe trattato di un lavoro minimale, quasi intimistico. Insomma, ti ho immaginato subito al lavoro in solitaria nel tuo Four Wind Studio. Invece ci troviamo di fronte ad un altro lavoro corale…
L’idea di questo canto corale per il Mediterraneo è venuta strada facendo. Quando ci siamo incontrati in occasione di Napoli World non avevo scritto nemmeno una nota, ma avevo già un’idea di come sarebbe stato. A dicembre dello scorso anno, sono entrato in studio e ho iniziato a scrivere. Hanno preso forma una ventina di brani, e l’idea era quella di fare un disco minimale con più elettronica, struttura questa che è rimasta nell’ultimo brano del disco “Al di là del cielo e della terra” e che potrebbe essere il primo brano di un nuovo progetto con chitarra, sonorità evocative e il canto a due voci. Certo avrei potuto sviluppare questi brani in maniera autonoma, suonano tutti gli strumenti, comprese le percussioni e l’elettronica, ma mentre componevo, è nata l’idea di coinvolgere degli ospiti. Sarebbe stato un disco minimale è vero, ma a me piaceva l’idea di allargare questo progetto a influenze, sollecitazioni e stimoli differenti.
Nei vari brani ti affiancano spesso delle voci femminili. Se volessimo dare un sottotitolo al disco potrebbe essere “il mediterraneo al femminile di Stefano Saletti”…
Mi affascinava l’idea che le voci di “Mediterranima” fossero femminili, perché l’anima del Mare Nostrum è donna e mentre scrivevo veniva fuori proprio questo. La donna è la forza creatrice, la Madre Terra, è lei che partorisce i bambini, li culla, li allatta e li rassicura quando imperversa la guerra, quando c’è un terremoto, quando hanno paura. È lei che piange i figli quando muoiono in battaglia. Per raccontare tutto questo servivano delle voci femminili e così è stato. Le loro voci hanno arricchito i brani di colori e timbri. È stato bello ascoltare Ginevra Di Marco e Elena Ledda cantare in sabir. C’è anche Lucilla Galeazzi che canta nel saltarello che è l’unico brano del disco non in sabir. Se volessimo trovare la radice di questo progetto è in uno spettacolo dal titolo “Mediterraneo è Donna” che abbiamo fatto in passato e che abbiamo proposto anche al Museo Nazionale degli Strumenti Musicali. Sono percorsi che ritornano
“Resistar” è un inno di lotta, di resistenza…
“Resistar” nasce intorno alla melodia di un brano tradizionale rumeno “Buciumeana” (“Danza del corno”), riportato alla luce dal grande Béla Bartók. Avevo lo spartito di questo tema e giocandoci un po’ mentre facevo esercizi, ha cominciato a prendere vita. Ho scritto la parte armonica, cambiato l’armonia usata da Bartók e l’ho velocizzata. Siccome mi ricordava un po’ come “El ejército del Ebro” che suoniamo con Banda Ikona e che abbiamo inciso in “Folkpolitik”, ho scritto il testo che racconta il tema della resistenza come restanza. È un tema forte tanto quanto quella della migrazione, perché chi resta si trova a difendere la propria terra. Questo è anche il filo conduttore del video e per cantarlo ho pensato che Ginevra Di Marco fosse la voce più adatta perché lei ha tanti anni di militanza alle spalle. Era la voce più giusta per cantare “Resistar” nella quale si rincorrono le parole “restare” e “amare”. Mentre il brano prendeva forma scorrevano in televisione le immagini di Gaza e da lì è nata la dedica a chi nell’area del Mediterraneo, resiste per difendere la propria terra e la propria libertà.
In “Marjan” incontri la voce di Elena Ledda…
Quando ho scritto il brano Marianne, sono partito dal tradizionale balcanico “Dodole” e studiando da dove proveniva ho scoperto che Dodole (o Dodola) è una figura e un rituale della tradizione popolare slava, legato al culto della pioggia e della fertilità. Si tratta di una pratica antica di origine pagana particolarmente diffusa nei Balcani, principalmente in Serbia, Croazia, Bulgaria e Macedonia del Nord. Analogamente alla figura della Dodola nei Balcani, anche in Sardegna sono presenti personificazioni della natura e spiriti legati alla fertilità, come la Dea Madre, simbolo della fertilità e della vita. Le statuette di questa figura, rinvenute in numerosi siti archeologici, rappresentano la terra quale fonte di nutrimento e abbondanza. Mi ha colpito il fatto che ci fosse un legame tra Balcani e Sardegna e, quindi, mi sono detto che la persona più adatto a cantarlo era Elena Ledda. L’ho chiamata e le ho detto che avevo scritto questo brano e le ho chiesto se voleva essere lei a cantarlo. Lo ha ascoltato, le è piaciuto e mi ha regalato questa splendida interpretazione. È sorprendente sentirla cantare in sabir e come riesce ad imprimere la propria visione, il proprio colore al brano.
