Sorvolando sul concerto inaugurale di matrice mancuniana di mercoledì 23 ottobre, tenutosi nella magnifica Bridgewater Hall, per il quale i presenti non sembrano essersi stracciati le vesti, iniziamo la panoramica con i concerti dell’Horizons Stage, termine ombrello coniato nell’edizione WOMEX di Cardiff (2013) per accogliere artisti del Regno Unito multiculturale e della Repubblica d’Irlanda. Lo scenario è stato la decoratissima Albert Hall, un tempo chiesa metodista, da anni riconvertita in una splendida sala da concerti. Ha aperto le danze Amy Laurenson, pregevole pianista delle Shetland, il cui stile oscilla tra influenze della sua terra d’origine, classiche e jazz, con un’originale interpretazione del pianoforte come strumento solista nella musica tradizionale. Il quartetto Gnoss (voci, violino, chitarre, whistle, synth, bodhrán e stomp), con base a Glasgow ma con due musicisti delle isole Orkney nella line-up, ha mostrato la sua abilità nel far interagire con energia brani tradizionali e sprazzi di Americana. Ci ha conquistati il set di Cerys Hafana, compositrice e polistrumentista che mescola, muta e trasforma la musica tradizionale del suo Galles, appresa dagli archivi, esplorando le qualità timbriche dell’arpa tripla (per qualche numero imbraccia la chitarra elettrica), con un uso misurato dell’elettronica. Anche Gwenifer Raymond, chitarrista acustica originaria del Galles, si mette in mostra con la sua musica che risente di influenze che vanno da John Fahey al blues e al folk appalachiano, senza trascurare il rock. In ambito di folk progressivo, il Córas Trio, da Belfast, decostruisce le danze tradizionali, ricomponendole con l’uso di linguaggi jazz e improvvisativi. Duttile nella voce quanto nell’approccio sonoro, Rioghnach Connolly e il suo dinamico gruppo Honeyfeet sono portatori di tessiture musicali eclettiche, dalle canzoni folk. Fusion interessante anche quella di N’famady Kouyatè, suonatore di balafon della Guinea Conakry, ma di residenza gallese. Non del tutto convincente, invece, l’incontro tra hip hop e fondo sonoro tradizionale irlandese di Strange Boy, rapper di Limerick, così come non ha mostrato appieno la potenza che si manifesta nei dischi il set degli afro-British Balimaya Project, da rivedere in un contesto diverso. Al WOMEX, per sorprese e
scoperte, spesso occorre rivolgersi alle raccolte esibizioni del Daycase Stage al Manchester Central. Si è incominciato con Aysanabee, polistrumentista, produttore e cantautore Oji-Cree, della First Nation dell’Ontario nord-occidentale. Il suo primo album è stato pubblicato dalla Ishkōdé Records, una delle prime etichette native e femminili del Canada. I suoi testi indagano nella memoria degli anziani (suo nonno in primis) e pongono l’accento su questioni scottanti, come la discriminazione e le violenze subite dai bambini nativi. Chitarrista eccellente, Aysanabee cede però troppo a un rock mainstream quando lascia la chitarra acustica per quella elettrica e l’elettronica. Di elettronica si avvale anche Ganna Gryniva, cantante e compositrice ucraina-berlinese. Combina il folklore ucraino con elementi improvvisativi. Il suo album Kupala (2023) è il frutto di una ricerca sulla ritualità tradizionale. I vertici dei set diurni si toccano con le polifonie del Pankisi Ensemble. Un quintetto femminile che, di tanto in tanto, si avvale del sostegno strumentale di fisarmonica e liuto pondar, preserva e sviluppa le espressioni vocali della musica cecena, tra cui canti epici, canti religiosi sufi e canzoni d'amore. Dal Malawi, il duo di ex buskers Madalitso Band. Si presenta con voci antifonali, chitarra