Mauro Palmas | Giacomo Vardeu – Sighida (Mare e Miniere, 2025)

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“Sighida”, l’album di Mauro Palmas (mandola e liuto cantabile) e Giacomo Vardeu (organetto diatonico), inaugura l’etichetta Mare e Miniere, espressione collaterale dell’omonimo festival, un importante contenitore di concerti e seminari dedicati al canto, alla musica e alla danza popolare. Organizzato dall’associazione Elenaledda Vox, la manifestazione si svolge ogni anno nel mese di giugno nel sud-ovest della Sardegna. È proprio all’interno dell’diciassettesima edizione della kermesse sulcitana che è germinato questo intreccio sonoro, nato dal fertile terreno della tradizione sarda ma capace di aprirsi a linguaggi e suggestioni che travalicano i confini dell’isola. L’album raccoglie dieci brani e vede anche la partecipazione del Cuncordu e Tenore de Orosei, eccellenza del canto polifonico sardo. In una sessione su Zoom, dialoghiamo con i protagonisti di questo progetto: il giovanissimo organettista di Orosei, già brillante per tecnica ed espressività, e il navigato strumentista, ricercatore e compositore cagliaritano. Li raggiungiamo mentre provano per il concerto di presentazione a Monserrato, nel cagliaritano, occasione ideale per approfondire il senso di questa nuova avventura musicale e il percorso che ha condotto alla nascita di “Sighida”.

Sighida” esce per la neonata etichetta “Mare e Miniere”: di che progetto editoriale si tratta? 
Mauro Palmas - Conosci alla perfezione quelli che sono gli sviluppi di “Mare Miniere”, come è nato, il perché, dove vogliamo andare… Avendo costruito un grande archivio sonoro e video di tutto ciò che abbiamo presentato e prodotto in tutti questi anni al Festival, e con il quale abbiamo potuto realizzare il docufilm “Miradas”, abbiamo pensato anche un’etichetta discografica, soprattutto dal punto di vista archivistico. L'obiettivo è quello di rendere disponibili in rete alcuni dei progetti che nascono all’interno di “Mare e Miniere” e di pubblicarne alcuni su supporti fonografici. Abbiamo deciso di partire con questo disco perché ha preso vita da un incontro avvenuto durante i seminari. Potrebbe essere il numero uno di una serie di produzioni discografiche che potremmo realizzare nel corso degli anni, per lasciare traccia dei lavori compiuti. Quindi pubblicare non solo quanto già archiviato ma anche, come in questo caso, le nuove produzioni che possano suscitare un minimo di interesse. Certo, è impensabile credere o pensare che questo progetto possa avere degli sviluppi commerciali, ma certamente potrà avere degli sviluppi culturali. Noi abbiamo sempre sostenuto che il nostro è un festival militante. E lo è perché può essere portato avanti solo da persone che credono in questo tipo di operazioni. Io parlo della Sardegna, del patrimonio sardo. Qui esiste in questo momento un’enorme produzione dal punto di vista quantitativo, ma dal punto di vista qualitativo credo siamo molto lontani da quel livello. Immagino  un
ricercatore,  tra cinquanta, cento anni,  intento a cercare di navigare in una marea infinita di produzioni musicali, per estrapolare qualcosa che abbia forse un senso. Come “Mare e Miniere” noi cerchiamo di selezionare delle realtà che riguardano la nostra cultura, ma anche quelle popolari in genere, che possano essere salvaguardate. 

Giacomo, come ti sei avvicinato alla musica tradizionale sarda?
Giacomo Vardeu - Mi sono appassionato alla musica tradizionale sarda sin da bambino, durante le feste patronali, quando vedevo esibirsi i gruppi folk. Ho voluto iniziare con le lezioni di organetto perché il suo suono mi attraeva. Poi, tramite internet ho ascoltato diverse musiche, non solo sarde, e così sono andato avanti. In famiglia siamo tutti appassionati di musica. Mia madre non suona uno strumento tradizionale, ma è laureata in clarinetto, quindi ha fatto anche lei il conservatorio. Diciamo che la musica in famiglia esiste in tante forme.