Mi hanno colpito molto anche “O Pireas” e “Y suzar la noché” in cui a cantare è Yasemin Sannino, altra voce entrata in pianta stabile in Banda Ikona…
Quando ho cominciato a scrivere i brani di questo disco, andavo in studio con tutta la tavolozza di strumenti a disposizione e ho cominciato a confrontarmi con i musicisti e le cantanti con cui lavoro abitualmente Gabriella Aiello e Yasemin Sannino. Quest’ultima mi ha dato degli spunti interessanti e abbiamo unito due composizioni, una mia e una sua, che sono diventate “O Pireas”. La melodia iniziale è ispirata al brano tradizionale balcanico “Rhodopeion”. “Y suzar la noché”, il secondo brano, è tratto dai versi de “Le donne come me non sanno parlare” di Maram al-Masri, una poetessa siriana che ho conosciuto a Sarajevo. Questo testo tratto dalla raccolta “Ciliegia rossa su piastrelle bianche” parla di violenza sulle donne. È stato interessante lavorare alla composizione con Yasemin che mi ha dato l’input iniziale. Sono due brani molto belli ed intensi e certamente rappresenteranno una base per i futuri lavori che faremo con Banda Ikona o in altri progetti. Insomma, con Yasmine c'è una grande affinità anche perché lei è veramente un ponte culturale tra Oriente e Occidente, perché è Italo-Turca. Conosce i melismi, i quarti di tono della tradizione vocale ed espressiva turca, ma canta benissimo anche il sabir e l’italiano. Un esempio vivente di world music.
“Il filo infinito” è ispirata al romanzo omonimo di Paolo Rumiz…
Credo sia uno dei libri più belli di Rumiz che, per me, è stato fonte di ispirazione già dal primo disco di Banda Ikona “Stari Most”. Lui è un europeista convinto e dà un valore forte al concetto di Mediterraneo all'interno di Europa. Quando ho scritto la melodia del brano che ricorda una cantigas, ho pensato di scrivere un testo proprio ispirandomi al libro dello scrittore triestino, raccontando questo percorso che ha compiuto attraverso i principali monasteri d’Europa. L’interpretazione di Gabriella Aiello la trovo molto intensa perché la sua voce ha queste sfumature che affondano le radici nella tradizione medioevale come nella musica tradizionale. Il concerto di presentazione del disco all’Auditorium Parco della Musica di Roma lo abbiamo aperto proprio con questo brano perché rappresenta simbolicamente l'inizio di un viaggio che parte dal passato per arrivare a un futuro lontano. Questa idea mi è stata chiara non appena ho visto la tracklist, e ho pensato che fosse perfetta per dare avvio alla nostra performance. Una delle caratteristiche più affascinanti dei libri è proprio questa capacità di trasportare il lettore in un'altra dimensione. Durante la lettura del libro di Rumiz, si sviluppa un desiderio intenso di ritirarsi in luoghi pervasi da un profondo senso di spiritualità. Non sono una persona credente, ma quando incontro la spiritualità, metto in discussione le mie certezze materialistiche e riconosco la differenza tra spiritualità e religione. La religione spesso appare superficiale e basata sulle apparenze. Ad esempio, Papa Francesco ha riavvicinato molte persone alla spiritualità e ha fornito una visione forte del rapporto con la religione, indipendentemente dal credo. Tuttavia, questo è un discorso individuale. Mi piace la Chiesa che si avvicina agli ultimi, che sa accogliere e riconoscere i limiti del sistema capitalistico e del sistema tecnocratico che ci sta circondando. Le voci della Chiesa sono state tra le più potenti degli ultimi anni. Papa Francesco era l'unico che faceva opposizione a questa deriva di democratura fascistoide che vediamo dappertutto, dagli Stati Uniti all’Europa, per toccare la Turchia e l’Argentina, dove cose inimmaginabili diventano concetti che ormai passano come se niente fosse. La voce di Papa Francesco è stata una delle poche che si levava per chiedere la pace o il rispetto, anche se spesso è stata inascoltata, perché ovviamente non ha forze militari per imporre queste richieste. Non posso ancora esprimere un giudizio definitivo su Leone XIV, ma sembra avere uno spessore che va analizzato più approfonditamente. Papa Francesco, ad esempio, fece il suo primo viaggio a Lampedusa, un gesto significativo per la chiesa, che attribuisce grande valore ai gesti simbolici.
