Piemonte, provincia di Torino: le Valli Valdesi si stendono in direzione ovest, dalla pianura pinerolese alle alpi francesi lungo il solco dei torrenti Pellice, Chisone e Germanasca. Sono valli verdi di pascoli e alquanto esterne ai grandi flussi turistici e commerciali, in quanto non attraversate dalle arterie di traffico che poco più a nord portano in Francia attraverso i trafori del Frejus e del Monginevro.
Ma sono valli cariche di storia e di cultura: i loro boschi e i loro sentieri, come le loro borgate di pietra antica sparse sulle pendici sono disseminate di tracce materiali e di luoghi della memoria (malghe, combe, rifugi, luoghi di culto, scuolette delle frazioni ecc.) che segnano la vita dura e travagliata di quelle comunità aderenti al culto riformato del valdismo, che in un contesto cattolico e politicamente avverso, per secoli hanno lottato per difendere la libertà di fede e di pensiero.
Questa premessa aiuta a comprendere perché le valli pinerolesi vengono a rappresentare un'area abbastanza centrifuga rispetto al patrimonio di canto popolare piemontese (quello codificato dal Nigra) e settentrionale, e spiega, di conseguenza, la loro scarsa o nulla presenza nelle antologie e nelle mappe conoscitive della realtà etnomusicologica regionale e nazionale.
Insomma, da una parte la posizione geografica transfrontaliera, dall’altra la situazione linguistica francofona dovuta alle antiche dominazioni francesi, ma soprattutto l'appartenenza al credo valdese, culto riformato diffuso nei paesi d'oltralpe, rendono remota, relegandola quasi in un limbo straniero, la cultura popolare di questa parte di civiltà alpina piemontese.
Sui repertori di canto di questa enclave culturale e linguistica avevamo finora una conoscenza a macchia di leopardo, dovuta alle ricerche pionieristiche di studiosi novecenteschi come Federico Ghisi (1901-1975) ed Emilio Tron (1904-1963) e alle più tarde proposte di gruppi musicali folk, come La Cantarana di Pinerolo, o di animazione teatral-musicale come il Gruppo Teatro Angrogna guidato da Jean Louis Sappé.
Ora questo testo, dovuto alla cura di Giovanni Bonino, Agostino Calliero e Paola Dema, ci rivela le risultanze di una ricerca compiuta in anni precoci (1967-69) in Val Germanasca, con epicentro Prali, e getta una luce inedita sull’antica pratica di canto di queste popolazioni valligiane, di cui la registrazione sonora ben evidenzia le peculiarità: i prestiti esterni (soprattutto dalla Francia), gli impasti espressivi, la stratificazione di modelli testuali e melodici, l’alternanza di generi e forme differenti. In più, ci fa toccare con mano la coesistenza dei registri dell’oralità e della scrittura, strutturalmente legata alla consuetudine di trasmissione scritta dei canti tramite i “Cahiers de chansons” redatti in ambito famigliare.
Una tradizione, questa dei Canzonieri manoscritti, non esclusiva di questa zona, in quanto in uso anche in altre regioni dell’Italia settentrionale come il Trentino 1, ma qui particolarmente diffusa perché sostenuta dall’opera di alfabetizzazione dei barba, cioè i maestri valdesi ambulanti che, a partire dal Settecento, portavano la cultura primaria anche nelle borgate più sperdute, sulla base del principio, proprio della religione protestante, dell’accesso diretto al testo biblico.
Avviata a metà degli anni '60 del secolo scorso da due appassionati della montagna, Giovanni Bonino (1936-2023) e Agostino Calliero (1939-2017), questa ricerca territoriale intensa e partecipe, anticipa di un decennio le più variegate inchieste sul campo del gruppo La Cantarana di Pinerolo (1977-1989) che comprende canti monodici, canti polivocali e brani strumentali (soprattutto danze tradizionali), proseguite poi, nella piana un poco più a sud, da due gruppi di base come Da pare ’n fioeul di Bagnolo Piemonte (Dino Fenoglio) e Mare Tèra di Barge (Giuseppe Martellotto).