Organetto, non significa solo Sardegna, Quali musicisti, quali generi, quali mondi organettisti, quali stili ti hanno attratto? 
Giacomo Vardeu - Ascolto non solo musica sarda, ma anche dei Paesi Baschi, della Francia e dell'Irlanda. In questi anni, mi sono reso conto che potrebbero nascere degli incontri tra queste musiche. Mi piace 
molto Kepa Junkera del quale eseguo sempre “Huriondo” che è un pezzo bellissimo, ma che richiede una notevole abilità tecnica nell'esecuzione.

E la musica di questo signore, Mauro Palmas, come l'hai conosciuta? Cosa ti ha colpito di questo mondo lontano anagraficamente ma ovviamente centrale per la musica non solo sarda? 
Mauro Palmas - Questa cosa che viene sottolineata sempre, ma è vero, siamo due “giovinastri”. La cosa bella è che abbiamo scoperto di avere lo sconto con Trenitalia: lui perché ha meno di vent'anni, io per un altro motivo… 
Giacomo Vardeu - Come dicevamo prima, ho conosciuto Mauro ai seminari di “Mare e Miniere”, ma prima ancora l'avevo visto suonare ad Orosei ed ero rimasto molto colpito. Ho fatto, poi, delle ricerche su internet e ho scoperto che organizzava dei seminari per il festival “Mare e Miniere”. Così, ho deciso di andarci e mi si è aperto un mondo.

Parliamo proprio del titolo: perché “Sighida”? 
Mauro Palmas - "Sighida" significa “seguito”, “continuazione”.  E si riferisce alla questione del passaggio generazionale, su cui rifletto anche in un libro di prossima pubblicazione, raccontando di quando suono con Luigi Lai e lo aiuto a salire sul palco, offrendogli la mia spalla come appoggio. A novant' anni ha necessità  solo di un sostegno fisico, non certo musicale. Allo stesso tempo, mi trovo a suonare con un 
ragazzo che tra qualche tempo dovrà  fornire a me la sua spalla per farmi salire sul palco. Questa continuità di generazioni di musica, ci ha fatto pensare al nome. “Sighida” è anche di facile pronuncia per chi non conosce il sardo.

Che mi dite dell’incontro sul piano timbrico dei plettri e dell’organetto?
Mauro Palmas - La costruzione è proprio sul contrasto dei timbri. Avevo già esperienze con questo strumento, con Riccardo Tesi. Con lui ci siamo veramente dedicati a fare cose completamente diverse. Anche i miei brani, che erano delle scritture fatte per quartetto d'archi. In concerto suoneremo “The wedding” e “Africa Marketplace”  di Abdullah Ibrahim che completano proprio questo mondo. Sono strumenti che nascono con delle limitazioni, perché sia l’organetto sia la mandola e il liuto cantabile lavorano bene soltanto su determinate tonalità, mentre su altre tutto diventa po' più complicato e sarebbe più indicato usare una chitarra o un altro strumento. Dal punto di vista delle sonorità siamo partiti dai nostri repertori, trasponendo per organetto materiali che erano nati per la mandola e viceversa. I brani assumevano delle caratteristiche diverse, ma possibili. Insomma, sono musiche possibili per questi due strumenti.
Giacomo Vardeu - Suono un organetto diatonico Castagnari a diciotto bassi, a differenza di quanto accade in Sardegna dove si utilizza sempre quello a otto bassi e due file di tasti per la tastiera con la quale si esegue la melodia. Questo, però, mi limitava sia dal punto di vista armonico che da quello melodico e, 
così, sono passato a questo nuovo organetto.

