Insignita del Premio Tenco come Operatrice culturale, la nostra Caterina Caselli, elegantissima e sorridente sul palco, riceve l’onorificenza dalle mani di Stefano Senardi del Direttivo del Club, mentre la Siae offre il suo riconoscimento a Ivan Graziani attraverso due artisti d’eccezione, i suoi figli Filippo e Tommaso, che omaggiano il padre con una esecuzione perfetta di alcune sue perle: “Pigro”, “Lugano addio”, “La rabbia” e “Marinai”. Un riconoscimento recentemente costituiti dal Club Tenco è il Premio Yorum, ispirato all’omonimo collettivo turco i cui membri sono perseguitati dal regime del Paese per la denuncia incessante della violazione dei diritti del loro popolo, una lotta che nel 2020 costò la vita a due di loro, Helin Bölek e İbrahim Gökçek, all’esito di un lunghissimo sciopero della fame mentre erano in carcere con l’accusa di terrorismo; quest’anno è stata grande la gioia di vedere tra gli ospiti Umut Gultekini e Sena Erkoc, due componenti del Grup Yorum riparato in Germania dove sta ricostituendo il suo piano di azione artistica contro ogni persecuzione, che consegnano il riconoscimento al rapper iraniano Toomaj Salehi nelle mani di Parisa Nazzari del movimento Donna, vita, libertà in sua vece, essendo il rapper tuttora rinchiuso in carcere con l’accusa di corruzione per aver scritto e declamato canti contro il regime; Toomaj riesce a far arrivare ai presenti in sala e al Club Tenco un messaggio di ringraziamento attraverso il rapper Kento che si sta battendo per la sua liberazione e che si esibisce qui con la sua “Free Toomaj”. Ancora un Premio Yorum viene consegnato, con due anni di ritardo (a causa dell’impossibilità a presenziare a suo tempo), al russo Jurij J. Ŝevĉuk, artista molto scomodo per il regime sovietico. Torna infine, dopo lunga assenza, il Premio I suoni della canzone, dedicato a musicisti che hanno collaborato con grandi cantautori caratterizzandone il suono con la loro cifra stilistica; un premio che fu in precedenza di strumentisti come Fausto Mesolella ed Ellade Bandini, e che quest’anno viene consegnato a Tullio De Piscopo, artista che ha al suo attivo un numero impressionante di album
(nell’ordine delle migliaia) e collaborazioni di livello stellare in ogni parte del globo terrestre: un riconoscimento dovuto. Ed eccoci alle Targhe, l’ambito riconoscimento riservato alla canzone d’autore italiana e assegnato – giova sempre ricordarlo – da una giuria di giornalisti e critici musicali specializzati esterni al Direttivo del Club Tenco, seppure da questo invitati a farne parte secondo criteri di riconosciuta preparazione e indipendenza. Dunque, ecco i vincitori che hanno ricevuto la Targa e si sono esibiti all’Ariston: partiamo dal miglior Album assoluto, individuato in “È inutile parlare d’amore” di Paolo Benvegnù: accolto dalla critica con un sospirato “finalmente!”, l’artista milanese raccoglie con questo premio tanti anni di ricerca musicale che comincia con gli Scisma nei primi Anni Novanta, attraversa la collaborazione con Marco Parente, passa per altre importantissime collaborazioni (citiamo fra tutte Stefano Bollani) fino all’esperienza di solista a partire dalla prima metà degli Anni Zero: bellissimo trovarlo all’Ariston con questo lavoro, prezioso quanto uno dei suoi tanti, sì, ma c’è un tempo per tutto e quest’anno è arrivato il suo. La Targa per l’Album in dialetto è andata a Setak, ovvero Nicola Pomponi, cantautore abruzzese che usa il dialetto come una poesia, esaltandone in senso espressivo i suoni e gli accenti e immergendo il tutto nella musica in un amalgama perfetto: “Assamanù” è il suo disco, il terzo, e molto avrà ancora da raccontare e far emozionare questo giovane artista. La targa per l’Opera prima è stata conquistata da Elisa Ridolfi per “Curami l’anima”, un album raffinato che si pregia della partecipazione di grandissimi musicisti: tra i tanti, citiamo Tony Canto (direzione artistica e chitarra), Alessandro D’Alessandro (organetto) e la voce di Eugenio Finardi, uno dei tanti importantissimi artisti con cui collaborò in passato. La Targa come Migliore interprete viene consegnata a Simona Molinari per “Hasta
