Andrea Marchesino – Gargano Blues (Controra Records, 2025)

Una notevole variazione di chitarre e di suoni chitarristici. Un ottimo grado di visionarietà, che pone chi ascolta davanti a un paesaggio lungo, dritto e a tratti accidentato. Un’evocazione forte di un territorio (che diviene) di riferimento, nella quale convivono la forza della descrizione panoramica e la leggerezza dell’immaginazione dello spazio. Di uno spazio, allo stesso tempo, netto e da reinventare. Di uno spazio da suonare, probabilmente, nella fantasticheria di un blues inteso come racconto, storia e, di nuovo, come visione. Ma anche come esperienza, voce e, in qualche modo, determinazione. “Gargano blues” ha molte anime, ma tutte in un moto di confluenza verso la narrativa strumentale e la ricorrenza a una grammatica scarna e decisa, un po’ tratteggiata e un po’ inattaccabile, impeccabile. Perché́ l’assetto di chitarra, basso e batteria rimane, in un certo senso, inespugnabile, come una torre medievale, come un bastione esagonale. E perché́ si riempie – pressoché fino all’orlo – del fascino del rischio e della sicurezza data da una misura che vuole bastare e che vuole essere capita. In questa misura, si badi bene, c’è spazio per la contemplazione (“San Michele”) e l’impeto di una fuga ritmica (“amare e cielo”). Ma c’è il binomio probabilmente più rassicurante. Quello cioè̀ che si compone del richiamo dello storytelling e di qualcosa che ha a che fare con la venerazione per la tenacia dell’anima dei luoghi in cui ci si muove. In cui si suona e per i quali si affina lo sguardo (“Selce”). Dentro a quella pratica di raffinazione dell’osservazione, Andrea Marchesino – pugliese ma di stanza a Parigi – riesce a portare una bella lista di riferimenti musicali: al basso lo accompagna Danilo Gallo (Guano Padano, ma anche Bill Frisell, Mike Patton e Enrico Rava), alla batteria Matteo Nocera (Sandro Joyeux e Ngasa Ngasa). Una lista di riferimenti – dicevamo – che ci propone sotto forma di citazioni, tanto velate, indirette, quanto necessarie. Non sappiamo se il suo sguardo gira in tondo, a mo’ di panoramica centrifuga, o se si sposta dal centro verso il mare o viceversa, seguendo una direttrice comunque destinata all’orizzonte. Percepiamo, però, che Marchesino cammina, si sposta, e che il suo blues è quello sì del Gargano, ma soprattutto di un tratto di vita - come si conviene e come si scopre grattando gradualmente le 11canzoni dell’album. La rivelazione di questa variabile inevitabile arriva con “Saint’Mnà”, dove l’armonica ci dice tutto, arrivando al punto giusto e colpendo proprio lì, dove abbiamo scoperto il nervo e corroso ogni reticenza. Il brano successivo è acido, forse per contrappunto, per contrappasso. Ma a questo punto siamo capaci di comprendere e assorbire anche le sfumature: adesso ci sembra di poter guardare le scogliere prima del mare – e fra un attimo sentiamo il fruscio dei rami che falciano l’orizzonte. Il reprise di “San Michele” sembra volerci assoggettare alla mistica ipnotica della chitarra blues. L’effetto è quello di una sauna d’inverno, in cui sembra possibile cogliere la profondità di un sentimento proprio attraverso un implacabile disordine, un inebriante disorientamento. Solo le corde ci reggono. Inutile dire che “Non fa niente”, posto in chiusura di scaletta, raccoglie tutto, armonizzando le anime del blues forse proprio nel Gargano. Nella confluenza di storie e suoni caparbi, assetati di spazio e di vita. 


Daniele Cestellini

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