Scorriamo la tracklist: dopo il preludio arriva “Adelaisa” il cui titolo credo richiami la giudicessa di Torres? 
Mauro Palmas - "Adelaisa" era un brano inizialmente nato per un progetto che si doveva fare proprio su Adelasia di Torres che però non è andato in porto. Il brano è rimasto, con Giacomo l'abbiamo rivisto e rigenerato completamente ed è venuto fuori questo risultato. Questo duo è nato dal desiderio  di Hugo Fass, che aveva già sentito  Giacomo con il Tenore de Orosei, in occasione di un concerto a Rorbas vicino a Zurigo, che io lo avevo aiutato ad organizzare, senza poi però poterci partecipare. A lui era rimasto il sogno di sentire me e Giacomo suonare insieme e così, ci ha chiamato per partecipare al Festival di Lucerna di quest'anno. Lì abbiamo definito questo progetto, perché ci siamo resi conto che la nostra musica aveva colpito non poco. Certo anche per questo cortocircuito generazionale. Cinquanta anni di differenza si fanno sentire, ma certamente l'incontro tra questi due strumenti genera un interesse particolare. La gente resta colpita dagli sviluppi che possono avere insieme questi due strumenti.

Con “Goccius” siamo nel cuore della devozione sarda. 
Mauro Palmas - Anche in questo caso, con il “bambino” che è qui accanto a me ci siamo addentrati in uno 
sviluppo armonico completamente diverso, fuori dal tradizionale, tant'è che chiamarli anche “Goccius” potrebbe essere una forzatura, nel senso che si parte dal canto devozionale e poi si vola tra le varie note. 

Invece in “Nannedu Meu” e “Libera me Domine” entra il Cuncordu e Tenore de Orosei. Come avete lavorato all’unione delle voci e degli strumenti? E perché la scelta di questi due brani? 
Mauro Palmas - La presenza del Cuncordu e Tenore de Orosei è un omaggio a Giacomo che è nato in mezzo a loro. Uno dei membri del Cuncordu è, infatti, il suo padrino e, quindi, c'è anche una sorta di devozione familiare. “Nannedu Meu” è un canto sardo con testo di Peppino Mereu e musica di Nicolò Rubanu dello storico Coro di Orgosolo. Loro eseguivano diversi brani, tra i quali anche “Libera me Domine”.
Giacomo Vardeu - Inizialmente quando ho cominciato a suonare con Mauro “Libera me Domine” lo eseguivamo solo in versione strumentale, mentre nel disco abbiamo deciso di invitare il Cuncordu e Tenore di Orosei per proporli in una versione con le loro voci e i nostri strumenti.
Mauro Palmas - “Naneddu Meu” abbiamo voluto dedicarlo all’autore originale Nicolò Rubanu del coro di Orgosolo, di cui esiste  un disco che contiene anche la canzone "Pratobello": un brano molto famoso sulle
lotte di Pratobello e Orgosolo. Volevamo restituire l'onore delle armi a Nicolò, che ha composto quella musica. “Nannedu Meu” ha vissuto una vicenda particolare perché i diversi cori che lo hanno eseguito ne hanno fatto una versione propria, firmandola nuovamente, e creando una grande confusione sulla paternità di questo brano. 

“La Valse a Pierre” ci porta fuori Sardegna, alla corte di Riccardo Tesi. Perché proprio questa composizione?
Mauro Palmas - Ho un legame particolare con “Valse a Pierre” e questo me lo riconosce anche Riccardo che lo ricorda sempre quando presenta questo brano. Dovevamo fare alcuni concerti nella zona di Pistoia ed ero a casa sua. Durante una pausa dai concerti, l'ho accompagnato a teatro per un suo impegno e in quell'occasione mi ha fatto ascoltare quella che lui chiamava “musichetta”. Mi disse che era “un pezzo un po’ inutile, sono due accordi, eccetera” e io gli risposi: “Riccardo, ma tu sei pazzo come un cavallo. Questa è la cosa più bella che tu abbia scritto”. Lui mi guardò un po' stranito, ma in seguito ci ha lavorato ed è diventato “La Valse a Pierre”. Ha realizzato anche un bellissimo video, che credo abbia vinto anche dei premi. Questa è adesso una delle sue composizioni più apprezzate e riconoscibili. Per questo motivo si è creato un legame con questo brano e con Giacomo abbiamo deciso di metterlo nel nostro repertorio. 