Questo saltarello ha una storia buffa. Ho iniziato a comporre la musica arpeggiando con la chitarra battente. I miei brani nascono principalmente da riff creati spontaneamente durante i momenti più impensabili della giornata. Quando questi riff mi colpiscono particolarmente, li registro e li conservo nella memoria o sul telefono. Poi, ascoltandoli nuovamente, se ritengo che abbiano del potenziale, inizio a svilupparli ulteriormente aggiungendo melodie. Questo è stato il caso di "Saltarello". Originariamente non era concepito come tale, ma partiva da un semplice arpeggio che trovavo molto gradevole. Ho deciso di svilupparlo ulteriormente inserendo un testo dialetto in sabino. In un libretto di canti sabini raccolti da Italia Ranaldi, ho trovato un canto delle raccoglitrici di olive che si adattava perfettamente alla metrica della mia melodia. Così, ho pensato subito che Lucilla fosse la voce ideale per interpretare questo brano, grazie alla sua straordinaria vocalità e alla sua presenza scenica. Le ho fatto ascoltare il brano a casa sua, perché abita poco distante da me nel quartiere Monteverde. Lei lo ha apprezzato subito e lo abbiamo registrato in studio. Sono molto soddisfatto del risultato finale, che rappresenta uno dei momenti più intensi dell'album.
Nel disco spiccano le partecipazioni Rita Marcotulli, Antonello Salis e Riccardo Tesi. Quanto è stato importante il loro contributo?
È stato importantissimo. Ho scritto ad Antonello Salis e gli ho detto che avevo alcuni brani da proporgli.
Inizialmente avevo pensato all’introduzione in un solo brano. Tuttavia, lui ha risposto dicendo: "No, se ci sono altri brani, vengo in studio". Poiché abita non lontano da casa mia, ha deciso di venire direttamente in studio. Gli ho chiesto se dovevo inviargli i brani in anticipo, ma lui ha preferito venire e registrare alla cieca. Ha affrontato temi complessi, come quello di "Resistar" e "Mujalasa", che richiedevano un'esecuzione precisa. È arrivato, ha ascoltato i brani e abbiamo registrato due riprese per ciascuno. Tuttavia, la seconda ripresa si è rivelata quasi superflua, poiché la prima era già perfetta. È quello che si sente, registrato di getto. Lì c'è il genio, non c’è altro da dire. Se avessimo registrato tutto l'album improvvisato ci sarebbero stati nove interventi capolavoro. Su temi altri musicisti devono studiare, lui riesce ad entrarci e a trasformarli. Con Rita Marcotulli, invece, abbiamo lavorato a distanza perché ha registrato il pianoforte nel suo studio in Umbria. Le ho mandato i brani e le ho scritto le parti, ma ha interpretato liberamente alcune cose. Alcune le ha eseguite da spartito, altre le ha arrangiate lei. Rita mi ha detto di usare quello che ritenevo migliore e su “O Pireas” ha realizzato un'assolo di piano in 7/8, una delle cose più belle che abbia mai avuto nei miei dischi. Inoltre, su “Y suzar la noché”, il suo pianoforte spicca nell’introduzione. Anche il contributo di Riccardo Tesi è stato eccellente. L'ho scelto perché è un cesellatore di note. L'approccio di Riccardo può essere considerato l'opposto di quello di Salis. Se quest’ultimo si basa sull'improvvisazione e la composizione in tempo reale, Riccardo è un eccellente arrangiatore che riflette su ogni nota per trovare la soluzione più adatta. Nei brani come "Mediterranima" e " Marjan ", Riccardo aggiunge splendidi contrappunti alla voce, arricchendo ulteriormente le canzoni.
Con Eleonora Bordonaro, non avevo mai collaborato prima, ci siamo incontrati al Womex a Manchester e ci siamo trovati bene insieme, partecipando anche ad una jam session. Quando ho scritto "Mediterranima", una sorta di ninna nanna del dolore, narrata da una madre che culla la bambina davanti alle macerie, ho coinvolto Eleonora per la sua forte presenza scenica. Il testo all'inizio è recitato da Marwua, una rifugiata libica.
Avete presentato “Mediterranima” all’Auditorium Parco della Musica. Com’è andata la prima?
Molto bene, c’erano quattro delle voci presenti nel disco Gabriella Aiello, Yasemin Sannino, Fabia Salvucci ed Eleonora Bordonaro, a cui si è aggiunta Barbara Eramo che, attualmente è in pausa con Banda Ikona, ma ci teneva ad essere presente per la celebrazione dei vent'anni di attività della banda. Nella parte finale del concerto è intervenuta anche lei, quindi il gruppo era composto da cinque voci, insieme all'ensemble. Il gruppo era formato dai membri presenti nel disco con la banda icona: Arnaldo Vacca alle percussioni, Giovanni Lo Cascio ed Eugenio al salzuki (uno strumento simile al bouzouki accordato aperto che si suona con delle bacchette), chitarra elettrica, chitarra classica e bouzouki. Gabriele Coen ai fiati, Pejman Tadayon al ney, al daf e al kemenche, Mario Rivera al contrabbasso e basso acustico. Nonostante coincidesse con l’elezione del Papa e altri eventi internazionali, la Sala Borgna ha registrato il tutto esaurito. Il concerto è stato un successo e porteremo il disco in tour a Lecce, Pontedera, Sicilia e altre località italiane con una formazione modulare adattabile agli spazi e alle situazioni.
