In “Inner Spaces” dialogano il pensiero musicale di Amir ElSaffar (tromba, santur e voce) e di Lorenzo Bianchi Hoesch (synth ed elettronica).
Chicagoano di nascita, figlio di madre statunitense e padre iracheno, ElSaffar studia tromba classica e jazz, entra a far parte della Civic Orchestra of Chicago. Si trasferisce a New York, dove suona con Cecil Taylor, Vijay Iyer e Rudresh Mahanthappa. Nel 2002, recatosi a Baghdad, entra in contatto con i maestri del maqam nello stile iracheno e apprende a suonare il santur, la cetra percossa con martelletti. Lasciato l’Iraq, ElSaffar inizia a incorporare nei suoi concerti e nelle sue composizioni jazzistiche e improvvisative i modi della musica araba. Discograficamente, debutta nel 2007 con “Two Rivers”, seguito da “Inana”, “Alchemy” e “Crisis”. Tra questi lavori e il suo progetto per grande ensemble “Rivers of Sound”, ElSaffar si afferma come una voce importante nell’unire improvvisazione e composizione jazz con pratiche musicali derivate dai modi della musica classica araba. Compositore e sound artist, l’italiano di residenza parigina Bianchi Hoesch si muove tra partiture per teatro, danza e progetti multimediali. Ha fondato l’etichetta Ornithology Productions ed è docente di Composizione elettroacustica al Conservatorio di Montbéliard, in Francia.
Esplorazione di spazi elettroacustici, “Inner Spaces” è l’esito più recente di un incontro tra i due artisti, avviato già in precedenza attraverso progetti transculturali. Cuore del lavoro sono le strutture microtonali del maqam arabo che si intersecano con le procedure elettroniche, in un equilibrio tra processo compositivo predeterminato e sequenze improvvisate, trascendendo le nozioni di forma, linguaggio musicale e categorie elettroniche e acustiche.
Si tratta di quattro lunghe composizioni a quattro mani, di cui “The River” è la porta di accesso. Il brano parte con i registri bassi del synth su cui ElSaffar entra con vocalizzi morbidi che aiutano il senso melodico (si ascoltano frasi come “Aah Khayye”, letteralmente “fratello mio”, “Ya Layli” ossia “Oh mia notte” e “La Yibla Galbi” “non piangere cuore mio”); la voce si spinge verso i registri alti, al contempo trattata con delay ed altri effetti elettronici. Un insieme stratificato che percorre le vie dei maqam Bayat e Kurd, con la digressione finale della tromba che ci traghetta verso la magnifica seconda traccia, “Spirits”: la più lunga con i suoi 11 minuti e 17 secondi. Qui il fraseggio della tromba si muove nell’ambito dei modi dei maqam Bayat/Hussayni, circondato dalla bilanciata profondità dell’elettronica, che gradualmente impone l’elemento percussivo nel metro jurjina (10/16). Il canto di ElSaffar entra quasi in guisa di cantillazione, intonando versi che raccontano della vita dura di chi vive per amore, fino all’imporsi di una sequenza strumentale di matrice jazz, che culmina con i passaggi virtuosistici della tromba. Diversamente, “Pas de deux”, si presenta come l’episodio più delicato dell’album; il santur si prende subito la scena sostenuto da Bianchi Hoesch, che si produce in note di synth che creano uno stato di sospensione, per poi sviluppare una lunga improvvisazione solista, costruita a partire dalle sequenze sonore generate dallo strumentista americano-iracheno. L’epilogo è affidato a “Tahlila”, la seconda composizione per durata con i suoi 9 minuti, il cui titolo rimanda alla ritualità sufi e alla formula “lā ilāha illā Allāh” (“Non c’è dio all’infuori di Dio”). I fiati di ElSaffar introducono un maqam iracheno (Awi, che deriva dal Segah) su cui si innesta il canto di una poesia del poeta iracheno del X secolo al-Mutanabbi (“Come mai, o messaggero, siamo entrambi addolorati, io, amante appassionato, e ora tu, malato di cuore? Ogni volta che lo mando a portare il mio messaggio a lei, diventa geloso e mi tradisce al suo ritorno. Sappiamo bene, ma ci siamo chiesti mentre viaggiavamo attraverso il Najd, se la strada che ci aspetta è breve o lunga? La maggior parte delle domande sono una sorta di desiderio, e la maggior parte delle risposte sono una distrazione. Una giovane donna ha camminato con me attraverso il deserto, il suo colore cambiava continuamente. Rivelaci la tua bellezza finché dura, perché la bellezza non è che una condizione temporanea”). Spirito invocativo, atmosfera che rimanda alla iterazione estatica, effetti elettronici e tromba conducono a un climax magnetico e dirompente.
Con “Inner Spaces” ElSaffar e Bianchi Hoesch offrono un laboratorio sonoro che si sostanzia come attraversamento di confini e di linguaggi.
Ciro De Rosa
Tags:
Medio Oriente