In una bella e densa intervista raccolta da Giovanni Vacca e pubblicata nel 1991 in “I Giorni Cantati”, la rivista del Circolo Gianni Bosio dedicata alla cultura operai e contadina attiva a partire dal 1973, De Simone chiarisce questo concetto che costituirà il modello operativo della sua ricerca come drammaturgo, compositore e studioso: «In quegli anni “folk” era una parola molto vaga, specialmente negli ambienti studenteschi e universitari […] Tale tipo di revival derivava dalla scuola inglese e americana di Lomax. Io invece consigliai a quei giovani una riproposta musicale che non pretendesse assolutamente di riportare “fedelmente” una cultura popolare essendo mia convinzione che la fedeltà a tale cultura non può mantenersi con il ricalcare un canto, quanto il ricomporne uno spirito, un’immagine». Questo passaggio spiega in maniera inequivocabile il percorso compiuto da De Simone sin dalle sue prime opere originali come La cantata dei pastori e Gatta Cenerentola. E illumina sui suoi scritti di carattere più argomentativo come “Disordinata Storia della Canzone Napoletana” (Valentino, 1994), nel quale approccia lo studio del repertorio napoletano in rapporto all’intera cultura partenopea. Nelle pagine introduttive lo studioso spiega che solo la presenza contadina nell’area urbana ha permesso il mantenimento a Napoli di rituali collettivi come Piedigrotta e Madonna dell’Arco con occasioni di canti e danze in rigoroso stile etnico. Questa presenza ha determinato il perdurare di questo stile di canto fino in epoca recente, basti pensare alla tradizione del bazzareota incarnata da Mario Merola. Leggere la tradizione come la permanenza di pratiche antiche e sopravvissute fino a oggi sarà la traccia di uno dei suoi ultimi libri “La Canzone Napolitana” (Einaudi, 2017), un inventario erudito di testi e musiche immerso nella narrazione come intreccio fantastico di eventi e uomini. Né più e né meno di ciò che lo spinse, giovane e geniale, alla composizione della sua opera universalmente più nota, “La Gatta Cenerentola”. In questa prova di raffinato teatro che mette insieme l’urgenza di un passato mitico e di un presente sperimentale si rappresenta una serie di narrazioni ma di fatto non avviene nulla in scena se non ciò che si racconta. C’è il mondo rituale contadino, la possessione, il tarantismo, la cultura napoletana, tutto sotto forma di sedimenti della più ampia concezione poetica del
suo autore. “La Gatta Cenerentola” è una fiaba musicale ispirata al racconto seicentesco di Giambattista Basile e diviene un vero e proprio spartiacque nella scena teatrale italiana. In essa si ripropongono i modelli della musica colta di scuola napoletana smontati alla luce di una tradizione popolare preesistente alla quale i compositori di quella scuola come Pergolesi, Paisiello, Vinci guardavano nel loro lavoro di ricerca. La Gatta Cenerentola è la somma di tutto il mondo fantastico e onirico proveniente da un immaginario che appartiene al sud Italia e al Mediterraneo. I punti fissi della fiaba come la conosciamo tutti, rappresentati dalla matrigna, dalle sorelle, dal ballo a corte coesistono in riferimento ai loro archetipi magico-religiosi che prendono forma prima che Cenerentola fosse formalizzata nelle versioni successive di Charles Perrault e dei fratelli Grimm. L’esplorazione di De Simone nel teatro musicale continua con le regie di “La Serva Padrona”, “Stabat Mater” e “Lo frate ‘nnammorato” di G. B. Pergolesi; “L’Osteria di Marechiaro” di Giovanni Paisiello; “Nabucco” di Verdi; e scritture originali come la “Lauda intorno allo Stabat” e “Requiem in memoria” di P.P. Pasolini. Studioso poliedrico, attraverso un approccio allo studio dei testi e delle melodie in chiave multidisciplinare, ha contribuito a ridefinire il campo degli studi etnomusicologici in Italia, imprimendo una svolta tanto metodologica quanto epistemologica. È stato direttore artistico del Teatro San Carlo di Napoli dal 1981 al 1987 e dal 1995 al 2000 ha guidato il Conservatorio San Pietro a Majella, la stessa istituzione nella quale si era formato. Con la sua morte si chiude una delle pagine più feconde della cultura italiana contemporanea (e se ne apre una assai delicata sulla conservazione e tutela del suo enorme patrimonio materiale e bibliografico). Non è escluso che il suo volto presto possa diventare una icona della mitologia partenopea accanto a quelle di Maradona e Totò, lui forse ne sarebbe contento.
Simona Frasca