Salvatore Esposito
Stefano Saletti – Mediterranima (Materiali Sonori, 2025)
Se un paradigma c’è in questo splendido album che Stefano Saletti ha realizzato a suo nome è l’inclusione. Non tanto da intendere nell’accezione - per quanto mai retorica - dell’apertura ai linguaggi e agli sguardi diversi, quanto in quella di una visione d’insieme che riconosce il valore primario del dialogo. Un valore che non ha a che vedere soltanto con la matrice interculturale di una musica di ispirazione popolare, rintracciata in un bacino in cui l’incontro è un dato storico, ma che si riflette nelle circostanze reali che denotano dinamiche culturali insopprimibili, sia sul piano politico che sociale. Non sarà un caso che proprio Saletti - sempre impegnato ad attraversare e studiare quello spazio - intravveda nel Mediterraneo una sorta di figura mitologica, da scandagliare in lungo e in largo in tutte le sue declinazioni e contraddizioni. Da verificare nei suoi significati più strutturali, con l’obbiettivo di capirne la linfa, di tradurne la lingua. E non sarà un caso che la struttura mitologica di questo personaggio-spazio rifletta, in un certo senso, la complessità della vita umana, tanto sul piano storico che contemporaneo. Una complessità che va certo analizzata e decompressa, ma che, allo stesso tempo, va forse incorporata, trafitta, aperta, per assimilarne spirito e forza. Chi conosce Saletti e la sua musica sa che il suo è un approccio partecipato, dal quale estrapola il nervo dei movimenti, che stringe sui temi profondi e cerca la spina da tirare fuori. La canzone - nel tempo del suo svolgimento e nel riflesso del suo risuonare - ha anche questo compito: toglie le spine o, forse è più corretto, indica dove sono trafitte, in modo che qualche esperto possa intervenire, o che cresca almeno la consapevolezza che se c’è un dolore c’è anche una causa. La canzone, sempre mistica e mista a mille richiami, denota, difende, attacca, tratteggia, spezza, disarma l’entità che narra e che, in fin dei conti, la narra – o che fa sì che la si narri. La lingua che la esprime – lingua che nel Mediterraneo arriva davvero al mitologico compendio che Saletti e la sua Banda Ikona hanno diffuso in tanti anni di attività – è il segno della sua complessità strutturale, così come della compressione che rende informi e sbalorditivi gli eventi che narra. Ma è anche la figura visibile, la forma comprensibile in cui, in un modo o nell’altro, ci si sente costretti a fermarsi, ascoltando e guardando l’esito di un lungo processo. L’album “Mediterranima”, ampiamente commentato nell’intervista che precede queste note, assume, quindi, proprio questo significato di informazione, di chiarimento sul perché il bacino del nostro mare è così ricco culturalmente e così divergente politicamente. Perché lo spazio-mito mediterraneo è profondo, classico, epico nei riferimenti storici e debole, approssimativo e alla deriva in tante manifestazioni di violenza che vediamo tutti i giorni? Perché il mito mediterraneo non significa più nella dimensione contemporanea della società che abita il bacino – non significa almeno a tutti e non alla politica. Allora la centralità che assume in un album come questo – che in nessun passo manca di veridicità e coerenza – è ancora più significativa e con forza va rappresentata (se non contrapposta) alle politiche e alle relazioni internazionali contemporanee. Perché suona come necessario. Perché il necessario, il bisogno di parlare e cantare, assume qui la forma (naturale, ci dice Saletti, perché insita nelle relazioni tra cantanti e terre, tra canzoni e storie, tra strumenti e immaginari) di un discorso dritto e incessante. Perché a cantare è il bacino stesso: uno spazio sempre nuovo e sempre vecchio. Per questo l’inclusione che l’album porta a paradigma – come dicevamo all’inizio – verifica uno stato necessario di nuove possibilità, la cui realizzazione, come ci dimostrano i tanti musicisti coinvolti, è tutta nelle nostre mani.
Daniele Cestellini
Foto di Claudio Lavorino (1), Roberto Moretti (2, 3)
Un bellissimo lavoro sia dal punto di vista musicale che "politico" . Un appello al dialogo e alla pace attraverso un approccio corale in grande stile!
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