Non difettano di tecnica strumentale e con grande affiatamento rileggono con estro creativo i repertori tradizionali del nord-ovest iberico. Consensi unanimi per Jawa, ensemble composto da musicisti di Siria, Palestina, Maghreb e Belgio a voce, ‘ūd, qānūn, nay, kawala, violino e percussioni, mossi dalla stringente necessità di salvaguardare il retaggio musicale di Aleppo la cui pratica e trasmissione sono state compromesse da guerre e calamità naturali. La Jawa Band privilegia una prospettiva personale, innestando strumenti su canti in precedenza eseguiti a cappella, offrendo, difatti, un approccio nuovo nell’esecuzione delle mūwashshahat, genere di poesia strofica, caratterizzato dalle sottigliezze intervallari del maqām e da complessi cicli ritmici. Dal Sud della Francia, invece, i Trucs rivisitano le vibrazioni delle “sonnailles”, i campanacci messi al collo delle greggi durante la transumanza stagionale nelle montagne del Béarn. Questi oggetti, insieme a batteria, tamburo a corde e dispositivi elettroacustici consentono ad Alexis Toussaint e Romain Colautti di comporre una partitura originale. Non meno insolito l’approccio di BITOI (Bass Is The Original Instrument), combo che mette insieme le corde del basso del
fondatore del gruppo, l’etiope-svedese Cassius Lambe, con accanto le vocalist Alexandra Shabo, Lise Kroner e Anja Tietze Lahrmann. In scena anche il duo Shkodra Elektronike, parte della diaspora albanese in Italia. Propongono una reinterpretazione dai risvolti electro-pop di canti squiptari (li vedremo all’Eurovision Song Contest). ExpéKa raggruppa musicisti da Martinica e Guadalupa. Il nucleo di questo progetto si basa sul tamburo ka, ma il groove è costruito innervando la musica di espressioni della diaspora nera, dal jazz al funk al rap. Tra gli showcase diurni c’è stato un focus sul Canada con la cantante congolese-quebecchese Joyce n’Sana e la polistrumentista brasiliano-quebecchese Lara Klaus; Spazio anche a musicisti palestinesi gazawi in esilio. Vincitori del “Prix des Musiques d’ICI” 2024, che sostiene artisti emergenti, si sono esibiti a Babel il cantautore franco-algerino Nassim Dendane, con il suo progetto Dendana, miscela di rock, desert blues e ritmi Gnawa, e il gruppo Aítawa, guidato dalla colombiana Luisa Cáseres, residente a Lione. Cáseres attinge ai ritmi afro-colombiani (himira e bullerenque) fondendoli con elementi Afrobeat e soukous. Trasferitici a Dock des Suds per le serate di venerdì (21) e sabato (22), abbiamo subito incontrato il Quartetto Rokh, con una suonatrice di târ, due oud
(di cui uno pizzicato dalla eccellente Yasamin Shahhosseini) e due strumentisti a kamancheh e percussioni (tombak e dâyereh). Danno forma alla multiforme essenza della musica classica persiana, intrecciando le sue intricate influenze ed espressioni in composizioni originali e arrangiamenti innovativi. Dall’Irlanda, originari di Connemara, i giovanissimi fratello e sorella Séamus (arpa, bodhrán e voce) e Caoimhe Uí Fhlatharta (voce e violino) sono polistrumentisti e cantanti, che possiedono un ampio repertorio di danze e arie ma, soprattutto sono tra i nuovi interpreti del canto a cappella nello stile fortemente ornamentato chiamato sean-nós. Dal Salento, Dario Muci è una figura ben nota ai lettori di “Blogfoolk”, cantante e compositore ai vertici del rinnovamento delle tradizioni orali e musicali del Salento. Il suo set si muove sull’idea del cantastorie che racconta la sua terra, con una band di tutto rispetto in cui spicca la voce di Enza Pagliara. Esplosiva come sempre l’esibizione della carioca Bia Ferreira, che si muove tra umori bahiani, R&B, reggae per dare forma a songs cantate e rappate che denunciano razzismo e discriminazione, esortando alla lotta per i diritti della comunità LGBTQIA+. Meno incisivo che su disco l’electro-rumba-funk DIY
