Con l’avvicinarsi del nuovo millennio il gruppo rinasce a seconda vita, muta la propria direzione artistica, si orienta verso la forma canzone con vocalità femminile e ospiterà d’ora in avanti, una serie di dotate cantanti. Talvolta si tratterà di giovani sconosciute che ne trarranno buona visibilità in funzione della loro futura carriera solistica, altre volte saranno già affermate: Bea Palya, Ági Szalóki, Szilvia Bognár, Ági Herczku, Irén Lovász, Ági Szalóki, Klára Korzenszky, Erika Lázár, Zóra Hornai, Sári Bede. Tutto iniziò poiché nel 1999 l'etichetta tedesca Erdenklang, che aveva realizzato il cd Rosebuds In A Stoneyard come proseguimento di Világfa (1995) (dove Irén Lovász interpretava antiche folksongs ungheresi arrangiate e suonate dal multistrumentista László Hortobágy), chiese a Krulik di creare nuovi brani per la cantante. La proposta risultava allettante e divenne linfa nuova per Makám che venne riorganizzato e allargato nel numero dei musicisti e nella strumentazione. Particolarmente significativa risulta essere l’introduzione di un basso elettrico (per la prima volta al posto del contrabbasso) e dell’armonica a bocca, del tutto estranei alle sonorità precedenti. Il chitarrista rivisiterà con dolcezza finemente orientale e delicati tessuti etno-jazzistici, le canzoni scelte e “Skanzen” vedrà la luce quell’anno ma a cura della Fonó Records, in elegantissima veste grafica, come consuetudine dell’etichetta di Budapest. La maggior parte dei brani in questione ha origine moldave, metà repertorio è affidato alla voce calda, morbida e piena di sfumature della Lovász e l’altra metà a quella nitida, chiara e monocromatica di una altrettanto ammaliante, Szilvia Bognár. Zoltán l’aveva fortemente voluta dopo che era stata insignita (tra qualche inutile polemica), nel 1995, a soli diciotto anni, del titolo di Népművészet Ifjú Mestere (Giovane Maestra di Arte Popolare). Il risultato sarà talmente soddisfacente da far scoprire a Krulik tutto il potere dell’arcaica canzone ungherese che rigenerata in forma moderna, diventerà, da questo punto in avanti, il genere stilistico caratteristico di Makám fino all’alba dei giorni nostri. E lo stesso, oltre che per gli ascoltatori, dev’essere valso per Irén Lovász, se è vero che decise di fermarsi stabilmente con l’egyuttes per i due dischi seguenti “9 Kolinda” (2001) e “Szimbad” (2002).
Il contrabbasso viene reintegrato nell’ensemble fin dal primo, che contiene una serie di canti d’Avvento “kolinda”. Questo temine (dal latino “calendae”, come appare in un manoscritto polacco del XII secolo), equivale a “carol”, ovvero canto pastorale natalizio nato in epoca medioevale sulle arie di melodie popolari “L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito ha esultato nel Dio della salvezza. Perché ha guardato l'umiltà della sua serva: ecco perché tutte le generazioni mi diranno beata. Grandi cose ha fatto per me Colui che è potente e santo sia il Suo nome. Per salvare, per essere salvati! Canta, canta! Decora, decora!” (Magnificat). In origine il termine “to carole” aveva il significato di “ballare” e questi inni alla Natività del Cristo erano parte di rappresentazioni teatrali e funzioni religiose, alcuni andarono perduti, altri finirono per appartenere all’area conviviale che accompagnava le bevute in compagnia. Questi nove kolinda non hanno dunque funzioni esclusivamente ecclesiastiche o testi paradisiaci, sono stati abbondantemente utilizzati durante le questue di fine anno dai fanciulli di porta in porta in tutta Europa e contengono svariate immagini evocative profane “Quando il Messia abitava in mezzo a noi, andava di casa in casa chiedendo alloggio. Bussò coraggiosamente a un grande ladro di montagna - dammi un posto dove io possa riposare o mi vedrai morire, mi prenderò cura di te nella casa di mio Padre. Il grande ladro di montagna non ebbe pietà e lo scacciò nel deserto, con servi muniti di fruste. Allora Gesù Cristo prese la sua borsa, scrollando