Si tratta di indagini locali quasi sempre spontanee e non collegate fra loro, né coordinate in seguito da tentativi di messa in rete, sempre complicati e difficili da concretizzare in mancanza di una cabina di regia. Con il rischio, quindi, di frammentazione localistica e addirittura di dispersione e obsolescenza di un importante giacimento culturale.
Il corpus dei questa pubblicazione è l’indagine etnomusicale svolta sotto l’egida di un coro, la Badia Corale Val Chisone, nata a Pinerolo nel 1967, con il precipuo intento, da parte dei coristi, di “cercare, registrare, trascrivere, e soprattutto imparare a cantare le vecchie canzoni della loro terra, che già allora quasi più nessuno ricordava” (p.39).
Nel presente volume, prima dell’antologia dei canti, si possono leggere alcuni utili testi di introduzione: note sull’inquadramento storico-culturale dell’area (G. Bonino) e sulla situazione linguistica dell’area (M. Rivoira), sulle ricerche di musica popolari nelle valli (D. Tron), sulla ricerca della Badia corale Val Chisone (P. Dema), su folklore e società post-industriale (G. Bonino).
Dopo un ricco e interessante inserto fotografico, si apre l’antologia, a cura di A. Calliero e P. Dema, che riporta 120 canti con trascrizioni musicali, testi e note, divisi in 11 categorie tematiche: canti di argomento storico, canti di vita militare, canti di prigionia e persecuzione, canti a tema religioso, “Complaintes”, canti d’amore, canti di ambiente alpino, canzoni burlesche, “Chansons à boire”, canti nuziali, canzoni a ballo.
Ad una prima sommaria analisi, nei canti di argomento storico si può constatare una prevalenza dei temi militari e di guerra (e se ne può comprendere la ragione), così come sembra prevalere, come epoca storica, il Settecento, cui si riferiscono testi come “Malbrough”, “Le roi et le prince de Conti”, “Chanson de l’assiette”, “La bataille des trois empereurs” ecc. Sono canti che rievocano battaglie, assedi, eserciti in campo, gesta di principi e generali, ma che esaltano anche la resistenza e la lotta popolare in difesa della propria terra. Valga come esempio il canto 25:
L'ennemi a passé la frontière / à détruit nos maisons et nos champs
Défendons le pays de nos peres / il faut vaincre ou mourir bravement.
La maggioranza dei testi è in francese, e in tale contesto paiono spaesati i pochi canti in italiano (“Mamma mia voglio marito”, “Teresina e Paolinetto”, “Il soldato italiano”, ossia “Attenti attenti che la tromba suona”) derivati da fogli volanti da cantastorie, così come qualche sparuto canto in piemontese, tipo “Ij alpini”, “La polenta e Bertrandò”, una delle poche ballate nigriane della raccolta.
In tanta dovizia di documentazione, unico limite, a mio parere, la mancanza di traduzione dei testi francesi e di qualche ulteriore informazione sui singoli canti.
Accanto alla registrazione etnofonica sul campo, nel corso degli anni la Badia corale ha raccolto anche 26 preziosi cahiers provenienti dalle Valli Pellice, Chisone e Germanasca.
Siccome i cahiers riportano unicamente il testo letterario, la melodia dei canti si è potuta ricavare solo dalle lezioni sonore attinte dalle registrazioni magnetofoniche, di cui si offre una esemplificazione nelle 49 tracce audio storiche riportate nel cd allegato al volume.
Chi sono gli autori di questi canti? A fronte dell’anonimato pressoché totale, la tradizione popolare fa menzione di alcune figure leggendarie di cantori, riconosciuti interpreti di un ethos collettivo, come David Michelin Salomon, cantastorie cieco originario di Bobbio Pellice, attivo nella prima metà del secolo XVIII, cui si attribuiscono sia la “Chanson de l’Assiette”, sia “Le roi et le prince Conti” che celebra l’assedio di Cuneo del 1744 da parte di Francesi e Spagnoli.
La folta presenza di Cahiers (il censimento cui sta dedicandosi Elisa Salvalaggio ne enumera quasi 50) consente di analizzare un repertorio che rimanda a remote fasi compositive, nelle quali l’aura di quasi sacralità attribuita a questi manoscritti contribuisce alla conservazione di un patrimonio espressivo contrassegnato da una formalizzazione assai rigorosa.
