Anouar Brahem – After The Last Sky (ECM, 2025)

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Prodotto da Manfred Eicher, l’album è stato impeccabilmente registrato dal quartetto in piena primavera, a maggio del 2024, nell’Auditorio “Stelio Molo” della Radio della Svizzera Italiana, a sette anni di distanza dall’ultimo lavoro di Anouar Brahem, “Blue Maqams”. Rispetto al quartetto del 2017, esce la batteria Jack DeJohnette ed entra il violoncello (per la prima volta nella paletta sonora disegnata da Brahem) di Anja Lechner. Gli altri due compagni di viaggio sono il pianista Django Bates (nella squadra ECM, in soli sette album, dal 1986) e Dave Holland, collaboratore di Brahem fin da “Thimar” del 1998 e l’unico a firmare a quattro mani con il compositore tunisino uno degli undici brani, il gioioso “The Eternal Olive Tree”, eseguito dai soli Brahem e Holland che danno vita ad un dialogo caratterizzato da ritmi, timbri e dinamiche che suggeriscono una comunicazione telepatica fra i due. È lo stesso Brahem a suggerire la crescita di un albero come la metafora più vicina al suo lavoro di compositore e musicista, sottolineando l’analogia fra il modo parallelo con cui rami si estendono in superficie, mentre le radici scavano sempre più in profondità nella terra e il suo viaggio artistico, cominciato discograficamente con “Barzakh” nel 1990. “Oggi i materiali sonori che mi sembrano particolarmente trasformabili e stimolanti sono quelli che combinano tradizione e modernità” osserva Brahem. “Per esempio, i maqam arabi, che sono il cuore della mia identità musicale, mi affascinano per la loro ricchezza melodica e la loro capacità di integrarsi in contesti musicali contemporanei. Offrono un terreno infinito per la sperimentazione. Trovo entusiasmante accostare queste
antiche strutture modali agli approcci armonici del jazz, creando un dialogo tra passato e presente, tra culture e stili”
. La musica di matrice araba resta, dunque, la fonte primaria del suo lessico, motore del confronto con altri repertori e con le diverse declinazioni della dimensione improvvisativa, resa esplicita in chiave jazz dai contributi di Bates e Holland. Dal canto suo, Anja Lechner viene dalla musica classica occidentale e trova un terreno di interesse comune con questo gruppo proprio nell'improvvisazione. Il suo violoncello è, spesso, la voce che da corpo alla melodia principale lungo i diversi brani. Frequenta da tempo le composizioni di Brahem che ha saputo inserite alcune nei programmi dei suoi concerti e nelle collaborazioni con il pianista François Couturier, (con Brahem nell'album “Lontano”). Proprio al violoncello, sostenuto dal piano di Bates, è affidata la composizione che apre l'album, “Remembering Hind”, sentito ricordo di Hind Rajab (3 maggio 2018 - 29 gennaio 2024) la bambina palestinese di cinque anni crudelmente uccisa nella Striscia di Gaza (nonostante il tentativo di intervento della Palestine Red Crescent Society) dall’esercito israeliano che aveva già ucciso sei membri della sua famiglia e due paramedici giunti in suo soccorso. Il titolo dell’album, “After The Last Sky”, rimanda a un verso del poeta palestinese Mahmoud Darwish che chiede “Where should the birds fly, after the last sky?” (Dove
dovrebbero volare gli uccelli dopo l’ultimo cielo?). Nel 1986, “After the Last Sky” fu scelto come titolo per un libro che legge la storia palestinese in termini musicali, scritto da Edward Said, l’autore di “Orientalismo”. L’attenzione e il dolore per il genocidio a Gaza e la sofferenza palestinese vengono richiamati in altri due brani: il primo è uno dei quattro brani più estesi (intorno agli otto minuti), “The Sweet Oranges of Jaffa”, in cui il suo oud offre una personale narrazione, sia senza accompagnamento, sia sostenuto da un ostinato di contrabbasso; il secondo, “Edward Said's Reverie”, ripropone il duo Lechner-Bates a evocare un tempo sospeso, uno spiraglio che richiama lo sguardo acuto di Said, fondatore nel 1999 con Daniel Barenboim della West-Eastern Divan Orchestra e della Fondazione Barenboim-Said a Siviglia, promotrice di progetti di educazione alla musica e attraverso la musica nel Mediterraneo. Proprio lo sciabordio delle acque del Mediterraneo è evocato dal brano finale, “Vague”, quasi una “firma” ricorrente da parte di Brahem che l’aveva già incluso in “Khomsa” e “Le Voyage de Sahar”. 


Alessio Surian

Foto di Sam Harfouche (1) e Marco Borggreve (2)

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