Invece “Paghe” è un canto di ricerca di voci di pace, ma si appoggia a una melodia danzante… 
Mauro Palmas - È un testo impegnativo di Maria Gabriela Ledda e viene cantato in maniera contrastante come una sorta di ballo a simboleggiare la nostra indifferenza. Noi guardiamo a la televisione mentre mangiamo e pranziamo tranquillamente e davanti a noi passano notizie di migliaia e migliaia di morti come se niente fosse. Questo canto di pace è avvolto in una melodia danzante che parla anche di guerra tra fratelli. Volevamo sottolineare questa cosa in un momento storico in cui la pace sembra essere sempre più lontana e difficile da raggiungere.

Danza Maggiore” attraversa la Sardegna da sud a nord? 
Giacomo Vardeu - In verità Mauro eseguiva originariamente questo ballo in tonalità minore, ma in questo caso la proponiamo in maggiore. Per questo motivo l'abbiamo rinominata “Danza Maggiore”. È uno dei balli che pesca della tradizione sarda e la si ascolta dal Campidano al Logudoro. Ha un ritmo trascinante, tant'è che è difficile tener fermi i piedi.
Mauro Palmas - Inizialmente volevamo chiamare questo brano "131 bis" come la strada statale che conduce dal Logudoro al Campidano, ma non abbiamo avuto il coraggio.

A chiudere l’album ci pensa un altro ballo…
Giacomo Vardeu - Il titolo di “Torra”, in realtà doveva essere "Ballo stornato". Questo rappresenta uno dei balli più riconoscibili della tradizione “Su Passu Torrau” e, per come lo facciamo, può essere ballato tranquillamente. Il ballo campidanese, “Danza Maggiore”, è un ballo che mantiene anche la sua funzione e se un gruppo si mette a ballarlo non ha la minima difficoltà. 
Mauro Palmas - Quando trattiamo la tradizione, io e Giacomo rimaniamo abbastanza rigidi su quelle che 
sono le regole, nel senso che puoi stravolgere tutto, ma non quelle che diventano riconoscibili in una tradizione. Come puoi eseguire un saltarello o una tarantella non seguendo quella metrica? Puoi fare tutto quello che vuoi, ma la metrica la devi seguire, perché se è un brano che nasce con una funzionalità, che è quella del ballo e bisogna permettere al ballerino di ballare. E' una cosa molto bella il fatto che i balli, dal sud della Sardegna al nord della Sardegna, da est a ovest, si riconoscano e si riconoscono da quel tipo di metrica, che accomuna tutte le danze. Lo schema è quello melodico, metrico, ritmico. 

“Sighida” cosa diventarà dal vivo? 
Mauro Palmas - I brani del disco avranno chiaramente una stesura differente dal vivo, molto più ampia, eccetera. A questi si aggiungeranno anche altri brani. Come detto ci saranno i brani di Dollar Brand/Abdullah Ibrahim, e poi altre cose che abbiamo preso dal mio repertorio e che stiamo assemblando, perché chiaramente il concerto ha una dimensione totalmente diversa. Dopo l’anteprima a Monserrato, partiremo a metà marzo per una serie di quattro concerti, di cui tre in Svizzera e uno in Germania. Da lì partirà una programmazione per l'estate che ci vedrà probabilmente a Roma, se è possibile, e al più presto, in Veneto e in Friuli. 


