L’umorismo ebraico

Nel mondo occidentale una massa di persone cresciute nella fede cristiana, ha riconosciuto qualcosa di sé, è stata toccata nel profondo da questi suoni, con una tale intensità che ha iniziato ad ascoltarli, canticchiarli, raccoglierli, arrangiarli nei folk club da nord a sud. Ieri si trattava degli sperduti villaggi ucraini di Kobeliaki, Karapchiv, Mezhyrichka, oggi sono Melbourne, Los Angeles, Toronto, Berlino, Roma... quasi si trattasse di un immaginario ritorno a casa, ma in una terra mai vista, che potrebbe anche non esistere oltre il punto in cui viene evocata dalla musica. Ci sono attualmente voci klezmer maschili trascendenti come quella di Lorin Sklamberg e voci femminili accostate a ovest a quella di Edith Piaf e a est a Maria Tănase. Il repertorio askenazita gode di una notevole abbondanza di strumenti e stili, mentre quello sefardita, raccolto perlopiù da informatori singoli che cantavano privi di accompagnamento musicale, non può che risultare speculativo dal punto di vista storico. I primi suonavano in ogni festa o matrimonio (“khasenes”), quasi ogni città possedeva il proprio ensemble musicale (“kapelye” o “khevrisa” o “klezmorim”), molte arie erano improntate al chassidismo religioso sorto nel XVIII secolo come movimento di rinascita spirituale in Ucraina occidentale e rapidamente diffusosi in tutta l'Europa anche grazie alla danza. L’antico Rabbino Capo romano Rav David Prato sosteneva che “la mentalità sefardita è più geniale, più sintetica: il contributo dei sefarditi alla letteratura, alla poesia, alla filosofia, alla scienza è stato potente, colossale. La mentalità aschenazita è meno geniale ma più analitica". Venivano originariamente utilizzati violino, contrabbasso e tsimbl nell’est della Polonia, in Ucraina, Transilvania, Bielorussia. Da questo trapezoidale, leggero e mistico strumento, che un tempo conobbe un successo pari a quello del violino e di cui esistevano molte forme e taglie, nascerà un giorno il pianoforte. I suonatori zigani lo utilizzano ancora ampiamente in Ungheria, Moldavia e in tutti i territori dei Carpazi. Nel resto d’Europa risulta conosciuto sotto vari nomi: tympanon, hammer dulcimer, hackbrett, dulcémele amartillada, discende dal salterio e con molte probabilità trae origine in Cina, da dove arrivò prima in India, poi in Iran dove divenne santur e infine in Grecia (santouri). Verso la fine del Medioevo fu popolarissimo anche in Germania, Svizzera e Boemia, mentre all’inizio del XVIII secolo gli Ebrei lo introdussero in Galizia. I klezmerim delle
orchestrine lo suonavano sovente in piedi nelle cerimonie matrimoniali, fissandoselo alle spalle tramite corde o rudimentali cinture. Una parte di questi musici, di cui si parla raramente, erano donne che si esibivano regolarmente nelle strade, nelle corti e nelle feste un po’ dappertutto nell’Europa centrale, non senza difficoltà (vedi il dramma “Le Streghe di Lublino”, basato su fatti realmente accaduti e riguardanti la vita delle ebree nell'Europa del XVIII secolo). Sul finire del XIX secolo il violino aveva un ruolo preponderante e i gruppi comprendevano generalmente rullante o tamburino, violoncello, clarinetto, tromba. Ma all’inizio del nuovo secolo questi ultimi due iniziarono a prendere il sopravvento e il violino sovente veniva sostituito con un accordéon. La maggior parte dei klezmerim aveva posseduto in origine uno statuto precario e sottopagato all’interno dei miserabili shtetl, risultando appena un gradino sopra i facchini. Ma grazie a tutto quel viaggiare oggi la musica klezmer unisce e ingloba nigunim chassidici, musiche classica, zigana, balcanica, motivi sefarditi, arabi, free-jazz occidentale. Oltreoceano, anche fuori dagli avanguardistici dischi della portentosa, e oramai storica, collana “Tzadik Radical Jewish Culture”, esistono oggi artisti straordinariamente impregnati di lucida critica sociale come il gruppo canadese “Black Ox Orkestar”. Musicisti e compositori che perpetuano la tradizione creando canzoni originali, in inglese e in yiddish, denunciando i contemporanei problemi dell’umanità e le incombenti minacce delle moderne società. Così come un tempo facevano gli anonimi compositori che
commentavano gli eventi all’interno dell’Impero Ottomano. In una specie di telegiornale ante litteram, sempre in relazione flessibile e creativa con l’ambiente non-ebraico che li circondava. Oppure durante i periodi bellici e post-bellici più recenti, come ben evidenziato dai due esempi di “Arvoles lloran por lluvias” e “Hey! Zhankoye”, due canzoni molto diverse tra loro. La prima, un lamento d’amore giudeo-spagnolo, il cui ritornello veniva anche cantato dagli ebrei di Rodi 1 durante le forzate deportazioni a Auschwitz-Birkenau della seconda guerra mondiale “Gli alberi piangono per la pioggia e le montagne per il vento, lo stesso i miei occhi piangono per te, amore mio. Che ne sarà di me? Vado a morire in un paese straniero. Tu sei bianca, bianchi