L’acqua è uno dei quattro elementi naturali alla base del ciclo della vita. Nell’acqua il suono viaggia a gran velocità e senza incontrare ostacoli. Proprio per questo iyatra Quartet (si pronuncia in inglese come eye-at-ra) sceglie di registrare in uno studio in mezzo all’acqua il suo ultimo lavoro, intitolato programmaticamente “Wild Green”. Si tratta di una raccolta di composizioni e canzoni originali in inglese, occitano e inglese medioevale, che ha come ambientazione la natura con i suoi cicli stagionali, in cui la preziosa combinazione di ossigeno e idrogeno, che rimanda al liquido amniotico, ha un ruolo determinante.
Come si diceva, l’album è stato realizzato al Lightship 95 Studio, un tempo faro galleggiante, ora operativo come studio ormeggiato in sicurezza sul Tamigi. Il sound che ne scaturisce riverbera in modo olistico, immersivo e materico, entrando in perfetta simbiosi con il corpo dell’ascoltatore, cullato dal vento dell'improvvisazione e abbracciato dal bagliore della luna.
Il clarinettista George Sleightholme descrive l’ambientazione che ha ispirato l'album: “I semi creativi per ‘Wild Green’ sono stati piantati durante una serie di prove ed esibizioni suonando all'aperto durante tutto l’anno nei giardini che circondano le serre comunitarie di Brockwell Park, nel sud di Londra. È stato fonte di ispirazione essere circondati da diverse fasi di crescita e decadimento, con il sole e la luna nel cielo”. Troviamo inoltre la virtuosa del violino Alice Barron, il violoncellista Rich Phillips e il maestro di percussioni global fusion Will Roberts, che fondono musica folk e musica globale su strumenti orchestrali, con l’aggiunta di un magistrale coro a quattro voci.
La prima traccia, “Mandje”, è un brano basato sulla fiaba dei fratelli Grimm “Il pescatore e sua moglie”, che racconta di una coppia che vive in una capanna in riva al mare quando un giorno il pescatore cattura un pesce incantato, il quale esaudisce i suoi desideri in cambio della vita. Ritorna più e più volte invocando il pesce (“Mandje, mandje, mandje!”), desiderando cose sempre più grandi, mentre il mare si fa sempre più agitato e oscuro e la loro capanna si trasforma in un enorme palazzo. Alla fine desidera essere come Dio; dopodiché torna a casa e trova il palazzo ridotto alla capanna con cui era partito. Segue “New Life”, scritta per l’equinozio di primavera: una riflessione sulla fragilità della nuova vita e sulla speranza di una nuova stagione, in cui protagonista è la luce solare. Un ciclo ritmico è alla base del canto, su cui si innescano le improvvisazioni prima del violino e poi del clarinetto. Pian piano il groove si intensifica, così come il pianto vocale, dinamico e timbrico-articolatorio, in un crescendo finale in cui tutti improvvisano sulle note lunghe delle voci.
“Wild Green”, che dà il titolo all’album, è ispirata a un canto di Ildegarda di Bingen, la monaca benedettina tedesca, mistica, teologa, filosofa, poetessa, musicista e scienziata, e sintetizza la mission del disco: un inno al verde, alla natura e al ciclo della vita. Gli smaglianti colori tardo primaverili sono evocati da sonorità elettroniche e acustiche insieme. Si tratta di una canzone “ecofonica” che si sviluppa sul tappeto di un solo suono: su di esso si stendono le voci che annunciano il verde primaverile, interponendo anche un ciclo ritmico. Il brano si conclude con un intenso canto vocale di gruppo, un assolo intimo e voci intrecciate. Questa traccia è seguita da “Moon High”, dove suoni di campane, glissati di violino e punti sonori del clarinetto introducono l’ambiente lunare sospeso nell’universo, presentando una melodia che si interrompe e riprende, ma non si sviluppa mai. Solo l’arrivo delle voci, contrappuntate dal violino, indica la direzione del brano, che comunque viaggia verso il cielo. Un brano sulla luna, sospeso e psichedelico, che ha il sapore delle fragole a giugno e si conclude con un’improvvisazione in free jazz. Il successivo “Helios” è un’altra composizione estatica, ambientata durante il sole di mezza estate, ispirata in origine a un antico inno greco al sole. Dopo un’apertura potente, c’è una frammentazione delle voci che ricorda certi giochi del contrappunto medievale degli organi di Notre Dame, o forse dei Gentle Giant, e che intervengono con ogni frase della melodia, creando ritmi e armonie sovrapposte. “Orkney Hymn” si avvale di due antiche melodie: “L’inno a San Magno” e “L’Ultima Rosa d’Estate”. La prima risale all’incirca al 1280, quando era chiamata “Nobilis Humilis” (“di nobile nascita ma umile di spirito”), ed esalta le virtù cristiane di Magnus Erlendsson, conte delle Orcadi, venerato come santo dalla Chiesa cattolica e a cui è dedicata la Cattedrale di Kirkwall, nell’isola di Mainland delle Orcadi. La seconda fu composta nel 1803 dal poeta irlandese Thomas Moore, che si dice abbia tratto ispirazione dal fiore Rosa ‘Old Blush’ durante un soggiorno al castello di Jenkinstown, in Irlanda. Segue “Beatriz”, ispirato al canto di Beatriz de Dia, A chantar, che parla di un amante amareggiato. Cantato in occitano, conduce a un’espressione strumentale di gruppo con violoncello solista. Un ritmo che richiama una pulsazione cardiaca da cui emerge un bellissimo assolo di violoncello, alquanto straziante, corroborato da voci dal suono lancinante e dallo sdrammatizzante clarinetto basso. “Ninnananna” è un brano natalizio di grande atmosfera e intensità, in cui il bambino Gesù predice la propria vita e morte. “Saffron” è la spezia, lo zafferano, proveniente dal fiore autunnale del croco. Il suo sapore complesso viene in qualche modo esplorato nella prima sezione di questo brano, in cui le percussioni sostengono il clarinetto e il clarinetto basso, suonato come un didgeridoo. Il groove si trasforma quando interviene una splendida melodia di violino. Una canzone oscura e complessa, che rappresenta anche la natura ciclica dell’anno, con passato, presente e futuro racchiusi in ogni momento.
Un disco fluido e fresco, pieno di luce lunare, calore solare e sapore marino, che fa emergere e rivivere poeticamente un tema scottante come quello della custodia e del rispetto della nostra casa comune. Ascoltatelo.
Francesco Stumpo
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