Susanna Buffa | Igor Legari – Quando l’Anarchia verrà. 11 canti d’amore e libertà (Kurumuny, 2024)

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Ci sono molte buone ragioni per non lasciar passare inosservato “Quando l’Anarchia Verrà”, progetto di ricerca e discografico di Susanna Buffa e Igor Legari, lanciato nel 2025, sebbene pubblicato ufficialmente alla fine dello scorso anno. A partire dallo splendido artwork: undici cartoline illustrate da Alberto Giammaruco – una per ciascuna canzone – ispirate all’illustrazione e alla satira politica dell’Italia tra fine Ottocento e inizio Novecento. Pubblicato dall’editore salentino Kurumuny, il lavoro è accompagnato da una prefazione di Alessandro Portelli, che rappresenta un ulteriore valore aggiunto per una proposta musicale che concepisce la musica come strumento di emancipazione e cambiamento. L’album è disponibile in formato MP3 (con QR code incluso nella confezione), su CD e sulle principali piattaforme di streaming. Undici canti anarchici rielaborati da Susanna Buffa (voce, chitarra, autoharp e melodica) e Igor Legari (contrabbasso e voce) compongono questo florilegio musicale. Proprio i due protagonisti rendono il progetto unico: musicisti e ricercatori con background differenti, ma accomunati da una forte credibilità artistica e intellettuale. Buffa, raffinata interprete del canzoniere popolare e folk, è anche una didatta animata da una profonda tensione sociale e politica; Legari, contrabbassista, compositore e docente, si muove tra jazz e musiche di improvvisazione contemporanea con un ampio orizzonte creativo. Con questa rilettura di canti anarchici del XIX e XX secolo – un repertorio che intreccia storie di lotta, speranza e libertà – i due artisti invitano a riflettere sul significato delle battaglie del passato e sull’importanza di continuare a sognare un mondo diverso, a immaginare l’utopia. Susanna
Buffa e Igor Legari ci accompagnano in un percorso alla scoperta del senso e delle intenzioni che 
animano questa raccolta profondamente sincera, carica di intensità artistica e umana. 

Che origini ha questo progetto?
Igor Legari - Abbiamo iniziato a lavorarci nel 2019. Tutto è partito da un coro popolare di canti politici (Gli “Arditi del Coro”) messo su da alcuni compagni salentini e al quale cercavo di partecipare ogni volta che mi ritrovavo nel Salento, sia come contrabbassista, sia come corista. Di quel repertorio mi colpirono soprattutto i canti di matrice libertaria, forse per vicinanza ideale o forse per la loro sconvolgente attualità e la loro purezza commovente. Così proposi a Susanna di andare a cercare altri canti simili e di provare a suonarli insieme.

Come avete ricercato questi materiali: dischi, libri? Che tipo di ricerche sono state fatte sul canto anarchico in Italia?
Susanna Buffa – Inizialmente, come sempre, sono stata colpita dagli aspetti musicali, melodici di questo repertorio che comprensibilmente è conosciuto soprattutto per i suoi contenuti testuali. Abbiamo incrociato notizie reperite da testi o da fonti in rete e ascolti di album e raccolte realizzati da tanti artisti nel corso dei decenni. Abbiamo approfondito lo studio delle vite e delle imprese degli autori più noti – come Pietro Gori – e ci siamo avvicinati anche ai canti composti da autori anonimi o sconosciuti. Non tutto quello che abbiamo ascoltato e suonato è poi confluito nell’album, ma certo tutto ha alimentato la nostra curiosità e la nostra conoscenza. Penso ad esempio a “Storia del 107”, raccolta da Caterina Bueno: una lettera di un carcerato a suo padre che non può non far pensare agli scritti che Bartolomeo Vanzetti inviava al padre da Charlestown, prima della sua esecuzione. Ci sono stati anche testi importanti, come quelli dello stesso Pietro Gori, di Errico Malatesta, accanto a dispense che in piccole comunità della provincia italiana sono state realizzate da discendenti di anarchici o da compaesani, in cui si riportano carteggi e testimonianze della vita in clandestinità. In particolare ne ricordo uno di Edoardo 
Puglielli sulla vita degli anarchici abruzzesi durante la prima guerra mondiale.

