Ayom – Sa.Li.Va (Autoprodotto, 2024)

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Ricalcando il grande successo del debutto omonimo, l’ensemble multiculturale Ayom torna sulla scena discografica con un secondo fragoroso disco. In “Sa.Li.Va”Nel si susseguono tre trittici narrativo-tematici dove la musica racchiude, esprime ed accompagna l’esposizione di distinti motivi o ‘panorami dell’anima’ che compongono l’acronimo “Sa.Li.Va”: “sagrado”, “liberdade”, “valentia”. A tessere i fili narrativi è proprio la saliva, un linguaggio universale ed unificatrice in quanto sulla bocca di tutti, ma meno divisiva delle lingue. La prima triade “Oxalá, Promessa do Migrante” - “Filhos da Seca” – “Ode a Oxum” costituisce “sagrado”, che esplora temi sacri imbevuti nel linguaggio simbolico del sincretismo del Candomblé, la religione afrobrasiliana che evolve combinando elementi di cattolicesimo e religioni dell’Africa Occidentale. Il primo brano si sviluppa attorno alla figura di Oxalá, l’orixá (entità spirituali e divine) della migrazione. Il brano parla di partenze, di ritorni, di memoria e ricordi, e lo fa pregno di saudade, lo stato emotivo che cattura la nostalgia e melancolia per la lontananza, centrale in stili musicali portoghesi, brasiliani e capoverdiani. A tesserne il tessuto emotivo sono voce, fisarmonica, violini e marimba, arrangiati a cullare l’ascoltatore tra sonorità malinconiche e speranzose. Il secondo brano sposa invece il ritmo arabo maqsoum, sonorità del flamenco, e altri stili mediterranei facendosi canto e preghiera migrante. La triade si chiude con un’ode a Oxum, l’orixá della fertilità e della seduzione, furiosa guerriera che vive nelle cascate. Il brano cattura perfettamente la dicotomia accattivante seduzione-maestosa potenza, costruendo maree dinamiche col violoncello di Sasha Arganov. Il secondo trio, “Eu Me Quero Mais” – “Rosário Do Desejo” – “Fuzué
Funaná”, forma invece “liberdade”, catena festosa che esplora libertà e amori. Il primo brano è un tributo carnevalesco e vorticante al frevo brasiliano, celebrato con la voce di Juliana Linhares. Segue “Rosário Do Desejo”, più lento ma non meno espressivo nel suo raccontarci un incontro amoroso che si traveste di sacro. Il blocco si chiude riportando i ritmi di festa dell’Atlantico, e in particolare del ‘Black Atlantic’, mescolando inflessioni, sapori, ed influenze che circolano e mutano tra Capo Verde, Brasile, Angola ed Europa. Stilisticamente, il pezzo è inizialmente trainato dal saltellante ritmo della tuba di George Robarts-Arnold, che supporta il roteare melodico della fisarmonica. Nello special entrano invece i sintetizzatori, a portare sapori di stili più moderni che popolano le balere e i club su entrambe le sponde dell’oceano, introducendo tuttavia le sonorità lievemente più contemporanee dell’ultimo trittico del disco. L’ultima composizione, “Kikola n’goma” – “Canto De Negro” – “Vestido De Fogo”, esplora temi legati a colonialismo, distorsioni storiche, e rivendicazioni culturali sotto lo stendardo “valentia” (coraggio). Ritmicamente le tre composizioni rimarcano con più forza gli incastri percussivi, mentre timbricamente l’introduzione di sintetizzatori echeggia, forse intenzionalmente, le circolazioni musicali dell’atlantico contemporaneo. Si fanno sicuramente sentire di più le influenze africane, con vari echi all’afrobeat e altri generi di musica
popolare dell’Africa Occidentale, come highlife e soukous nelle linee di chitarra di “Kikola n’goma” e “Vestido De Fogo”. “Canto Do Negro”, invece, contrappone la fluidità vocale alla forte percussività che traina il brano. L’ultima triade è differente dalle altre, anche se la transizione – sia musicale che tematica – che ci porta a “valentia” è ben costruita, con l’introduzione graduale di strumenti, ritmi e influenze che si spostano nello spazio e nel tempo. La narrazione parte nelle tradizioni, nella religiosità afrobrasiliana e nei suoni delle migrazioni che sanno forse più di mediterraneo. Il secondo blocca si concentra più sul Brasile, e seppur rimanendo emotivamente carico, sposta l’attenzione su danza e celebrazione, anziché nostalgia malinconica. L’ultimo capitolo, infine, sembra quasi catturare l’Atlantico di oggi o del vicino passato, dove ritmi, melodie, stili e sapori ci portano dal Sud America alle sponde dell’Africa, dove il nuovo e il vecchio si intersecano in nuovi idiomi di ballo. Il tutto è poi legato dal decimo brano, un riarrangiamento di “Io Sono Il Vento”, interpretato inizialmente da Mina (testo di Gian Carlo Testoni e musiche di Giuseppe Fanciulli) nel 1959. Nel brano i tre stili sembrano incontrarsi e unirsi, cullati da un vento che attraversa gli oceani, gonfia le vele sui mari, ed erode il tempo. Il secondo disco di Ayom è un’eccellente elaborazione di temi centrali alle sensibilità dei membri della band, che, come gruppo, vive sulla propria pelle gli intrecci storici e le interazioni delle migrazioni. Il concept dietro al disco è interessante e contemporaneo, applicato senza forzature su una cornice musicale che rimane funzionale e piacevole anche senza previa conoscenza delle scelte tematiche. Col loro secondo disco, i membri di Ayom ricalcano i punti di forza del debutto ma portano freschezza strutturale alla narrazione dello stesso, proponendo tre linee narrative che descrivono diverse sfaccettature dell’esperienza musicale di molti migranti che – per volontà o per forza – hanno solcato l’Atlantico in secoli di migrazione, colonialismo e schiavismo. Infine, e soprattutto, il disco è un’esuberante e sfaccettata raccolta musicale che accosta sonorità accattivanti sviluppate con un enorme gusto compositivo. 


Edoardo Marcarini

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