(a cura di) Giuseppina Colicci, Suoni e storie ai piedi dei Monti Ernici. Radici espressive e nuove prospettive, SquiLibri 2024, pp. 144, euro 25,00, Libro con 3 Cd

Ci troviamo nel Frusinate, nel territorio di Alatri, alle pendici dei Monti Ernici, rilievi del Subappennino laziale incorniciati dai Monti Cantari e dalle valli dell'Aniene, del Liri e del Sacco. È il contesto di un volume sviluppato su più livelli che coniuga documentazione storica ed etnomusicologica, riproposta musicale e produzione artistica creativa. Lo cura Giuseppina Colicci, autorevole accademica dell’Università della Calabria, formatasi al magistero di Diego Carpitella, già ricercatrice negli Stati Uniti e con esperienza di lavoro all’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi (ICBSA). La pubblicazione fa parte della preziosa collana ATM (Archivio Tradizioni Musicali) dell’editore romano SquiLibri, per il quale la stessa Giuseppina Colicci con Serena Facci ha pubblicato “Rosa di Maggio”, volume sulle ricerche e straordinarie registrazioni di Luigi Colacicchi e Giogio Nataletti in Ciociaria (1949-1950). Si tratta di un lavoro che coinvolge molte figure di studiosi e di musicisti e che attraversa le stagioni della ricerca sul campo a partire dal 1977, quando Ivan Cavicchi e Liliana Bucciarelli documentano i repertori locali per quella che allora si chiamava Discoteca di Stato (oggi è proprio l’ICBSA), confluiti nella raccolta AELM 145. I due ricercatori raccolsero un vasto corpus di canti e brani strumentali, sia religiosi che profani: stornelli, saltarelle, ballatelle, mazurche, canzoni da ballo, canti d’amore, di questua, di lavoro e altro ancora. Il passaggio successivo ci porta al periodo 2018-2020, quando Mattia Dell’Uomo e Simone Frezza, membri de I Trillanti – gruppo musicale attivo fin dal 2013 con tre dischi realizzati (“Vèntô Aquilònê”, “Bonì Bonanno” e “Stornelli a Pandemia”) finalisti del Premio Andrea Parodi 2023 e vincitori del Premio Cesa 2024 – si rivolgono a quei materiali proprio sulla base delle ricognizioni precedenti, riproponendoli con una nuova veste sonora riconducibile a una fisionomia folk revivalistica. Cruciale, poi, l’incontro con l’alatrina Associazione Gottifredo che conduce a un ritorno sul terreno per vagliare quanto ancora vivente nella memoria delle comunità e confrontarsi con testimoni ancora viventi, tra cui il cantore Gino Fiorini, protagonisti delle registrazioni di quarant’anni prima. Da qui si sviluppa “Our Folksongs”, progetto che naturalmente richiama il ciclo delle “Folk Songs” di Luciano Berio del 1964 (da suggestioni beriane deriva pure il riferimento del titolo alle “radici espressive”), che è parte del più ampio programma Coworking Gottifredo. Il progetto inizia con un percorso formativo metodologico laboratoriale che coinvolge gli etnomusicologi Maurizio Agamennone, Serena Facci e Giuseppina Colicci, il Conservatorio “Licinio Refice” di Frosinone con i docenti e gli studenti di composizione e con il CREA (centro di elaborazione audiovisiva dello stesso Conservatorio). Passaggio successivo è la registrazione di un nucleo di canti rielaborati da I Trillanti e la scrittura di dodici composizioni affidate a compositori, molti dei quali giovani, che studiano o hanno studiato al Conservatorio di Frosinone: Claudio Toldonato, Giuseppe Marinotti, Lorenzo Sorgi, Andrea Rotondi, Valentina Stumpo, Giorgio Astrei, Cesare Martinacci, Andrea Di Stefano, Michele Di Filippo, Antonio Poce, Luca Salvadori e Antonio D’Antò – gli ultimi sono anche i coordinatori del lavoro di ricomposizione – che si misurano con alcuni dei materiali raccolti sul campo nel 1977 per seguirne le suggestioni e “innescare cammini creativi” adottando linguaggi