Per fare un esempio, si pensi che il “Cahier Richard”, di fine Ottocento, composto di 226 pagine manoscritte, contiene da solo 361 canti, qua e là illustrati da disegnini, fregi, cornicette, capilettera decorati.
Questa insolita presenza di canti diligentemente trascritti dalle generazioni precedenti, porta a far prevalere la comunicazione scritta rispetto a quella orale, per sua natura più soggetta a fenomeni di obsolescenza, come l'esperienza sul territorio ha potuto sperimentare concretamente. Paola Dema, che dei tre autori è l'unica superstite (il volume è uscito nel 2019, dopo una lunga gestazione, ma la pandemia ne ha ostacolato promozione e circolazione), mi spiega che nel caso del Cahier Richard, comprendente 361 canti, se il suo autore “Pierinet” (classe 1878) li sapeva tutti, il figlio Aldo (classe 1904) ne conosceva molti ma non tutti, suo figlio Sergio la metà, le nipoti nessuno. Nel giro di quattro generazioni, insomma, vale a dire nel corso di un secolo all'incirca, si assisteva al progressivo smottamento della memoria tradizionale, sino al suo tracollo totale.
Nel retroterra di questo patrimonio di canti si coglie un carattere elegiaco e un tono letterario che rimandano a modelli di espressività religiosa e popolare degli ugonotti di Francia, vale a dire ai Salmi cinquecenteschi di Marot e di Théodore de Bèze: di qui proviene il loro carattere di canti-bandiera e canti-profezia, che entrano nella vita quotidiana del popolo di queste valli e fungono da conforto e stimolo alla resistenza.
La trasmissione dei testi codificata dal supporto scritto garantisce la permanenza di canti arcaici e di notevole estensione: si pensi che alcuni canti narrativi tipo le “Complaintes”, lamentazioni di argomento storico o di carattere pedagogico, possono estendersi per un numero considerevole di strofe, da 30 a più di 90 addirittura, come “La complainte de Joseph et ses frères”.
Nel 1947, dalla collaborazione di Ghisi e Tron, esce la prima pubblicazione corredata da trascrizioni musicali per voce e pianoforte, “Anciennes chansons vaudoises”, raccolta che privilegia le canzoni di carattere storico. Ma certamente il lavoro più completo, condotto con rilevazione etnofonica, è quello svolto da Emilio Tron (1904-1963), che aveva iniziato a registrare con un magnetofono “Geloso” tra il 1958 e il 1961, prima in val Pellice, poi nelle valli contigue. La sua monumentale raccolta, dal titolo “Chansonnier des Vallées Vaudoises”, che l’autore non fece in tempo a pubblicare, è conservata presso la Società di studi valdesi di Torre Pellice e comprende 463 titoli ripartiti per generi. Oggetto di una serie di tesi di laurea dal 1966 al 1994, e ora integralmente digitalizzata, l'auspicabile prossima sua pubblicazione sarà di imprescindibile importanza per la conoscenza della storia e della cultura popolare dell'area valdese.
In questo volume di “Voci e canti della Val San Martino”, la Badia corale Val Chisone prosegue il lavoro rigoroso di edizione filologica dei canti condotta da Ghisi e Tron, la cui attenta analisi di riscontri bibliografici di varianti dei canti porta a rinvenire analogie e corrispondenze non tanto con il canzoniere piemontese, quanto con i canti di un'area che si estende ai due versanti delle Alpi francofone. Non tanto Nigra 1888, dunque, quanto Puymaigre 1865 (“Chants populaires recuellis dans les Pays messin”), Tiersot 1903 (“Canti del Delfinato e della Savoia”), Coirault 1942 (“Notre Chanson Folklorique”).
Come conclusione, questo libro non fa che ribadire il concetto che le montagne non sono barriere ma tramiti, vie di transito, di passaggi e di scambi culturali, economici, religiosi ecc., confermando, se ancora ce ne fosse bisogno, la specificità dell'area valdese come spazio storico di esistenza autonoma e nello stesso tempo vitale bacino di confluenza, emanazione e intersezione culturale.
Franco Castelli
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1 Vedi Quinto Antonelli, “Storie da quattro soldi. Canzonieri popolari trentini”, prefazione di Roberto Leydi, Trento 1988.