Ciro De Rosa

Mauro Palmas | Giacomo Vardeu – Sighida (Mare e Miniere, 2025)
Mauro Palmas e Giacomo Verdeu ci fanno subito pensare a quanto fermento ci sia nel mondo delle cosiddette musiche popolari. Nell’intervista, oltretutto, ci fanno comprendere come i protagonisti di quel mondo – musicisti e conoscitori di una grammatica antica, dinamica e, per questo, allo stesso tempo nuova – riescano ad abbracciare, attraverso i loro strumenti ma in generale il loro assetto, un linguaggio evidentemente complesso. Sia in termini quantitativi che qualitativi. Inoltre, pur non avendo l’intenzione di raccattare soluzioni terminologiche e testarne l’efficacia (il termine “popolare” in riferimento a quello di “musica” è senza dubbio desueto, ma noi lo abbiamo usato per andare dritti al punto attraverso la scorciatoia più conosciuta), Mauro Palmas ci spalanca la porta sul gusto del fare e su ciò a cui il fare conduce, con meno sforzo apparente, quando lo si racconta. Quel fare – a cui si riferisce, con il termine “militanza”, quando richiama l’esperienza del festival “Mare e miniere” – pone una questione che è proprio lì sotto i nostri occhi di ascoltatori e inseguitori delle musiche di ispirazione popolare: è un’azione che plasma e viene plasmata dalla musica stessa che, a sua volta, si genera e rigenera dentro le azioni di chi la compone, o l’ha composta o eseguita, e di chi la rielabora oggi o l’ha rielaborata ieri. Oggi cambia il senso e il gesto, ma anche il gusto. Ieri, a conti fatti, ha determinato gli stessi processi: senso e gusto sono, allo stesso tempo, l’inizio e la fine, l’avvio, la partenza e la restituzione, la forma. Insomma, la consapevolezza dell’ampiezza, la contezza della complessità, rimanda il discorso di Palmas a una verità che può stare solo nella possibilità: cioè, nella comprensione che il possibile non è il tutto e non è, per questo, una volta solo. Il possibile è uno spettro che inonda lo spazio del musicista – indipendentemente da cosa questi sia ispirato – e il duo di “Sighida” lo ha ben compreso: ce lo dimostra inquadrando l’album, attraverso il titolo, nel concetto di continuazione. E quindi, in definitiva, di movimento. Innanzitutto perché si muove dentro la direttrice storica della musica sarda (o meglio, di parte di essa), analizzandone diversi elementi proprio per scegliere il tipo di approccio: dalla metrica ai fattori culturali. E poi perché da quella prospettiva il duo percepisce la propria direzione, che intraprende combinando attenzione e ispirazione. Da qui – a noi sembra plausibile – Palmas arriva a definire i brani in scaletta come il nucleo di una musica possibile (appunto) che, nello stesso tempo in cui si slega dagli altri aggettivi, si riempie, proprio nella sua nuova e indeterminata dimensione, di nuovi valori: artistici (perché ciò che ascoltiamo è ispirazione, cioè arte, realizzata con competenza e individuata con lavoro e cura), politici (fare, costruire e dare senso) e culturali. Quest’ultimo punto – lo diciamo anche per verificare la tenuta di queste piccole tesi – ricopre il ruolo principale nel discorso che i due musicisti intessono attraverso l’album. Leggendo l’intervista si ha, infatti, l’impressione che si stia parlando di questioni irriducibilmente complesse: le musiche da ballo, la metrica, il ritmo, la melodia, le musiche devozionali, polivocali, il richiamo alla scrittura, oltre che all’esecuzione, il confronto con altre composizioni ed elaborazioni, da Riccardo Tesi a Maria Gabriela Ledda, fino a Dollar Brand aka Abdullah Ibrahim. E la stessa sensazione la si ha ascoltando l’album, in cui tre strumenti (liuto cantabile, mandola e organetto diatonico) propongono variabili a ogni passo, tratteggiando una melodia fluida che incanta non solo per la bellezza, ma anche per lo spessore esplicito dell’intero percorso. L’invito all’ascolto vuole fare leva proprio su questa interessante corrispondenza tra il racconto qui sopra e la storia dentro l’album. Cercando di sostenere la dimensione di possibilità che la musica di Palmas e Vardeu ispira: si tratta di profondità, solidità, contemporaneità. sighida.bandcamp.com/album/sighida-2


Daniele Cestellini

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