ritmica a quattro corde, tamburo percosso col tallone e babatone, un basso slide dal manico molto lungo e dotato di una sola corda, che viene suonato in posizione distesa, con funzione melodica e ritmica. Prevale un singolo accordo nel loro sound; tuttavia, la loro esuberante esibizione è magneticamente esaltante. Sorprende anche il trio coreano Maegandang: due ragazze e un ragazzo – tutti e tre non superano i trent’anni d’età – che impressionano per la capacità di innovare le tecniche delle loro cetre gayageum e geomungo, del violino verticale haegeum e del tamburo. Riguardo ai concerti serali (aperti anche ai non delegati), distribuiti su cinque palchi, iniziamo subito con i top show (a nostro avviso) del Theatre Stage. Anzitutto, raccoglie
consensi unanimi il set di Ali Doğan Gönültaş. Il musicista curdo alevita canta con timbro ricco di sfumature, accompagnandosi al tembur, scavando in un canzoniere che attraversa il tempo. Insieme a lui è un trio di eccellenti strumentisti (duduk, ney, zurna, clarinetto e davul). Ci è piaciuta molto anche la performance dell’Ensemble Chakâm Un dialogo raffinato su : il târ dell’iraniana Sogol Mirzaei, il qanoun e il canto della palestinese Christine Zayed e la viola da gamba della francese Marie-Suzanne de Loye. composizioni costruite intorno ai modi del maqam, ai codici del radif con innesti di musica barocca. Si è ballato con gusto sulle note dell’Orchestra Baobab, cinquant’anni di carriera all’insegna del suono afro-cubano, e con il cantante oungan, etnologo e coreografo haitiano Erol Josué. Gran temperamento e una dose di teatralità animano pure la portoghese Cristina Clara, cantante e percussionista, proiettata nella fusione di idiomi tradizionali, ritmi capoverdiani e stilemi carioca. Agli Aviva Studios, un bello spazio culturale per le arti in un quartiere aperto alla creatività, sono stati allestiti tre palchi: Warehouse A e B, posti uno di fronte all’altro, e il palco dell’Off-WOMEX e della piattaforma Upbeat. Anche in questo caso, non possiamo non iniziare dalle esibizioni più entusiasmanti. Justin Adams (chitarra elettrica) e Mauro Durante (violino, voce e tamburello) hanno dato vita a un formidabile incontro che ingloba blues, rockabilly, post-punk, minimalismo, riff sahariani e ritmi del Salento. Si sono presi la scena pure i dirompenti ciprioti Buzz’Ayaz, che si muovono su uno sfondo electro, usano scale micro-tonali anatoliche con figurazioni psych-rock. Possiede grande verve la violinista e chitarrista irlandese Clare Sands, accompagnata dalle uilleann pipes di Conor Mallon. Fascinoso il minimalismo scandinavo-estone della fisarmonicista Tuulikki Bartosik. Le polifonie occitane del settetto Barrut sono interessanti nella loro combinazione voci-percussioni, ma ci si chiede se il filone iniziato con Lo Còr de la Plana e
proseguito con San Salvador e altri ancora non sia diventato un movimento un po’ inflazionato nel su dell’Esagono. Oltre i Pirenei, nella penisola iberica, Queralt Lahoz è una cantaora che fa convergere copla, bolero, jazz, hip-hop ed elettronica, mentre i cantabrici Casapalma (Irene Atienza e Yoel Molina) attingono al canzoniere popolare introducendo elementi elettronici. Diretti oltre oceano, incontriamo El Laberinto del Coco, che fonde senza soluzione di continuità i ritmi tradizionali afro-portoricani con le influenze contemporanee. Restando in area latinoamericana, degna di nota è la cantante e contrabbassista franco-colombiana Éda Diaz, la quale costruisce convincenti trame che attualizzano il patrimonio popolare della Colombia. Tra le altre artiste, si fanno notare il rock di matrice