siempre Mercedes”, omaggio a Mercedes Sosa interpretata con il rispetto e la grazia con cui questa bravissima artista sa sempre porgere il suo canto; l’album contiene anche l’inedito “Nu filo ’e voce” scritto per lei da Bungaro. Il riconoscimento per il Miglior album a progetto è per l’ottima operazione di Alberto Zeppieri con la direzione artistica di Grazia Di Michele, Morgan, Franco Simone e Federico Zampaglione, che ha raccolto e pubblicato in un album una serie di inediti di Franco Califano; per il disco, intitolato “Sarò Franco – Canzoni inedite di Franco Califano”, è stata chiamata a raccolta una schiera di grandi interpreti, da Alberto Fortis ad Amedeo Minghi, da Petra Magoni a Patty Pravo e molti altri oltre ai già citati direttori artistici. Per la Miglior canzone, infine, viene consegnata la Targa a Diodato per “La mia terra”, incalzante e appassionata testimonianza dell’artista per la sua Taranto, peraltro colonna sonora del celebrato film di Michele Riondino “Palazzina Laf”. Chiudiamo con gli ospiti il racconto e la disamina artistica: Tricarico ha fatto da filo conduttore delle tre serate con una breve incursione per ciascun giorno: aggirandosi sul palco con aria distratta e apparentemente innocua, è infine risultato il più tagliente ed esplicito tra gli artisti nel denunciare coraggiosamente fatti e misfatti recenti e rappresentando al pubblico le sue riflessioni mai di poco momento, strappando alla platea applausi liberatori; la giovane Irene Buselli, sofisticata e soffusa, propone un set di brani decisamente troppo omogenei ma sufficientemente interessanti da conquistare la curiosità di seguirne gli sviluppi; la coppia Simone Cristicchi-Amara, recentemente impegnata nello spettacolo dall’oneroso titolo di Concerto mistico per Battiato, si esibisce in un set ineccepibile: tecnicamente perfetti nell’intonazione e nelle intese armoniche, non perdono un colpo e la loro esibizione è applauditissima dal pubblico in sala; ma sulla qualità dei contenuti vi è molto da dire
e vi torneremo oltre. Approfittiamo del passaggio di registro per annotare che il “bravo presentatore” (bravissimo, per chi scrive) Antonio Silva quest’anno è stato affiancato dal giovane attore Francesco Centorame, adocchiato dal direttivo del Tenco per la sua passione per la canzone d’autore e per lo spettacolo che sta portando in scena al Piccolo di Milano con l’ultimo lavoro di Gaber e Luporini “Io quella volta lì avevo 25 anni”. Ricordiamo infine che nei pomeriggi sanremesi – oltre a una interessantissima tavola rotonda sul destino della canzone d’autore e del ruolo dei Premi a essa dedicati, promossa dal Direttivo nelle persone di Stefano Senardi e Paolo Talanca, alla presentazione di libri e dischi e del documentario “Satira e sogni” di David Riondino su Sergio Staino – nel quartiere storico della Pigna, all’interno della Chiesa di Santa Brigida, si sono svolti una serie di affollatissimi concerti: Andrea Tarquini ha portato in scena, come fa da anni con amore e dedizione, le canzoni di Stefano Rosso, cantautore e chitarrista romano mai abbastanza ricordato; si è esibito Giovanni Block, approdato alla Rassegna nel 2007, giovanissimo, che da allora ha sempre attirato a sé l’attenzione di pubblico e critica raccogliendo riconoscimenti e consensi; un omaggio a Sergio Staino e alla musica da lui più