Sono materiali eterogenei sul piano musicale e poetico…
Igor Legari – Sì, i temi consueti del pensiero libertario vengono presentati in modi e con registri diversi. Si passa dall’ironia tipica toscana di un canto di matrice sindacalista come “La leggera”, alla fiera rivendicazione dell’azione anarchica dell’“Inno individualista”, alla tenerezza di quell’ode alla libertà che è “Amore ribelle”. Il canto anarchico ha secondo me una varietà di sfumature e una ricchezza di stili che non si riscontra nei canti politici di altre tradizioni, talvolta irrigiditi da dogmi ideologici e andamenti marziali. Insomma, si può dire quel che si vuole degli anarchici, ma non c’è dubbio che abbiano i canti più belli di tutti!

Le relazioni tra colto e popolare sono evidenti in questo repertorio canoro…
Igor Legari – Alcuni dei canti sono di tradizione orale o hanno un autore anonimo, come “Ero povero ma disertore”, altri sono brani d’autore come il canto dedicato da Pietro Gori a Sante Caserio o l’inno antimilitarista e antifascista “Dove vola l’avvoltoio?”, il cui testo è firmato niente meno che da Italo Calvino.
Susanna Buffa – La conoscenza del repertorio de I Cantacronache ci ha indubbiamente influenzati e ha evidenziato questa relazione stretta che c’è tra la musica di tradizione orale e quella d’autore. In questo senso, penso che il canto anarchico in generale sia stato un’operazione di sintesi culturale perfetta. Molti brani sono poi adattamenti musicali di melodie già note: canti narrativi, canzonette, arie operistiche per cui, come avviene di frequente nella musica popolare, sono stati scritti nuovi testi. Un modo efficace per diffondere rapidamente contenuti e messaggi politici, per informare il popolo.

Un progetto editoriale che va oltre la musica…
Igor Legari – Esatto, “Quando l’Anarchia verrà” si presenta come un cofanetto di cartoline illustrate da 
Alberto Giammaruco e ispirate alla satira politica otto/novecentesca e allo stile dell’illustratore Giuseppe Scalarini. Sul retro di ogni cartolina ci sono un QR code per ascoltare il brano e una descrizione delle origini del canto in questione. Ovviamente è disponibile anche una versione con CD incluso, per chi è ancora legato al supporto fisico. Nel cofanetto è incluso un libretto con tutti i testi. Di recente abbiamo avuto notizia di cori amatoriali che stanno usando il nostro lavoro come riferimento e persino di una scuola materna a Pittsburgh, in Pennsylvania, dove è stato adottato per insegnare canti ai bambini, molti dei quali sono discendenti di immigrati italiani.
Susanna Buffa – L’entusiasmo con cui l’editore Kurumuny ha accolto la nostra proposta ci ha incoraggiato a realizzare una magnifica idea di Igor: quella di illustrare il repertorio. Alberto Giammaruco ha poi pensato di illustrare singolarmente ciascun canto facendo un lavoro entusiasmante: è stato un incontro davvero fortunato che ha contribuito alla buona accoglienza che l’album ha avuto. Questa nostra epoca richiede che si affrontino temi forti come quelli contenuti nel canto anarchico, da sempre protagonista nella lotta per i diritti civili e per la libertà.

Come avete costruito la tracklist rispetto alla tipologia di canti? C’è un fil rouge?
Igor Legari – Abbiamo compilato la tracklist un po’ come se fosse la scaletta di uno spettacolo dal vivo e spesso la sequenza è la stessa, anche se dal vivo integriamo con altri brani non presenti nell’album. Lo spettacolo ha una connotazione quasi teatrale: prima di eseguire un canto, Susanna ne ricostruisce la storia, invitando gli ascoltatori a coglierne le sottigliezze letterarie e i riferimenti a personaggi ed eventi storici.
Susanna Buffa – Siamo stati anche guidati dalla musica, da questa alternanza di stili e di voci. Di fatto la scaletta è nata così: non segue un ordine cronologico, non separa la musica di pubblico dominio da quella d’autore. Abbiamo sempre rispettato l’essenza di questi canti ma con la possibilità, che sempre la musica 
popolare ci dà, di intervenire adattando il brano al contesto sociale e storico o tenendo conto di esigenze sonore. Il lavoro sul suono è sempre determinante per entrambi.