nativista della guatemalteca Sara Curruchic, lo spumeggiante neo-maloya della figlia d’arte réunionnese Votia, l’arab-indie rock della cantante e chitarrista palestinese Rasha Nahas, e la vibrante fusion di Elaha Soroor & Kefaya, iraniana, figlia di rifugiati afghani Hazara, featuring la chitarra dell’ottimo Giuliano Modarelli. Sempre tra gli altri incroci multikulti, incuriosisce il gruppo Ghazi & Boom.Diwan, fondato da Ghazi Al-Mulaifi, etnomusicologo, professore di musica e compositore, che collabora con il rinomato pianista cubano Arturo O’Farrill: vogliono traghettare nel nuovo millennio lo spirito del Khaleeji, la musica dei pescatori di perle kuwaitiani. C’è poi Kamakan di Mehdi Saki, che ha riunito musicisti nel suo progetto folk contemporaneo, attingendo alle tradizioni musicali del sud del paese e al patrimonio arabo, in un trio che annovera la compositrice iraniana Ava Rasti (basso, elettronica) e il polistrumentista francese Axel Moon (saz, rabab e synth). Ci sono i siriano-francesi Sarab, che mescolano musica araba, jazz e rock psichedelico. Fanno centro per outfit e teatralità, ma naturalmente anche per il loro sound i nippo-berlinesi Mitsune, che spingono i canti tradizionali min’yo verso prog e psichedelica.
Non poteva mancare il reggae revival con innesti di soul e hip hop generato dal poeta, produttore e cantante giamaicano Kabaka Pyramid. Tornando in Europa, è vincitrice dell’Award 24 della piattaforma Upbeat la fine chanteuse nord-macedone Zarina Prvasevda, un nome senz’altro da seguire. Infine, tra i musicisti dal continente africano primeggia Sahra Halgan, possente voce del Somaliland guida un trio francese (chitarra, tastiera vintage e batteria), espressione di un mélange che accoglie scale pentatoniche, ethio-jazz e fervore punk. Un set ben riuscito anche quello del chitarrista nigeriano Adédèjì, fresco del suo album “Yoruba Odysse”, dalla fisionomia afrobeat-jazz-funk. I BIM sono un collettivo del Benin che presenta al mondo l'eredità delle danze del culto Vodou. Infine, il canto di emancipazione de Les Mamans du Congo, incontro tra ninne nanne bantu, musica elettronica e hip-hop. Il Club Summit all’O2 Ritz ha offerto ritmi per i nottambuli. Su tutti, vogliamo segnalare il vorticoso etno-noise del serbo Lenhart Tapes. Sicuramente non è tutto quello che è accaduto nei cinque giorni di Manchester. E come potrebbe esserlo, con oltre sessanta showcase in parte sovrapposti? Vi rinviamo al sito del WOMEX per scoprire altre buone vibrazioni che non trovano spazio in questa sede. La mattina di domenica 27 ha avuto luogo il rituale commiato con le premiazioni: il “Professional Excellence Award” è stato assegnato agli attivisti di In Place of War, mentre tra le label è stato conferito il riconoscimento ancora una volta alla Glitterbeat Records (da segnalare nella classifica delle etichette discografiche, redatta sulla base degli album selezionati nel corso dell’anno dalla Transglobal World Music Chart e dalla World Music Chart Europe, il nono posto raggiunto dalla nostrana Zero Nove Nove). A seguire, il concerto di Nave Mãe, la band di Hermeto Pascoal, che non è intervenuto di persona (ma in video) per ricevere il “WOMEX Artist Award 2024”, ritirato dal figlio, il percussionista Fábio, come riconoscimento per i suoi 74 anni di carriera di musicista e compositore dalla straordinaria visione artistica. Infine, il passaggio di consegne: il prossimo anno il WOMEX ritornerà in Finlandia, a Tampere, dal 22 al 26 ottobre 2025.
Ciro De Rosa
Foto di Jacob Crawfurd, Eric Van Nieuwland e Yannis Psathas
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