per bene bene la sua polvere per strada…” (Mikor A Messiäs). Erano, in ogni caso, sempre associati alle classi povere e analfabete della popolazione, non opera di cori o colti maestri, quanto piuttosto di artigiani spesso anonimi. Il che non ha impedito certo che sensibilissimi compositori del passato quali Fryderyk Chopin o Béla Bartók se ne appassionassero “Alba celeste bellissima, ramo fruttuoso. Aspettiamo da tempo tuo figlio sulla terra, gli abbiamo preparato un letto con morbido muschio verde, volevamo ricoprirlo bene con fieno profumato. Secondo noi non lo si fa nascere in un palazzo di marmo, noi ci hai fatto nascere in una piccola stalla…” (Mennyei Szép Hajnal). “Szimbad” dal canto suo, è un album di canzoni dedicato alla luce dell’infanzia, i bambini scoprono tutto
nel gioco evocativo dentro sé stessi, nell’incantesimo, nella musica delle sfere, sorgente di tutti i tipi di musica, come affermava Pitagora. “La kolinda rumena è quella bellissima canzone quando la vecchia neve di Natale cade sui tuoi capelli. Polka per i Polacchi, vino per i Russi. A Muska piace la vodka, il valzer è degli Svevi, mai dimenticare la danza kolo, hóra per i Bulgari. Al settimo tango sta arrivando la bellissima Milonga, non fare il puritano! Se sei ebreo, neve, la Torah il sabato, le prugne-Szatmár si esauriscono durante il Purim. Ballano i Csangós, vanno in giostra, se oggi ne hai voglia fai il giro della catena! La zingara ha tirato così forte che la corda si è spezzata, ha un umore diabolico, ha le stelle negli occhi'. Questa era l'ultima ora nella filanda e Dio benedica tutti i musicisti” (Fonó). Anche se la scelta di comporre un album per bambini non è da attribuire a Zoltán, le sue fiabesche parole e surreali immagini, frugando nelle profondità dell’anima, cercano di restituire una giusta proporzione alle cose, quasi si trattasse di una magia che tocchi le menti per risvegliare innocenze a lungo dimenticate “La pelle dell'ippocastano è spinosa, se lo rompi il seme germoglierà, se lo seppellisci nella terra nera l'anno prossimo ne crescerà un piccolo ramo. La pelle dell'ippocastano è spinosa, la piccola Gyurka ne ha trovato uno, la sua manina si è insanguinata, tuttavia lo ha conficcato nella fossa. La casa dell'ippocastano è spinosa, oggi apre la pista di pattinaggio nel boschetto, metto i miei pattini lucidi e cercherò la mia Gyurka. Se l’orco nero viene col suo sbuffo dalla gola a forma di imbuto, ti metterò un grosso mattone in tasca, quindi vai a cercare Gyurka” (Vadgesztenye). Nel 2003 Makám si lega a Folk Európa Kft. e produce “Anzix” che segna il ritorno di Szilvia Bognár, richiamata da Krulik mentre stava partecipando al gruppo Vándor Vokál e la affianca a Bea Palya e Ági Szalóki in un trio vocale formidabile. La cantante di Szombathely aveva appena conosciuto le canzoni bulgare, slave meridionali, croate, slovacche e corse e soprattutto veniva dall’aver sperimentato la polifonia, che nella musica popolare ungherese non esiste. Le canzoni del disco riflettono sul tema dell’allora da poco conclusa, sanguinosa guerra nei Balcani, una cruenta serie di conflitti armati che, pur non coinvolgendo propriamente il suolo ungherese, aveva toccato i vicini territori che un tempo componevano la Federazione Socialista Jugoslava: Serbia, Croazia,
Slovenia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia. Dopo quegli eventi tragici quel mondo si era dissolto, al prezzo delle vite di migliaia di persone trascinate a combattere tra genocidi, stragi, pulizie etniche “Cara mamma, l'alba è spuntata, l'esercito è in arrivo, cara mamma, l'esercito sta arrivando, sciabole sopra di me, cara mamma, come la luce del sole...sono portate le bandiere, cara mamma, come fitta foresta...si affrettano, cara mamma, contro il gran Sultano” (Édesanya, Kedvesem). La voce solista maschile di Zoltán interpreta unicamente lo straziante valzer conclusivo del disco che narra di un’altra ritirata, quella dell’esercito