Queste canzoni sono spesso “furori di persone cariche d’amore”, coglie Alessandro Portelli con magistrale sintesi nella sua prefazione al vostro lavoro. Voi avete deciso di interpretarle con sobrietà e leggerezza. È il vostro stile oppure una scelta estetica?
Igor Legari – Un po’ l’una, un po’ l’altra. Io e Susanna siamo persone dal temperamento mite, ma le idee che ci animano e la rabbia contro le mille ingiustizie di cui siamo testimoni come tutti in questi tempi bui ci bruciano in petto. Lo stile disincantato è parte della nostra natura così come lo è sempre stato degli anarchici, i quali non amano certo fare le prediche a nessuno anche quando sanno di avere ragione. E gli anarchici, lo diceva anche Sandro Pertini, purtroppo hanno spesso ragione.

La scelta degli arrangiamenti che sono sobri, essenziali?
Igor Legari – Anche qui si tratta di stile personale e al contempo di rispetto per questi canti. Abbiamo scelto di fare degli arrangiamenti quasi minimali per non “soffocare” la profondità e la purezza dei temi trattati. Avremmo potuto riarmonizzarli, aggiungere strumenti e strati sonori, ma ci siamo detti: perché? Sono potenti così come sono, non serve infiocchettarli con arrangiamenti complessi.
Susanna Buffa – L’album è stato registrato live in studio, pressoché senza sovraincisioni; ci sono al massimo due strumenti in campo e una voce: è l’essenzialità della musica popolare. Poi il talento di Igor, il suo gusto sonoro, la sua duttilità e le sue doti improvvisative ci hanno permesso di lavorare senza immaginare dei limiti stilistici ma, infine, ci presentiamo sempre con un suono scarno e ci piace. Questo è un album di musica popolare, ma la musica non è imbrigliata in alcun genere.

E i testi? Sono integrali?
Susanna Buffa –
Se è vero che in qualche caso abbiamo messo della musica dove non c’era (l’intro di “Dove vola l’avvoltoio?”, ad esempio), è altrettanto vero che qualche canto è stato alleggerito di pochi versi, a vantaggio di una maggiore qualità performativa – come avviene con i lunghissimi canti lirici monostrofici della tradizione popolare, che col tempo perdono delle strofe arrivando a conservare solo l’essenziale necessario a comprendere la storia.
Igor Legari – In nessun caso si è trattato di autocensura: le posizioni espresse in questi canti sono ferme e senza compromessi e noi non ci tiriamo certo indietro quando si tratta di cantare versi come “e a chi non soccombe, si schiudan le tombe, si appresti le bombe, si affili il pugnal: è l’azion l’Ideal!”

Uno dei testi più significativi è l’ “Inno dei malfattori”: di che si tratta?
Igor Legari – Per me è il canto con il testo più attuale di tutti, profetico, quasi visionario. Nelle sue strofe si parla di rifiuto dei dogmi religiosi (“chi sparge l’impostura avvolto in nera veste…”), di ecologismo (“Natura comun Madre…”), persino di libero amore (“Amor ritiene uniti gli affetti naturali…”). Il tutto in un canto del 1892!
Susanna Buffa – Il testo è stato scritto in piena epoca imperialista, sull'onda dello sdegno generato dalle politiche oppressive e colonialiste della vecchia Europa, che avevano come unico intento quello di realizzare il capitalismo sulla pelle degli altri, dei Paesi del sud del mondo. “Divise hanno con frodi città, popoli e terre/Da ciò gli ingiusti odi che generan le guerre”