amata è stato preparato dal fisarmonicista Gianni Coscia e da Daniele Caldarini al pianoforte, Angapiemage Galiano Persico al violino, Lorenzo Colace alla chitarra e il figlio di Sergio, Michele, al contrabbasso; e si è esibito Wayne Scott, coinvolto da Sergio Secondiano Sacchi nella realizzazione di “Forty-Eight, 11 canzoni di Lucio Quarantotto” (Squilibri Edizioni, 2024), una delle sue originalissime intuizioni, in questo caso la versione in lingua inglese dell’opera di Lucio Quarantotto, cantautore misconosciuto ma non certo passato inosservato alle orecchie di geni come Dalla e De André, come della giuria del Tenco (fu Targa per l’Opera prima nel 1984 con “Di
mattina molto presto”); né il Club Tenco lo ha mai perso di vista, fino allo straordinario successo sanremese di “Con te partirò”, presentato da un giovane Andrea Bocelli, di cui Quarantotto firmava il testo; un successo che però non gli bastò per cambiare la sua drammatica percezione del mondo e a distoglierlo dal porre fine alla sua sofferta esistenza. Sul piano intellettuale e culturale – perché il Club Tenco è anche istituzionalmente e programmaticamente questo – appare in questi anni non all’altezza del proprio ruolo. Chi ne conosce la storia sa anche bene quanto il suo ideatore Amilcare Rambaldi avesse sempre tenuto alta, portandola con le sue stesse mani, la bandiera dell’impegno per la pace e per la dignità umana, mentre in questi ultimi anni, in cui l’intero pianeta è stato ed è sconvolto da eventi eccezionali nella loro drammaticità devastante, tra l’angoscia della pandemia e le guerre innescate in più luoghi e i massacri in corso, la Rassegna sembra partecipare alla grande rimozione collettiva decretata dalla comunicazione mediatica piuttosto che ergersi come voce altra di lotta e di denuncia di quanto è accaduto e sta accadendo in questo stesso momento. E se è vero che il suddetto Premio Yorum è un vero fiore all’occhiello della rassegna, tanto da apparire oggi – mi spingo a dire – come il “vero” Premio Tenco originariamente concepito e attualmente, almeno a tratti, molto depauperato, è pur vero che i due componenti del gruppo turco sono stati i soli ad avere avuto il coraggio – e di coraggio vero si tratta, nel loro caso – di gridare dal palco l’intento di lotta contro ogni fascismo, e fin qui è facile per il Tenco, ma pure contro il sionismo, e qui il gioco si fa duro. Un po’ come dire: io vi invito, ma ditele voi certe cose, ché noi ce ne guardiamo bene. Così, di pace si è parlato solo in quel momento e per voce di due ospiti, oltre che all’atto della consegna della Targa per la Miglior Canzone ad Antonio Diodato per iniziativa del giornalista Rai Fausto
Pellegrini, sulla linea segnata dell’impegno dolcemente incalzante e coerente dell’artista tarantino, che cantando la parola “rivoluzione” alza il pugno chiuso. E certo, Bennato non ha attinto a caso al suo repertorio portando certi pezzi sul palco. Ma nessun componente del Club ha afferrato oggi, con le proprie mani, quella bandiera affidata loro da Rambaldi; neppure è stata citata, in tre giorni, Giovanna Marini, che ha lasciato questo mondo nel maggio scorso: già Premio Tenco 1983, più volte ospite della Rassegna (l’ultima fu nel 2012 in occasione della consegna del Premio Tenco come Operatore culturale a Sandro Portelli) ottantasette anni di vita spesa al servizio delle lotte civili attraverso il canto e della ricerca musicale tra le voci di chi vive la Storia sulla propria pelle tra lavoro massacrante, fame, povertà e guerre. A parere di chi scrive, dunque, una postura non adeguata e non degna della missione culturale del Club Tenco. Non in questo momento storico. Nello stesso filone di rimozione collettiva appaiono alcune scelte di presenza in