ungherese nel gelo delle rive del fiume russo: “Dall'ansa del Don soffia il vento della morte. Una pallottola mi sibila vicino all’orecchio: freddo, freddo, freddo! Oggi una bomba ha fatto breccia nel lato del bunker. Il tuo amico grida: vai avanti, vai avanti, vai avanti! Il vento, portalo con te, il nostro sonno notturno è ghiacciato. Affondiamo nella neve. Perché siamo venuti? Non lo so più. Se esistono gli angeli, qui adesso non ce ne sono. Solo diavoli che ci sparano addosso: allegri, allegri, allegri! È ancora viva mia madre? Ho ancora una casa e un paese? Qualcuno che mi ama e mi aspetta? L’estate è ancora lontana, i congelamenti si fanno sentire. Ci sono solo ghiaccioli nel mio cuore, potrei morire oggi” (A Don-Kanyar Felől). Il cd contiene in dedica un significativo passo tratto dal Libro dell’Apocalisse: “Poi un cavallo rosso si fece avanti. A colui che vi sedeva sopra fu dato il potere di rompere la pace sulla terra, di lasciare che le persone si uccidessero a vicenda. Gli diedero una lunga spada” (6.4). Appare anche la canzone popolare Ilju, che aveva simboleggiato un tratto distintivo dei primi Kolinda degli anni ‘70, con quel suo indimenticabile attacco corale, prima vocale e poi strumentale. Il testo risulterebbe tradotto in forma sintetizzata e in lingua ungherese ad opera del compianto poeta e scrittore svizzero, di origini ungheresi, László Nagy (1925-1978), direttamente dalla canzone originale tradizionale macedone Ajde Red Se Redat Kočanski Sejmeni. Narra le romantiche gesta di brigantaggio dell’eroe ottocentesco Ilju Haramia (“Ehi, si stanno radunando per andare in guerra i pagani di Kočani, dolce madre mia...ehi, ti
batterai, tesoro? Ilju Bandito... ehi, non c'è Ilju a prendere acqua a Kríva...servigli da bere nella città di Solun, bella ragazza macedone”). La musica di Krulik, seppur mantenendo principalmente i contorni delle sonorità tradizionali, torna ad avvicinarsi a quella degli anni ‘90, specialmente per l’uso dei fiati da parte di Balázs Dongó Szokolay, sempre presente all’interno dei più significativi progetti di folk magiaro degli ultimi decenni. Quasi sempre è l’occhio delle donne a descrivere gli orrori bellici: “Stanno abbattendo la foresta di Majtény, recintano il nuovo cimitero. Prendono poveri ragazzi, trasformano tutti in soldati. Per chi dovremmo rifare il letto domani? Invano restiamo qui a piangere, so che non lo riporteranno indietro. Che nessuno si rallegri, tesoro mio, quando ti saluto. Batti il colpo, se oggi tocca a me, domani toccherà a qualcun altro. Fermati, tesoro, ancora una parola, solo un ultimo bacio. Pensi che andrai lontano? Ci sono sette caserme, ogni settimana mille posti letto. Lì dormono i ragazzi, sono poveri anche nei loro sogni. Sognano che sia oramai troppo tardi, sognano lo straniero. Dormono ben chiusi come uccelli in gabbia…Nascondi il mio cuore nel tuo fiore. Portalo al nostro bambino, scopri cosa lo fa ammalare, rallegralo con il tuo profumo, aspetta invano una lettera...se prima di sera il suo cuore si spezzerà, sarà sepolto in terra straniera. Dove dovrei guardare, dov'è la sua tomba? Dove dovrei cadere singhiozzando, dove posso trovare la sua polvere morta, dove dovrei piantare il fiore? Mondo, mondo, strano mondo, dove cresce un buon ramo di nocciolo?... sconosciuti lasciate vivere anche noi!” (Katona Sírató). Szilvia Bognár rimane la cantante solista anche del seguente “Almanach” (2004), diario musicale di un sestetto ancor più anagraficamente ringiovanito e composto da canzoni “familiari” di Zoltán “L’India è nei cieli, Cuba sulla luna...attraverso la puszta turbina la nebbia, il fuoco canta dolcemente…” (Felhős). I diligenti strumentisti sottolineano il procedere di versi che sembrano alla ricerca di un’armonia e di un contatto crepuscolare con gli elementi naturali “…il tempo sparge le sue perle, la nebbia splende sulle nostre acque, la pioggia cade in polvere. In una notte d'autunno, la certezza è un tappeto di foglie.