Sono canti “vecchi” ma parlano ancora nell’oggi?
Igor Legari – Non solo parlano dell’oggi ma vedono già il domani. Ne temono le catastrofi perché sanno cosa le genera (i nazionalismi, la cupidigia del capitale, l’oscurantismo), ma al contempo continuano a sognare Utopie (“Un giorno nel mondo finita fu l’ultima guerra “).
Susanna Buffa – Penso anche che, attraverso questi stessi canti, in molti abbiano compreso qualcosa in più 
del pensiero anarchico: la profondità di certe riflessioni, la necessità di porsi delle domande, di non subire gli effetti di decisioni prese da una manciata di esseri umani ma che hanno un impatto diretto e violentissimo sulle vite di tutti. Vediamo cosa sta accadendo negli stati più potenti del mondo, dove il potere è concentrato nelle mani di pochi, e non possiamo fare a meno di pensare che questo preciso scenario era stato descritto come temibile già centocinquant’anni fa da intellettuali anarchici che per questo sono stati espulsi, confinati, perseguitati. 

“Amore ribelle” di Pietri Gori è un altro dei vertici del lavoro. Che canto è? 
Igor Legari – È il canto più tenero e commovente, il mio preferito. Fu scritto da Pietro Gori, figura chiave dell’anarchismo italiano e mondiale, il quale agli amorini borghesi che la sua famiglia gli proponeva preferiva di gran lunga l’amore ben più grande per l’Idea più bella che ci sia: l’idea della libertà nell’uguaglianza, l’idea dell’Anarchia.

Come mai avete inserito “Dove vola l’avvoltoio?” di Calvino e Liberovici dal repertorio dei CantaCronache, datata 1958?
Susanna Buffa – Per rimarcare la posizione antimilitarista espressa dal pensiero anarchico. Si tratta di una delle più belle canzoni contro la guerra, oltretutto firmata da due grandissimi autori e intellettuali del Novecento, e crediamo debba essere diffusa, conosciuta, cantata il più possibile: le sue allegorie sono 
potentissime e oggi più che mai sentiamo volteggiare sopra le nostre teste l’avvoltoio della guerra. Nella popular music abbiamo avuto mille esempi di no-war songs di successo planetario. Penso a “Rooster” di Alice in Chains, a “War Pigs” dei Black Sabbath, a “Masters of War” di Dylan: anche “Dove vola l’avvoltoio?” meriterebbe di essere ascoltata da tutti.
Igor Legari – È un canto importante e meraviglioso e, sebbene sia sempre il momento giusto per intonare canti contro guerre, eserciti e patrie per cui morire inutilmente, questo momento storico che stiamo attraversando lo è ancora di più.

Ancora più recente “Il Galeone” (1967) da una poesia di Belgrado Pedrini. Ci parlate di questa composizione?
Susanna Buffa – Nelle occasioni in cui ho avuto di condividere questo canto presso le scuole, il linguaggio così ermetico e ricercato ha sempre colpito molto i ragazzi, portandoli a pensare che si trattasse di un testo molto antico – mentre è probabilmente il più recente dei canti anarchici. Ma anche qui l’approccio allegorico, come per Italo Calvino, è il mezzo per indurre alla riflessione sulla contemporaneità e alla ribellione all’oppressione. Paola Nicolazzi, una cantautrice anarchica, adattò il poema “Schiavi” di Pedrini alla melodia di un canto popolare molto noto soprattutto nel Lazio, “Se tu ti fai monaca”.
Igor Legari – Sebbene sia il canto più recente tra quelli inclusi nel disco, è anche quello con il linguaggio più aulico e austero. Pedrini scrisse il poema mentre era detenuto nel carcere di Fossombrone. Della
metafora della nave galera a cui gli oppressi sono incatenati, a me piace in particolare l’idea luddista di un sabotaggio di quella galera. Se il mondo non si può più aggiustare, tanto meglio disfarlo e provare a rifarlo daccapo in modo del tutto diverso.