momenti dedicati proprio alla riflessione sull’arte della canzone e la sua valorizzazione in quanto patrimonio culturale, dove viene chiamato a moderare un giornalista come Andrea Scanzi che da tanti anni parla di canzone impegnata e del suo valore sociale, salvo, in talune recenti circostanze, rilanciare e proporre sulle proprie pagine chi si augura di vedere morire in massa (e male) alcune categorie di persone a suo giudizio meritevoli di tale atroce destino, per scrivere oggi di una persona facente parte di quell’umanità ragionevolmente sterminabile: “In questi giorni l’ho un po’ preso in giro, ma era affetto: lo stimo”; e soavemente, poi, definire la rassegna del Tenco come “un bel senso comune di società, arte e collettività”. Credo stia sfuggendo qualcosa. Oppure “Scurdàmmoce ‘o ppassat’”, per restare in ambito canzonettistico? Sul piano della valutazione artistica, poi, va da sé che ciascuno ha le proprie rispettabili idee, ma queste andrebbero quantomeno ben motivate quando ci si permette di liquidare un pilastro della
nostra più grande canzone d’autore quale è Mimmo Locasciulli – Premio Tenco quest’anno, ricordiamo – il quale a suo dire ha “salmodiato (mezz’ora…)” premettendo un ancor più offensivo “purtroppo”, mentre l’esibizione di Amara e Cristicchi viene elevata a “uno dei momenti più belli e forti che abbia mai visto”. Va bene tutto, si diceva, ma le parole sono importanti, in particolare in questo luogo, e vanno pesate. Torniamoci noi, dunque, sulla coppia Cristicchi-Amara. Ottima performance, si è detto. Ma prendendo le redini della critica musicale, non si può tacere sulla povertà dei contenuti: accolti come una sorta di maestri spirituali neppure fossero Battiato in persona – che per fortuna viene omaggiato dai due con “L’ombra della luce” che di contenuti ne ha da vendere – scomodando paroloni come magia, rito et similia (sarà stato l’inserimento di un canto in aramaico “in quanto lingua di Gesù Cristo”?), i due si sono esibiti in loro recenti composizioni: “Le poche cose che contano”, firmata da entrambi, che partendo da un “Ti sei mai guardato dentro?” si svolge in “il coraggio di scegliere da che parte stare”, “la sconfinata bellezza di un fiore”, “la fragilità che ti rende migliore” e via andando da un’amenità all’altra; la di lei ben costruita ma tanto bruttarella quanto melensa “Che sia benedetta” (ancora “parole sante”…), portata al successo da Fiorella Mannoia, e la di lui “Abbi cura di me”, in cui dalla citazione battiatiana contenuta nel titolo prosegue imperterrito e senza ombra di imbarazzo inanellando una lista di luoghi comuni (“Anche in un chicco di grano si nasconde l'universo”, “la natura è un libro di parole misteriose”, “l'orchestra delle foglie che vibrano al vento”, “ti immagini se cominciassimo a volare tra le montagne e il mare”…) talmente lunga che alla fine viene da chiedersi se ne manchi qualcuno. Mi fa ricordare una conferenza stampa in cui Sergio Staino andò su tutte le furie e alzò la voce contro un gruppo di ragazzi che avevano osato intonare una canzone con questi medesimi toni e immagini, dedicati peraltro a un noto sacerdote, ricordando loro nel suo durissimo rimprovero che si trovavano al Club Tenco; quella reazione così forte fu letta da alcuni astanti come uno scherzo dell’età, ma chi scrive ritiene ora come allora che fu invece un momento lucidissimo, da tenere sempre presente, e che tutti i protagonisti della Rassegna sanremese dovrebbero tornare a ricordare sempre dove ci si trova. Ché se neppure qui si sta attenti a tutelare il livello dei contenuti scrollandosi di dosso certe infatuazioni, beh, allora sarà davvero un peccato.
Alessia Pistolini
Foto di Fulvio Bruno
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