Quando l’acqua del mare è calma e appena sfiorata dal vento, sulla sua superficie si nota un fenomeno ottico: essa pare segnata da strade luminose, fantastici percorsi che vanno verso il largo, in quei casi in Liguria si dice che “o mä o fa e creuze” (il mare fa i sentieri).
La lingua lombarda è fusione di celtico, latino, francese, tedesco, spagnolo, un fantasioso e creativo modo di festeggiare il compleanno di “Creuza De Mä” è quello pensato da Renato Ornaghi: offrirgli, al cadere preciso del suo quarantesimo anno di vita, un’inedita e ardita trasferta linguistica, un viaggetto nella terraferma urbano-fluviale lombarda. Non molta distanza chilometrica separa le regioni settentrionali di Liguria e Lombardia ma dall’acqua salata all’acqua dolce non passa poca strada e nemmeno poca letteratura. Però le acque dei fiumi hanno lo stesso colore di quelle dei mari e ogni goccia ha un proprio sentiero da seguire per arrivare là dove è stabilito che debba arrivare. Nella rotta immaginaria della parlata milanese vengono calate le tematiche, le atmosfere e i protagonisti scelti da Fabrizio. Tradurre significa ricercare, stimolare, reinterpretare, questo prezioso disco offre all’ascolto emozioni musicali differenti dagli originali, meno etniche e più jazzate nelle orchestrazioni, come in "Jamina" e nei vocalizzi di “Sinan Capitan Pascià” o “La Pittima”. L’arrangiatore Franco Parravicini avvicina i suoni in forma coerentemente meno marinara e più urbana. E Ornaghi, non seguendo percorsi stradali o ferroviari consueti, preferisce stabilire il collegamento linguistico secondo la rete propria dei Navigli, sette canzoni per sette ambiti di navigazione: Darsena, Cerchia dei Navigli, Naviglio Grande, Martesana-Naviglio di Paderno, Naviglio Pavese, Laghetti di San Marco-Santo Stefano-Conche, Porto di Mare. Così anche Milano per una volta diventa città d’acqua e navigatori. Le numerosissime e affascinati immagini storiche contenute nel volume dicono più di mille parole. Certo non è la Milano che si inventa architettonicamente di “verticalizzare i boschi” o della movida notturna dell’oggi, che appare sullo sfondo ma quella trasfigurata e sognante di un ricordo. Dopo la disumana “riqualificazione” che ha violentemente tolto dagli occhi storiche “case a ringhiera” in favore di vergognosi e costosissimi appartamenti di lusso, spazzando via una “Città Vecchia” dove le abitazioni si specchiavano nell’acqua, orgogliose della propria storia, di colori e panni alle finestre. Una serie di quartieri popolari del tutto inconsapevoli della loro arcana bellezza, ornati d'una grazia evocativa in bianco e nero, che componeva la “vègia Milan” è andata colpevolmente perduta. Destino estetico e di gusto, comune a moltissime altre parti di un’Italia, purtroppo sempre più assuefatta al vivere nel cemento e nell’asfalto. Il progetto musicale di Renato Ornaghi può apparentemente risultare bizzarro ma i Navigli sono stati tassello di una vicenda straordinaria nella millenaria connessione tra uomo e acqua. In mezzo a sonorità e ambientazioni fino a ieri estranei alle righe di queste parole, si può innescare un processo terracqueo di comprensione e catarsi che rinnova l’eterna arte del viaggiare. Che poi siano viaggi reali o salgariani, riveste poco importanza. A “Creuza De Mä” viene applicata una maschera che a Fabrizio (vogliamo crederci!) sarebbe senz’altro piaciuta dato che al tempo in cui il Mare Adriatico si ritirò, all’uomo del nord Italia rimase in eredità un mondo del tutto inospitale, fatto d’acqua e dove le puzzolenti paludi arrivavano fin all’arco alpino. Un luogo che venne consacrato, non a caso, a Mefite, entità intermedia tra terra e cielo, vita e morte, invocata sia per la fertilità dei campi che per la fecondità femminile. Di quel lontano paesaggio spettrale quando la dea aveva il potere di far da tramite e presiedere ai passaggi, restano appena alcuni rivoli d’acqua in superficie. In mezzo all’immensa palude apparivano ogni tanto modestissimi rilievi e su uno di essi (alto appena quattro metri sul livello delle acque circostanti) il popolo dei Celti Insubri fondò la città di Milano verso il 590 a. C. partendo dal nucleo di un santuario. Alle origini esisteva un solo fiume di nome Nirone, poi i Romani dal 222 a.C. devieranno il Seveso in un anello fatto d’acqua, allargheranno sulla cosiddetta linea dei Fontanili, l’Olona deviandolo dal proprio letto e rinominando quel luogo “medio-lanum” probabilmente per identificarlo come posizione intermedia tra corsi d’acqua. Dopo le glorie passate (perfino Leonardo da Vinci se n’è occupato attivamente) da molto tempo la storia urbanistica dei Navigli milanesi è diventata altro, sono scivolati sempre più fuori dal paesaggio e dalla memoria collettiva, fino a diventare appena la triste caricatura di sé stessi, perfino l’unanime consenso di un referendum è rimasto inascoltato. Canali che già un tempo, attraverso sistemi idraulici di conche (chiuse o chiaviche) permettevano di navigare anche in leggere salite. Ecco che le canzoni, solo in apparenza lontane, di “Creuza De Mä” vengono a ricordare che la gente a Milano ha i piedi metaforicamente nell’acqua e passeggia sui sentieri di un “mare lombardo”. Che un gran numero di corsi acquatici non solo attraversano il suo territorio ma soprattutto continuano misteriosamente in un paesaggio ctonio certamente assai inquietante. Dove ombre e odore di terra bagnata, mescolano acque di falde con quelle di torrenti e fiumiciattoli vari che arrivano da Alpi e laghi prealpini. Quelle canzoni di Fabrizio che sembravano così estranee, giungono inattese a risvegliare il ricordo di paesaggi umidi e foreste igrofite sconosciute, immagini sonore dove l’acqua potrebbe ruscellare improvvisamente zampillando da un sogno o da una falda qualsiasi. Queste trascrizioni in Meneghino sembrano riprendere in mano il secolare antico progetto di collegare Milano e Genova quando si immaginò che il Navili de Bereguard (Naviglio di Bereguardo) potesse immergersi dentro il Ticino.
Flavio Poltronieri