Bab L’ Bluz – Swaken (Real World, 2024)

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Quando uscì nel 2020, definimmo “Nayda!” un disco “strepitoso”, rock attraversato da ritmi e melodie gnawa, chaabi, hassani, berberi e subsahariani. A quattro anni di distanza, di nuovo con la Real World, i Bab L' Bluz hanno dato forma, nelle sale di registrazione di Wiltshire, a un album che lascia il segno e che raccoglie tutta l’energia trasmessa e ricevuta attraverso i concerti tenuti in tutto il mondo: quello euro-usa-australiano della “world music”, ma anche nel Maghreb e in Togo. “I continui tour significano che siamo cresciuti in fiducia e potenza. Abbiamo adattato il nostro sound alle folle dei festival, rendendolo più pesante, più rock. Abbiamo aggiunto più strumenti. Più coraggio. Più fuoco” racconta Yousra Mansour, voce e awisha e guimbri elettrici dei Bab L’ Bluz. Con Brice Bottin ha scritto le prime composizioni nel 2017 e nel 2018 ha co-fondato il gruppo, con Bottin alla chitarra e guimbri e, oggi, anche co-produttore di “Swaken” nella Wood Room dei Real World Studios insieme a Katie May. Il quartetto è completato da due percussionisti, attivi anche nei cori: Ibrahim Terkemani alla batteria (ma anche qraqeb e bendir) e Jérôme Bartolome a qraqeb e campane. Allo strumentario del gruppo, nel frattempo, si sono aggiunti strumenti elettrici come il mandolino e il ribab (il violino ad arco a una corda caro alla cultura amazigh/berbera). Vicino a Lione, un liutaio ha realizzato una chitarra awisha/mandola a doppio manico (tre corde singole su un manico e cinque corde doppie sull'altro), ideale per i riff che Yousra Mansour propone nelle registrazioni e dal vivo: 
“Il ribab ha un’aria così mistica, e ci sono ancora meno donne che suonano il ribab rispetto al guembri [awisha]. E probabilmente non ci sono donne che li suonano entrambi, elettrificati, allo stesso tempo”. È proprio il ribab ad aprire le danze introducendo “Imazighen”. È il primo degli undici brani, quattro minuti abbondanti che confermano la capacità del gruppo di far crescere costantemente l’energia alternando ecologie acustiche ed elettriche, poliritmie percussive e ossessive scansioni binarie. Nelle tessiture ritmico-armoniche dei Bab L’Bluz trovano un punto di incontro i Led Zeppelin e gruppi marocchini pionieri come Nass El Ghiwane, ma anche le grandi voci che hanno saputo cogliere aspetti diversi del grande ventaglio melodico nordafricano, da Dimi Mint Abba a Hamid El Kasri. “Imazighen” celebra la diversità e le affinità e nel ritornello sottolinea in tamazight “Noi (del Nord Africa) siamo tutti Amazigh”: “In passato gli Amazigh erano scoraggiati dal parlare la loro lingua e venivano derisi da molti arabofoni. Oggi la situazione sta cambiando, la lingua viene insegnata nelle scuole e i giovani stanno recuperando e celebrando le loro radici amazigh”. Per lo più, Yousra Mansour scrive e canta in darija, la lingua arabo-marocchina e in “Swaken” affronta temi controversi come le leggi marocchine sull'eredità, le disparità salariali in base al sesso, i crescenti casi di suicidio e depressione: 
i versi invitano all'unità, alla tolleranza e alla gentilezza in un mondo sempre più fragile. Gli arrangiamenti concepiti con Bottin spargono distorsioni e riverberi e sanno far spazio ai quarti di tono dei modi dell'Africa settentrionale e occidentale e di alcune scale mediorientali. “Questa scoperta ha aperto un'altra porta alle opportunità musicali” ricorda Bottin. Ispirato alla musica gnawa, al canto rurale aita del Marocco centro-occidentale e alla tradizione di performance collettiva Ahwach del Marocco meridionale, “Wahia Wahia” è un grido di solidarietà amplificato dagli intrecci delle voci, mentre con “Zaino” il gruppo rilegge le poetiche canzoni d'amore e le melodie pentatoniche hassani del Marocco meridionale e della Mauritania: “Parla della lotta per la libertà di espressione delle donne, oltre ad essere una lettera d'amore sulla bellezza e la gentilezza”. Con “AmmA” si torna nel Marocco settentrionale, questa volta a est, dove sono udibili le influenze della Tunisia e dell'Algeria alimentano “AmmA” [sic], anche grazie ai fiati di Mehdi Chaib, insieme a percussioni e accordi in loop che rimandano a danze marziali: “Svegliatevi, donne/alzatevi, donne”, incitamenti che rendono più esplicito il senso di “swaken”, ossia “possessione”, farsi prendere dagli spiriti. L’elettrificazione dominante è rotta dall’acustica e dolce “Hezalli”, unica “cover” di un brano ebreo-yemenita di Mutahhar Ali Al-Eriyani: "La cantavo tanti anni fa e l’ho ripresa pensando alle difficoltà che lo Yemen sta affrontando e alla cultura che le tribù yemenite condiviso col Marocco”


Alessio Surian

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