Jon Boden & The Remnant Kings – Parlour Ballads (Hudson Records, 2024)

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Con “parlour music” si intende un genere musicale di esecuzione domestica, diffuso in Gran Bretagna soprattutto durante l’epoca vittoriana. Nei salotti borghesi, accompagnate da pianoforte, ballate e canzoni venivano eseguite per intrattenere amici e familiari. I folkloristi dell’epoca disprezzavano queste composizioni dal facile appeal, considerandole artificiali rispetto alle “autentiche” canzoni tradizionali delle classi subalterne. Sebbene molte di queste melodie siano oggi viste come pompose, nazionalistiche o eccessivamente melense, il genere rappresentava un’importante espressione della cultura borghese, favorendo l’alfabetizzazione musicale e la pratica strumentale. E, al di là di queste critiche, non mancano ballate di pregevole fattura. In questo album prodotto da Andy Bell, Jon Boden (voce, piano, chitarra e violino), ex membro dei Bellowhead e di tanti altri progetti, ha coinvolto la sua band, The Remnant Kings, composta da Rob Harbron (concertina, banjo, harmonium e voce), Sally Hawkins (violino, oboe, corno inglese e voce), M.G. Boulter (pedal steel, lap steel, dobro, chitarra e voce), Sam Sweeney (batteria, violino e voce) e Ben Nicholls (contrabbasso, chitarra basso e voce). Boden scrive nella presentazione dell'album: “Alphonse Cary, il mio trisavolo (1848-1922), gestiva un negozio di musica a Newbury e, dietro pagamento, si esibiva interpretando le ultime canzoni da salotto. Le sue performance venivano registrate su cilindri di cera che i clienti potevano portare a casa. Purtroppo, non ho ancora trovato alcun cilindro sopravvissuto con la sua voce. Da molti anni accarezzo l’idea di un album folk basato sul pianoforte. Sebbene mi consideri un pianista accettabile (la mia lettura a prima vista non avrebbe di certo superato la prova nel salotto vittoriano della classe media descritto sopra), adoro suonare il pianoforte e probabilmente ho trascorso migliaia di ore a cercare di
imparare a suonarlo come ho fatto con il violino o la chitarra. In particolare, mi piace usarlo per accompagnare ballate lente e sentimentali, come molti dei brani di questo album. Il lockdown ha creato un buco nella mia agenda e ho avuto la fortuna di ricevere una borsa di studio dell'Arts Council England “Developing Your Creative Practice” per esplorare (con la band) modi di affrontare il repertorio delle canzoni folk con il pianoforte in primo piano”. In realtà, Boden non ha attinto a ballate da salotto nel senso più stretto del termine, ma ha selezionato undici ballate provenienti da fonti e periodi storici diversi, dall’epoca vittoriana ed eduardiana fino agli anni Cinquanta: “cerco di risvegliare il suono del vecchio, amato e un po’ stonato pianoforte domestico e di ricongiungerlo con (o introdurlo a) canzoni che potrebbero sentirsi felici di questa conoscenza”. L’album si apre con “On One April Morning”, una canzone tradizionale eseguita in stile salottiero, raccolta nel 1908 da Priscilla Wyatt-Edgell e Cecil Sharp tra i cantori rurali di Somerset e Devon. Boden e i suoi compagni propongono un elegante arrangiamento che ne esalta la bellezza. Molte delle canzoni diffuse nel periodo, inizialmente tramandate oralmente o tramite i fogli volanti, divennero successivamente canzoni da salotto, e viceversa: le ballate tipiche dei salotti borghesi furono riadattate entrando nella tradizione orale, riflettendo il multiforme processo di scambio tra musica colta, repertori orali e musica con funzione d’uso. Tra tradizione folklorica, musica da salotto e poesia, Boden e i Remnant Kings creano un variegato arazzo sonoro. “Bonny Bunch of Roses”, celebre broadside ballad
degli anni 1840, è meglio conosciuta per la versione dei Fairport Convention. Qui, l’arrangiamento di Boden, più lento e riflessivo, si allinea con quello di Barry Dransfield, dalla cui versione è stata ripresa. “Clock O’Clay” è una rielaborazione di una poesia di John Clare, poeta contadino e violinista, musicata da Boden. Il testo racconta la storia di una coccinella nascosta in una primula, simbolo di un profondo legame con la natura. “Merry Mountain Child”, scritta a metà Ottocento da J. Tate e musicata da Joe Perkin, maestro di coro di Holmfirth, viene presentata in modo essenziale dalla band, mantenendo intatta l’emotività del testo. La magnifica “Mortal Cares” sorprende con il suo passaggio da un’introduzione da salotto vittoriano a un’atmosfera sinistra e noir di impronta jazzata, grazie alla musica di Boden su un testo di Aphra Behn. Scrittrice e drammaturga del periodo della Restaurazione, Behn è stata una delle prime autrici professioniste; sfidò le convenzioni sociali e morali del suo tempo, trattando temi come la sessualità, la politica e la libertà personale. Il brano è stato musicato da Boden proprio per l’adattamento di “The Rover”, una delle sue opere più importanti rappresentata per la prima volta nel 1677. L’album prosegue con “Oggie Man”, scritto da Cyril Tawney nel 1959. Il brano racconta la fugacità dell’amore attraverso la figura di un venditore di “oggie” (la versione gallese del pasticcio cornico), che scambiava i suoi prodotti fuori di Albert Gate a Plymouth, prima che la zona fosse ricostruita dopo il Blitz del secondo conflitto mondiale ed arrivassero i venditori di hot dog. “Old Brown’s Daughter” è una ballata tradizionale scritta da G.W. Hunt nel 1878, poi reinterpretata da Walter Pardon e successivamente da Peter Bellamy. 
In questa versione, la pedal steel gioca un ruolo fondamentale, portando il brano su un terreno country con un tocco ironico. Un altro momento clou dell’album lo si raggiunge con l’interpretazione del tradizionale “Prentice Boy”, che narra di un femminicidio di una giovane ragazza da parte del suo amante. L’accorato canto di Boden, il piano incisivo e l’accompagnamento della concertina, dell’oboe e del banjo avvolgono in modo appassionante questa tragica storia. “Danny Deever”, in forma di ballata, tratta dalla raccolta “Barrack Room Ballads” di Rudyard Kipling del 1890, si pone come riflessione da parte dei commilitoni sull’esecuzione di un soldato britannico in India per omicidio, mentre il suo reggimento assiste all’impiccagione. Di tutt’altro tenore è “Rose of Allendale” (1836): gli autori del testo, Charles Jefferys, e della musica, Sidney Nelson, Charles Jefferys, autore del testo, e Sidney Nelson, autore della musica, ci hanno consegnato una canzone d'amore struggente e sentimentale, che ha avuto nuova vita a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso dopo essere entrata prima nel repertorio della Copper Family e poi nel canzoniere dei folk club e dei pub con il suo irresistibile coro. Umori di music hall in “London Waterman”, del songwriter settecentesco Charles Dibdin, scritta per la sua opera ballata “The Waterman”, anch’essa entrata nel canone del folk revival via Bob Roberts che la cantò nel suo disco “Songs From the Sailing Barges”. Piano e violino giostrano in primo piano, portando a conclusione un lavoro impeccabile per scelta ideativa, indubbia perizia musicale, selezione e trattamento dei materiali. 


Ciro De Rosa

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