compositivi novecenteschi. Ad eseguire le nuove composizioni è il Quintetto di fiati Koch (Matteo Spacagna al flauto, Massimo Ranieri all’oboe, Antonello Timpani al clarinetto, Raffaele Ramunto al fagotto e Luigi Ginesti al corno), intitolato al pittore tedesco amante di quei luoghi, che riunisce altrettanti giovani musicisti del Conservatorio, diretti da Antonio D’Antò. Nel volume, il critico letterario e giornalista Tarcisio Tarquini, presidente della Gottofredo, introduce il progetto “Our Folksongs”. Nel capitolo “Le nostre Folksongs” D’Antò e Salvadori tracciano le loro ascendenze bartokiane nel pensare la fase compositiva e creativa. Con “Suoni di vita”, Dell’Uomo e Frezza danno conto del senso del loro coinvolgimento nella ricerca e nella rivisitazione dei materiali di tradizione orale. Tocca alla curatrice Colicci ricostruire la genesi e l’ideazione del progetto nel più ampio scritto “Echi e Suoni di Ciociaria”, fornendo una mappa storico-culturale e musicologica della dimensione sonora della Ciociaria, suo “luogo del cuore”, ma anche toponimo scelto per continuità con l’influente studio di Luigi Colacicchi “Canti popolari di Ciociaria” (1936). Colicci prosegue ripercorrendo le diverse fasi di ricerca e privilegiando l’analisi dell’atto performativo con riferimento tanto all’approccio dei Trillanti quanto alle storiche registrazioni del 1977. Segue la guida all’ascolto dei ben tre cd allegati: Il primo “I Trillanti, sul Campo e in studio” propone tredici brani raccolti sul campo tra il 2016 e il 2020, e sei motivi registrati in studio. Tra i brani registrati per “Our Folksongs” si segnalano i canti di questua, tra cui “Bonì Bonanno” (Gino Fiorini), già raccolto nel 1977, “Macchiarola” per voce e organetto (Mariano Lisi), “La morte di Gesù” (Cesarina Castagnacci) e “Viveva con mia madre” (Gino Fiorini), eseguito con una formula prossima al canto a poeta. Il secondo cd, “Quintetto Koch, Le ricomposizioni”, presenta le dodici composizioni dell’ensemble di fiati di cui sono proposti anche i testi e le trascrizioni degli spartiti musicali dei brani strumentali. Tra di essi propongo soprattutto l’ascolto di “Macchiarola” rielaborata da Sorgi, “La storia della bella Rosina” di Rotondi, “Strill’enta Voce” arrangiata da Astrei, il “Saltarello” di Salvadori, “A diciotto anni” di Di Stefano e l’evocativo “My Folksong-Oh, peccatori perché” di D’Antò. Infine il terzo dischetto documenta le registrazioni di Cavicchi e Bucciarelli del 1977, sempre efficacemente chiosate da Colicci: un ascolto prezioso. Nell’appendice la stessa studiosa analizza le diverse versioni del canto di questua, eseguito in vari stili e intonato su differenti melodie, conosciuto come Capodannesca o anche anche “Bonì Bonanno”, di cui si è già detto, canto augurale che si fa risalire a origini medievali, diffuso in molte zone della Ciociaria e documentato nella raccolta AELM 145. Come in tutte le pubblicazioni di SquiLibri non manca un significativo corredo fotografico. Scritto con fluidità di linguaggio e contenente con materiali audio di indubbia rilevanza, questo lavoro va accolto con grande interesse, perché non offre uno studio ripiegato in sé stesso, ma piuttosto manifesta l’esito di un progetto che fornisce elementi di conoscenza musicale di un’area del Paese ancora poco conosciuta, apporta un significativo contributo metodologico, configurandosi come possibilità di trasmissione generazionale di memorie e di forme musicali di tradizione orale che divengono fonte di ispirazione per avviare nuove istanze espressive e fioriture compositive contemporanee in cui dialogano creativamente differenti linguaggi musicali.   


Ciro De Rosa

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