Immancabile il canto dedicato a Sante Caserio, di cui inserite anche una versione registrata da Valentino Paparelli…
Susanna Buffa – Resto sempre colpita da come queste storie si siano spostate e abbiano viaggiato nel tempo e nello spazio, fino a raggiungere la provincia più estrema, le più piccole frazioni delle aree interne appenniniche. Il frammento per sola voce che precede la più nota “A Sante Caserio” è stato registrato da Paparelli nel 1980 in Valnerina ternana; il racconto si ferma al momento in cui Caserio viene chiamato per essere giustiziato e chiede che venga recapitata una sua ultima lettera alla madre, come per la citata storia del detenuto 107 e per quella di Vanzetti, che scrivono ai loro padri. Ed è stupefacente la ricorrenza: chi combatte per un ideale di giustizia e a causa di questo sta per perdere la vita, rivolge un ultimo pensiero alla famiglia senza rinnegare l’ideale per cui ha lottato.
Igor Legari – La versione cantata a cappella da Susanna mi fa venire i brividi ogni volta. Nelle strofe popolari e in quelle di Pietro Gori si sente l’affetto struggente per un ragazzo che voleva vendicare il massacro di tanti innocenti e che per quel gesto ha pagato con la vita, donando al mondo i suoi vent’anni.

Come si canta nella canzone del Pinelli: “Anarchia non vuole dire mettere le bombe…”
Igor Legari – Qui il discorso sarebbe molto lungo e forse questo non è neanche il luogo più adatto. Certo, “Anarchia non vuol dire bombe”. Ma “giustizia nella libertà”, continua la canzone. E questo è il pregiudizio più antico e duro a morire che si associa all’idea libertaria. Anarchia con la “A” maiuscola non significa caos e violenza. Semmai è vero il contrario, gli anarchici hanno sempre immaginato (ognuno a 
modo suo) un modo diverso di convivere. La mancanza di un’utopia “ufficiale” dell’anarchismo, da un lato ha forse limitato il consenso nei confronti di quell’idea (ma a quale anarchico importerebbe mai di raccogliere consensi?), dall’altro però ha generato molteplici tentativi, tanto gloriosi quanto talvolta fallimentari, di costruire una società senza oppressi e senza oppressori. E ha liberato anche la fantasia di tanti musicisti, artisti e scrittori. Pensiamo solo alla grande scrittrice Ursula K. Le Guin che nel suo “I reietti dell’altro pianeta” immagina una società anarchica sul pianeta Anarres!

A che servono questi canti nel 2025?
Susanna Buffa – La musica continua a essere, almeno per noi, il mezzo di elezione per esprimere vicinanza a chi soffre, per condividere gioia con chi ci è accanto, per favorire gli incontri e la lotta per i diritti umani. Se in ogni civiltà la musica ha sempre accompagnato il lavoro, la festa, il rito, la lotta, ancor più oggi è importante che il canto anarchico sopravviva e si diffonda. 
Igor Legari – La musica secondo me non ha alcun obbligo di servire a qualcosa o a qualcuno. Forse serve a farci coraggio, a ricordarci che chi lotta per la giustizia non può arrendersi mai. A stare vicini e ad attraversare insieme questa notte buia che temiamo durerà ancora molto.