dei congolesi Kin’Gongolo Kiniata. E sempre a proposito di ritmi urbani si impone l’hip hop sudafricano di Yugen Blakrok. Due i coup-de-coeur che aprono il pomeriggio di sabato alla Friche. Il trio Boucs! con il cantante e suonatore di mandola marsigliese “di lungo corso” Sam Karpienia, che condivide la scena con la chitarra elettrica di Nicolas Lafourest e il basso acustico di Mathieu Sourisseau. Il trio si produce in un’inedita combinazione timbrica, un post-folk o chamber-folk-punk con testi poetici in lingua occitana. Secondo memorabile concerto quello dei Polyphème, che mettono a frutto l’incontro tra il gamelan indonesiano Puspawarna e la darbuka del percussionista e avventuriero franco-libanese Wassim Halal, proponendo partiture a metà strada tra composizione e improvvisazione. Alla sera al Dock emoziona la voce cristallina di Mari Kalkun con le sue evocative “Stories of Stonia”. L’artista estone si accompagna alla cetra kannel, al tamburo e alle tastiere che interagiscono con un equilibrato uso dell’elettronica. Cattura il duo Dal:um, composto dalle coreane Quand Ha Suyean e Hwang Hyeyoung, le quali fanno dialogare le cetre tradizionali, il gayageum a venticinque corde di Suyean e il geomungo a sei corde di Hyeyoung, una confluenza timbrica
contemplativa e potente al contempo. Gioca in casa il quartetto femminile La Mòssa, canto polifonico e percussioni dalla vivace inventiva canora e ritmica. A proposito di sorprese, coglie nel segno la trance aerofona di Tangui Le Cras: nom de plume Craze, nativo della Bretagna centrale, che, in veste solitaria con indosso una lunga tunica, magnetizza il pubblico assiepato intorno al suo cerchio sonico rituale, che richiama la circolarità danzante sufi, il minimalismo e l’esoterismo sonico gaelico del pibroch con il timbro acuto del biniou, la piccola cornamusa bretone: un corpo in sintonia con lo strumento, un’iterazione formidabile quanto visionaria. Vigorosi i Divanhana, da Sarajevo, che reinventano il repertorio della sevdah, riempiendola di stilemi jazz e pop. Mettono in primo piano la voce di Šejla Grgić, sostenuta dal pulsante incastro ritmico basso-percussioni in dialogo con fisarmonica, violino e chitarra. Prima che i Dj set facessero calare il sipario sull’edizione dell’addio ai Dock des Suds, due showcase hanno tenuto banco, entrambi a trazione maghrebina ma pure trionfante incarnazione delle identità multiple. La prima è una scoperta, per chi scrive: il trio del cantante e polistrumentista Sami Galbi, cresciuto in Svizzera, di padre
marocchino e madre franco-svizzera. Le cronache dicono che dopo una residenza invernale in Marocco, con l’ausilio di synth, ha deciso andare a fondo nel suo rapporto con l’identità maghrebina, attingendo a sonorità rai e chaabi e miscelandole con beat digitali con l’intento di far ballare. Ben noti, invece, i secondi protagonisti, Bab L’Bluz, quartetto franco-marocchino della cantante e suonatrice di awisha Yousra Mansour con il loro vorticoso mix di trance Gnawa e stilemi Hassani, innervata di funk, psichedelia & rock: poetici, libertari e incandescenti. Il consuntivo numero di Babel Music XP 2025 parla di settanta espositori intervenuti in rappresentanza di quattordici Paesi, almeno trenta gruppi e artisti provenienti da ventuno Paesi e quattro continenti. Il Festival ha attirato più di 8.000 spettatori in tre giornate, tra cui circa 1.500 delegati accreditati provenienti da trentuno Paesi. L’hub mediterraneo delle musiche mondiali annuncia le date per la prossima edizione la cui collocazione è tutta da organizzare. In ogni modo, appuntamento dal 19 al 21 marzo 2026 in uno scenario marsigliese anche da costruire. Ancora Olivier Rey: “È una modalità mediterranea, è nel DNA di Babel essere sempre in lotta… Quindi dobbiamo creare qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso. Una nuova lotta”. La storia continua. Arrivederci Marsiglia al prossimo anno, sempre sintonizzati “all’ascolto del mondo”.
Ciro De Rosa
Foto di Pascal Peuch e Ciro De Rosa
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I Luoghi della Musica
Ci rivediamo a Marsiglia nel 2026! Ottima cronaca.
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