sono i tuoi abiti, bianco è il tuo corpo, bianchi sono anche i fiori che cadono sulla tua bellezza. La pioggia è caduta e ha bagnato la strada e il cortile. Va a dire al mio amore che quest’acqua viene dai miei occhi”. La seconda, interpretata anche da Pete Seeger nel 1957, canzone allegra dell'era sovietica che elogia la vita degli ebrei all’interno delle fattorie collettive di Crimea. Zhankoye negli anni ‘30 del secolo scorso era un villaggio ebreo che fu completamente distrutto dai nazisti durante la guerra “Quando andate a Sebastopoli, non lontano da Simferopoli, troverete un posticino, per chi cerca nuovi piaceri è il luogo migliore dei luoghi, si chiama Zhankoye…”. Dal canto suo, la sfera di influenza della musica sefardita risultava inizialmente circoscritta alla parola della Bibbia. La sua localizzazione geografica appariva indefinita finché la Genesi non indicherà la via e gli Israeliani lasceranno la Terra dei Padri. Solamente con
il trascorrere dei secoli il termine “sefardita” ha guadagnato significati culturali, religiosi e storici. Più di duemila anni fa gli Ebrei fuggiti da Nabucodonosor dopo la distruzione del tempio di Salomone, conobbero la loro prima deportazione, il cosiddetto Esilio Babilonese che li porterà a raggiungere il Mediterraneo. Fin dai tempi dell’Impero Romano risulta evidente la loro significativa presenza nella penisola Iberica, le comunità ebraiche della Spagna medioevale, sempre più legate agli emirati musulmani (specialmente al califfato di Cordoba), contavano musicisti in tutte le corti castigliane del XIII e XIV secolo. La comunità era formata sia da antichi schiavi liberati dai Romani (i libertini o bertini) che da immigrati, transitati per il nord Africa, in fuga dopo una rivolta mancata contro l’Impero. Già nel tardo Medioevo e nel Rinascimento, le ballate e le romanze erano divenute popolari e la cultura giudaica attribuì loro ancora più importanza, contribuendo alla creazione di quel grandioso affresco vivente di vita lontana nel tempo, che nessun editto dei miserabili regnanti Ferdinando e Isabella, è riuscito e riuscirà mai a cancellare. Le loro parole sono trame di un telaio multi-millenario che la musica rende misteriose e sensuali e non si limita unicamente a Bibbia, diaspora, Olocausto e Israele. Anche il teatro musicale yiddish (che può essere considerato come il precursore della rivista e della commedia musicale moderna) ha fornito un gran numero di melodie. Basta pensare alla già citata, popolarissima “Bei Mir Bistu Sheyn” per comprendere l’impatto e il processo di assorbimento che l’antica musica dei klezmorim può avere avuto all’interno del mondo dello spettacolo americano, per poi finire nei teatri del mondo intero. Un brano d’amore inizialmente proposto dal duo afro-americano Johnny and George al pubblico ebraico in villeggiatura negli alberghi dei Monti Catskill, negli Stati Uniti orientali (“se anche tu
fossi nera come un morto...per me sei bella, fantastica, unica al mondo, più preziosa dell’oro”). Quando il compositore Sholem Secunda per una manciata di dollari, nel 1937, ne vendette i diritti e venne registrata una versione dalle Andrews Sisters (celebre complesso vocale non ebraico) il successo fu immediatamente planetario. La storia di Sholem parte dal nulla ed è identica a quella di tutti gli altri scappati dai pogrom russi. A soli tredici anni la sua famiglia fu costretta a emigrare negli Stati Uniti da quella che oggi è l’Ucraina, arrivarono a New York nel gennaio del 1908, passeggeri di terza classe di un enorme transatlantico a turbina. Nella metropoli americana divenne un “khazn” (cantore-bambino) e quando, crescendo, la sua voce mutò, studiò musica, teatro comico, composizione, direzione d’orchestra, fino al 1932 quando scrisse per un musical di Brooklyn, la strepitosa melodia di “Bay Mir Bistu Sheyn” su testo di Jacob Jacobs. Ma non dimentichiamo che, all’interno di un altro musical, fu anche co-autore di “Dos Kelbl” (Dona, Dona), canzone basata su un brano popolare polacco, che nessun gruppo klezmer esclude mai dal proprio repertorio. E che il mondo occidentale ha conosciuto per essere stata portata al successo da Claude François, Donovan, Herbert Pagani, Joan Baez... tradotta e interpretata in inglese, tedesco, italiano, russo, svedese, catalano, ungherese, finlandese, polacco, giapponese, cantonese, vietnamita... 

Flavio Poltronieri
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(1) Nelle isole del Dodecaneso quand’erano occupate dall’Italia fascista, si consumò un dramma umano della Shoah nel Mediterraneo. La comunità ebraica, ben integrata nel territorio da centinaia di anni, venne spazzata via in un solo giorno, il 23 luglio 1944. Milleottocento persone furono prese con l’inganno, condotte al porto e caricate sulle navi per essere avviate al campo di sterminio. Sarà questo il viaggio più lungo di tutte le deportazioni europee. 

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