Ciro De Rosa

Susanna Buffa | Igor Legari – Quando l’Anarchia verrà. 11 canti d’amore e libertà (Kurumuny, 2024)
Come si può dedurre dalla dettagliata intervista che precede queste note, “Quando l’Anarchia verrà” è molte cose. E, fin dalla sua ideazione – sebbene, come spesso capita, sia stata graduale e abbia incluso progressivamente stimoli ed elementi nuovi – si è, probabilmente, rivelato come un contenitore inclusivo e aperto, sebbene orientato da una ragionevole selezione. Diremmo, a questo punto, che la sua conformazione riflette la migliore tradizione artistica e, allo stesso tempo, “popolare”. Artistica perché i due autori – Susanna Buffa (voce, chitarra, melodica, autoharp) e Igor Legari (contrabbasso e voce) – elaborano una verità artistica, cresciuta cioè nelle loro mani e dentro lo studio di un repertorio tanto ampio quanto complesso, eterogeneo, frammentato (la copertina dell’album riporta anche la specificazione “11 canti di amore e libertà”). Popolare perché i canti anarchici, libertari, sono dentro la tradizione espressiva di una cultura non solo (come abbiamo visto) protestante, oppositiva a tutti i costi (inutile, a questo punto, indugiare ulteriormente sulle connessioni acritiche e astoriche tra anarchia e violenza), ma anche estremamente duttile, che si adatta al bisogno, smussandosi e smussando le sovrabbondanze, gli elementi fuori contesto. A questo punto il quadro ci appare sufficientemente definito, e ci permette di cogliere, al suo interno, il grande lavoro di ricomposizione che i due musicisti hanno improntato. È bene sottolinearlo – cercheremo di fare altrettanto con gli altri elementi cardine che questo spazio ci consente di trattare – perché lavorare su un repertorio così acceso (nel senso di scottante ma anche di dinamico, in movimento) pone questioni di carattere pratico non da poco, che in parte sono accennate nell’intervista: quali brani scegliamo e in quale versione? Fino a che punto possiamo/vogliamo intervenire nell’azione di riproposta/appropriazione/diffusione? come suoniamo e come cantiamo? a quale versione ci affidiamo per ripercorrere l’animo del canto o il filo della storia? Insomma, quale tratto della loro forma, documentale ed espressiva, ci interessa trattenere o rimodulare e quale profilo vogliamo tracciare della tradizione espressiva e, giocoforza, del contesto storico-culturale a cui si riferiscono e dal quale prendono forma? Come vediamo, dal problema pratico si passa velocemente a quello intellettuale. E da questo a quello politico e storico il passo è brevissimo. Inoltre – e questo vale per ogni album composto su brani appartenenti a una cultura espressiva autonoma e tradizionalizzata – il campo non è del tutto libero da procedimenti precedenti di riproposizione, così come da riflessioni che hanno incollato l’oralità alla scrittura, intersecando per sempre il percorso popolare del canto con quello della composizione autoriale. Ne sono un esempio le presenze di Sergio Liberovici (e con lui del flusso intermedio che ha gestito l’azione del Cantacronache – per sua conformazione sospeso proprio lì, nella mezzaria degli intellettuali che lavorano sui repertori di tradizione orale) e, in modo forse più appariscente, di Italo Calvino. I quali si incontrano – uno attraverso le musiche e l’altro attraverso il testo – dentro il vortice di “Dove vola l’avvoltoio?”, brano che, manco a dirlo, prende poi la sua strada, rigonfia di complessità e irregolarità. Ne sono però un esempio – sebbene su un livello differente – anche gli artisti che vengono tirati in ballo dai due autori nell’intervista (Bon Dylan, i Black Sabbath e gli Alice in Chains), che comprovano una dimensione trasversale di questa posizione anti-guerra e che definiscono, nel loro insieme e attraverso le distanze formali delle loro composizioni, il profilo non di un genere musicale – ne siamo ben distanti – ma di una narrativa politico-musicale necessaria e durevole. Alla stregua di questi “casi” connettivi si pongono anche i significati che i canti raccolti in questo splendido album – eseguito in modo incantevole nella sua cornice essenziale ma pregna di melodia – assumono nel contesto politico contemporaneo. Allora il significato politico di “Quando l’Anarchia verrà” è pienamente concreto. Quanto quello artistico (i nostri artisti rimarcano il valore indissolubile di queste due prospettive, appaiando musica e civiltà, musica e diritti, musica e incontro). Certo, il momento lo richiede, soprattutto in ragione di un andamento destoricizzante, di un assetto troppo contemporaneista, che relega a retorica parole, azioni, movimenti e (perché no?) tradizioni. Quelle musiche lì sono il segno di una coscienza che, come tale, non può essere solo storica, cioè passata, di un immaginario che si sottrarrebbe alla contemporaneità e alla politica se relegato alle opposizioni polari di un contesto passato o di un intrattenimento “impegnato”. 


Daniele Cestellini

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