A ccu apparteni? (A chi appartieni?) è la domanda che si rivolge alle persone forestiere nel sud d’Italia per sottolineare che una persona viene individuata anche attraverso riferimenti alla sua tribù, alle sue tradizioni, alla sua lingua. L’album dal titolo omonimo, uscito alla fine del 2024, è dedicato, dunque, dalla sua autrice Roberta Gulisano, siciliana di residenza britannica, alle persone sradicate, alla loro solitudine, ma anche a chi resta, in un perenne rapporto di amore-odio per la terra d’origine.
Roberta Gulisano inizia nella musica e nella danza folk, poi unendosi alla Compagnia Triskele. Per due volte è stata premiata al concorso per cantautrici Bianca D’Aponte, per il miglior testo (edizioni 2010 e 2012). Il suo primo album “Destini Coatti”, è stato selezionato per il Premio Tenco nel 2012 nella sezione Opera Prima mentre con il successivo album “Piena di(s)grazia”, prodotto da Cesare Basile, è entrata nella rosa dei finalisti delle Targhe Tenco nel 2016. Con Cesare Basile ha collaborato anche al suo “U fujutu su nesci cchi ffa?” del 2017, con cui è avvenuta la riscoperta dell’autore catanese per le radici siciliane e gli incroci con il folk americano e il blues africano.
Disco breve, essenziale e raffinato in sette tracce, “A ccu apparteni” è basato su brani originali e riarrangiamenti di tradizionali ed è scandito dai ritmi e dalla profondità dei tamburi a cornice e dal suono ipnotico, psichedelico del marranzano. Si parte con l’incedere solenne e misterioso del brano “A’ surfarara”, traccia della tradizione dei minatori delle solfare raccolta da Alan Lomax e Diego Carpitella nel 1950, segnata dalle sonorità ipnotiche di marranzano e percussioni e da un canto ieratico sottolineato da inquietanti effetti elettronici. La successiva traccia, “TravagghiaTuri” è composta dalla Gulisano che la interpreta con voce narrante e poi cantante. Il brano utilizza le sonorità di un vecchio macinacaffè, una zampogna vibra su un tappeto ritmico scandito dal ngoni (il cordofono subsahariano) e arricchito da tamburi a cornice e marranzano. Nello straniante “Muscià” (che in dialetto antico vuol dire “Grazie”), scritto dalla Gulisano, troviamo i suoni onomatopeici delle chiacchiere tra donne, sottolineati da effetti elettronici, tamburi a cornice, dissonanze ai flauti. Il suono dell’organo dà alla canzone “Amuri ca ppi ttia” un’atmosfera nostalgica il cui testo si basa su ottave raccolte da Giuseppe Pitrè nella zona di Enna nel 1880 messe in musica dalla Gulisano, mentre il mandolino accompagna il canto nel finale. La title-track composta dalla Gulisano, è suonata da Cesare Basile alla chitarra e synth, Giorgio Maltese al mandolino, flauto di canna e tamburi a cornice. Qui si canta che non sono importanti il nome o la provenienza. Il brano di Franco Battiato “U cuntu”, riarrangiato dalla cantautrice che ha anche inserito versi aggiuntivi, si apre con un canto quasi “sacro”, vede un intermezzo che spezza la tensione e dona respiro eseguito alla zampogna ed un finale evocativo e misterioso che si scioglie nel flauto di canna. Il mondo sta perdendo il senno e si avvia verso la fine, affermano i versi del grande Battiato. Chiude il lavoro “A’ liunfurtisa” che utilizza la musica e i versi dei tradizionali stornelli, a cui la Gulisano ha aggiunto altre rime, scandito dal mandolino.
Hanno contribuito all’album, oltre a Roberta Gulisano che ne è l’autrice e ha cantato, suonato tamburi a cornice, tastiere e castagnette, Cesare Basile che ne anche è il produttore e ha suonato chitarre, baklamas, ngoni, percussioni ed effetti elettronici, e Giorgio Maltese ai flauti di canna, ai tamburi a cornice, all’organo e al marranzano.
Suggestivo, evocativo, “A ccu apparteni” richiama il patrimonio musicale siciliano con le sue tradizioni antiche, il suo dialetto arcaico anche con le sue radici arabe, e al tempo stesso sperimenta incroci con sonorità urbane o africane, proponendo contenuti straordinariamente attuali: il lavoro duro, l’amore, la perdita di senso della nostra esistenza, l’invito a guardare nelle profondità della propria anima, a mettersi in movimento, ad ascoltare il proprio respiro. Un album intenso, viscerale e poetico.
Carla Visca
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