L'inverno è accovacciato...dicembre è la neve dei dubbiosi, a gennaio i diavoli saranno sul carro...” (Ősz). Troviamo musicata anche una lirica di Weöres Sándor, poeta e traduttore sia da lingue orientali che occidentali, tra cui l'italiano (Dante, Petrarca, Leopardi, D'Annunzio…): “Seminai al chiaro di luna, parlai al muro, amici non ne ho, amai la nuvola, non tengo alcuna innamorata. Ho mangiato il cielo, non ho raccolto tesori, ho procreato poesie, non ho neppure figli. Sarò dunque una statua che si vedrà da lontano, divaricherò le gambe e gesticolerò con la mano” (Holdfényt Vetettem). Szilvia Bognár, sempre più attirata dalla carriera personale, si allontana e nel 2006 Makám ha un nuovo radicale cambio di formazione, inaugura l’etichetta personale Z Paraván BT e torna a presentare un disco indirizzato ai bambini: “Ákom Bákom”. Dietro la coloratissima copertina, la musica utilizza una più convenzionale ritmica rock e i testi assomigliano talvolta a vere e proprie filastrocche “Vola vola farfalla, sette arcobaleni, sette porte, sette prati...se il vento ti porta via, ti troverò da qualche parte...la mia altalena gira, gira, chissà dove mi trovo...” (A Pillangó És A Holló). L’anno 2008 porta sul mercato discografico “Zarándokének”, una strana selezione parziale tratta dai dischi del 2002/3/6, contenente però all’inizio cinque ottime tracce inedite e appena registrate, tra cui i primi due ermetici brani recitano: “Strane campane tintinnano nel vento, notte in nero...il tesoro è nelle mani del ladro...un ramo di melo geme scricchiolando, anche l'ape dorme su un fiore appassito...vecchia lanterna miracolosa, il cielo naviga sull'argento della luna..chiunque può entrare, la mia porta è aperta” (Zarándokének). “Nessuno crede più al vento fresco, l'altare del cielo si sgretola, scattano i denti del vento, la scure del gelo, non lascerò questa casa...stelle gemelle brillano nel cielo, la luna ha una corte oggi, le lanterne della notte si accendono in fila, l'arpa del vento gentile può ruggire...” (Nem Hiszi). Con il raddoppio della voce femminile, dello stesso anno è anche “Yanna Yova”, ibrido disco folk-rock, dalle fragranze varie che mescola ancora una volta, tempi e popoli con il consueto intento utopico di colmare distanze: “Invierò un SMS alla luna, al cielo, proprio nel momento della luna piena, forse ci sarà qualcuno che lo raccoglierà...qualcuno di paesaggio del cielo. In caso contrario, ci riproverò a nord, sud, est, ovest,
pregherò il Signore di avere cura di noi e di non portarci via il diavolo, manderò un sms al Settimo Cielo, un po' a sud di Orione...” (SMS). Fa seguito nel 2010 “Csillagváró” nuovo capitolo dedicato all’infanzia, un viaggio nel tempo della Notte Stellata come le immagini di copertina lasciano facilmente intuire. Dentro palle magiche e bolle di sapone i bimbi vedono un mondo intero senza confini e dove è possibile incontrare di tutto, anche un golem con la faccia nera e gli occhi a pallina gialla. Così questa ennesima incarnazione musicale, Makám porta in un batter d’occhio, dai magici vortici sonori dell’India al reggae della Giamaica. Questi dischi definiti impropriamente “infantili” in realtà sono rivolti a chiunque abbia conservato nella vita, a qualsiasi età, uno spirito giocoso. Le loro parole narrano della nascita di girini e millepiedi, dei pericoli che possono minacciare i cuccioli di un alligatore, delle prede invernali di un orso mezzo addormentato e degli ospiti del ballo primaverile organizzato dalle lumache. Non manca un concerto intero di animali a teatro e tra una cicala che coltiva fragole in giardino e un coniglio in preda agli incubi, si entra nel rapporto a contrasto tra il bucolico mondo delle bestiole e quello di bambini abituati a vivere in grandi e spesso anonime, città. Fino a chiedersi cosa nascondano veramente le anime dei popoli. Continua....
Flavio Poltronieri